Nov 24, 2010 - romanzo storico    2 Comments

Promessi Sposi, Capitolo XXVI

220px-Cardinale%26DonAbbondio.jpgRicordate il Cardinal Borromeo, diffusamente incontrato nel Capitolo XXII? Ebbene, a cavallo tra i capitolo XXV e XXVI lo vediamo mentre riprende e rampogna il povero Don Abbondio per l’infelice parte che ha giocato in tutta la faccenda fin qui.

A Manzoni non era riuscito di rendere simpaticissimo il buon Federigo allora, e quattro capitoli più tardi le cose non migliorano apprezzabilmente. Se ne accorge anche l’autore, che apre il XXVI col seguente retorico dubbio: non ci sentiamo un po’ tutti a disagio con l’eccelso predicar d’amore e carità del CFB? Facciamoci coraggio col considerare che poi lui queste virtù le predicava davvero…

Sì, grazie: l’abbiamo visto nel XXII. Abbondantemente. Resta il fatto che per tutto il dialogo che segue è quasi impossibile non simpatizzare col povero curato in disgrazia, con la sua stizza a distanza nei confronti di Perpetua (che l’aveva detto!), coi suoi sapidi e umanissimi asides:

Anche questa gli hanno rapportata le chiacchierone,” detto di Lucia e d’Agnese;

Ecco come vanno le cose,” diceva ancora tra sé don Abbondio: “a quel satanasso,” e pensava all’innominato, “le braccia al collo*; e con me, per una mezza bugia, detta a solo fine di salvar la pelle, tanto chiasso. Ma sono superiori; hanno sempre ragione. E’ il mio pianeta, che tutti m’abbiano a dare addosso; anche i santi.”

ora vien la grandine,” mordendosi la lingua dopo essersi lasciato scappare che bisognava esser stati al suo posto davanti ai Bravi per capire…

E invece la grandine non viene, perché il CFB usa tattiche assai più sottili. Si turba, s’acciglia, fa mostra di accogliere l’implicito rimprovero: è giusto, nessuno può rimproverare se non con piena cognizione di non avere mai commesso il fallo che rimprovera. Che gli indichi Don Abbondio i suoi (del CFB) falli, e allora se ne potranno dolere insieme…

E che può dire Don Abbondio, se non che per carità! tutti conoscono la virtù somma del CFB… E’ ovvio che il CFB non ha mai conosciuto una debolezza simile a quella di Don Abbondio, non ha né avrebbe mai ceduto alle intimidazioni di nessuno! Vero e certo, nulla da dire – ma è proprio qui che interviene la fallacia logica del CFB, perché diciamocelo: se anche il CFB si fosse trovato di fronte i Bravi di Don Rodrigo (o qualche minaccia equivalente su scala maggiore), che diamine! Era un Borromeo, cugino di un santo in fieri, ben presto un vescovo e poi cardinale. Era un uomo autorevolissimo per nascita, per ruolo, per parentele e per carisma personale. Vien da pensare che non abbia tutti i torti Don Abbondio, con la sua considerazione irrispettosa: il CFB non sa di che cosa parla. Non sa nulla dell’essere piccoli, deboli d’animo, un po’ meschini e tremebondi, tutto sommato facili a colpirsi, e ancor più a spaventarsi. Ha davvero una virtù sovrumana da esibire, il CFB, ed ha ragione nel riprendere Don Abbondio – ma non è davvero un caso di quella suprema virtù del comando: pretendere dagli altri solo ciò che si pretende da se stessi.

Alla fin fine Don Abbondio è contrito, vergognoso, intenerito, dispiaciuto di sé – ma più ansioso di riparare che convinto di avere fatto la scelta sbagliata perché “in mezzo a que’ discorsi, ciò che stava piú vivamente davanti, era l’immagine di que’ bravi, e il pensiero che don Rodrigo era vivo e sano, e, un giorno o l’altro, tornerebbe glorioso e trionfante, e arrabbiato. E benché quella dignità presente, quell’aspetto e quel linguaggio, lo facessero star confuso, e gl’incutessero un certo timore, era però un timore che non lo soggiogava affatto, né impediva al pensiero di ricalcitrare: perché c’era in quel pensiero, che, alla fin delle fini, il cardinale non adoprava né schioppo, né spada, né bravi.”

Segue edificante paternalina sulla possibilità di riparare ai propri errori, e di come quelle rampogne abbiano addolorato il CFB ancor più che Don Abbondio… Come quando eravamo piccoli e, all’occasionale sculacciata, si accompagnava il classico “fa più male a me che a te”. Ci credevate, voi? Nemmeno io e quindi tutti, a proposito del CFB, possiamo concludere con Don Abbondio: “Oh che sant’uomo! ma che tormento!

Del resto del capitolo voglio notare solo due cose: Agnese che si sente fatta donna di mondo dalle circostanze (“[T]i vengo a prender io a Milano; io ti vengo a prendere. Altre volte mi sarebbe parso un gran che; ma le disgrazie fanno diventar disinvolti; fino a Monza ci sono andata, e so cos’è viaggiare. “) e l’ironico accostamento tra il duraturo interesse del Capitano Generale di Milano per i casi di Renzo fuggito nel Bergamasco e il rancore di Roma nei confronti di Annibale – tanto simile a quello tra Don Abbondio e il Principe di Condé all’inizio del Capitolo II.

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* A parte la mia predilezione per l’Innominato (rigorosamente pre-conversione) posso confessare di avere sempre parteggiato per il fratello del Figliol Prodigo e per le novantanove brave pecore piantate nel deserto mentre il Buon Pastore va alla ricerca di quella delinquente della Pecora Smarrita?

 

 

Promessi Sposi, Capitolo XXVIultima modifica: 2010-11-24T08:05:00+01:00da laclarina
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2 Commenti

  • Eh, già, il cardinal Borromeo è davvero irritante… don Abbondio invece è un personaggio fantastico. Ho letto da qualche parte una teoria che mi ha affascinato (ma purtroppo non so citare la fonte). Pare che il Manzoni, persona certamente degna di grande stima anche umanamente, abbia riversato in Don Abbondio alcune sue paure. Perché le fobie non gli mancavano. Per esempio: la paura della folla: forse dobbiamo a questa fobia le descrizioni, potenti e spaventose, della folla imbestialita… pensiamo ai linciaggio degli untori…

  • Davvero? Non sapevo di questa teoria, ma mi piace molto. Voglio indagare un pochino, perché l’idea che tra tutti i suoi nobili ed elevatissimi personaggi Don Lisander si specchi nel più umano, fallibile e fittile me lo rende anche più simpatico.
    E la folla dev’essere una di quelle paure ancestrali, nascoste in tutti noi più o meno profondamente.