Senza Errori di Stumpa

Shakeloviana: Il Libro Dell’Aria E Delle Ombre

The Book Of Air And Shadows, di Michael Gruber – che non è stato tradotto in Italia e forse non lo sarà mai – è la prova provata che si può benissimo scrivere da dio e perdersi lo stesso molte cose per strada.

Prima di tutto, confermo che la scrittura è davvero notevole, con quel genere di frasi che torni indietro a rileggerti per il gusto di farlo, tanto sono eleganti e rotonde. E funziona benissimo sia nella parte narrata in prima persona da Jake Mishkin, superavvocato specializzato in diritti d’autore, sia nella porzione di Albert Crosetti, giovane aspirante regista che lavora in un negozio di libri antichi nella speranza di pagarsi, un giorno, la scuola di cinema. Giurerei un po’ meno sull’Inglese elisabettiano delle lettere di Richard Bracegirdle: non suona tanto elisabettiano quanto contemporaneo con uno spelling bizzarro, e questo è il primo difetto. Anche ammettendo che, come dice Josephine Tey, gli Elisabettiani non dovessero suonare antiquati all’orecchio dei loro contemporanei, la loro scrittura deve suonare antiquata ai nostri occhi. Antiquata, non in maschera.

E dapprincipio pensavo che fosse proprio un peccato che Gruber non si fosse disturbato un po’ di più a curare il suo Inglese storico, perché l’idea di un manoscritto shakespeariano ritrovato non sarà originalissima, ma l’idea che il testo perduto fosse il frutto di una cospirazione d’epoca non mi dispiaceva. Insomma, un po’ per l’argomento e un po’ di più per la scrittura (o almeno tre quarti della scrittura) ero assolutamente decisa ad apprezzare questo libro.

Ma poi…

Non credevo che mi sarebbe mai capitato di lamentarmi di troppa caratterizzazione, ma è successo: nello sforzo di rendere i suoi personaggi realistici, Gruber si è lasciato prendere un tantino la mano, methinks. Non c’è dubbio, Jake Mishkin è un personaggio complesso… talmente complesso che ogni tanto le sue divagazioni a proposito di se stesso mettono in stallo la trama per una o due pagine. Talmente complesso che, nonostante il diluvio di tratti di carattere, non se ne trova uno con cui simpatizzare. So di avere detto che non è necessario rendere simpatici i personaggi, ma è invece necessarissimo consentire al lettore di identificarsi con qualcuno, sennò lo si perde per strada. E francamente, è meglio se il protagonista “antipatico” lo è almeno in grande stile. Ma Jake no. Jake è insopportabile, ed è pure meschino. Crosetti lo sarebbe meno, ma è così incomprensibilmente ossessionato dall’odiosa Carolyn Rolly che si perde ben presto ogni tentazione di simpatizzare con lui. Personalmente ho ancora più difficoltà ad immedesimarmi negli stupidi recidivi che negli antipatici. Richard Bracegirdle, la spia seicentesca, è difficile da individuare, con questa voce un poco fasulla. E tutti gli altri… È mai possibile che tutta la (numerosa) popolazione di questo libro abbia un passato che riesce ad essere al tempo stesso improbabile e un cliché? C’è l’autista palestinese che prima era un sollevatore di pesi; c’è il crittografo polacco che prima era un agente segreto; c’è il prete gesuita che prima era un soldato delle forze speciali; c’è la guru della finanza online che prima era un’olimpionica. Considerando anche la quantità di gente che non è affatto chi dice di essere, capirete che cosa intendo quando dico che il tutto è un nonnulla eccessivo.

E poi, quand’anche fossi disposta a perdonare tutto il resto per amore della bella scrittura, ecco che arriva il peccato capitale. L’idea di Shakespeare coinvolto suo malgrado in una cospirazione (che a sua volta non è nemmeno la cospirazione che sembra) non sarebbe male di per sé, ma ho difficoltà ad immaginare il buon Will che, in tutto candore, si fa persuadere a scrivere una tragedia sulla madre decapitata del suo attuale re (per di più mandata al patibolo dalla regina precedente). Utterly unpolitical, e se c’era qualcosa a cui Shakespeare era attento, erano gli umori della corona e del pubblico. Hm… Ma supponiamo ancora di ingoiare intera anche questa, e veniamo al finale. Considerate tutto un lungo libro di misteri, indagini, inseguimenti, sparatorie per strada, omicidi, sparizioni, sostituzioni di persona, ritrovamenti misteriosi, incendi, rapimenti, minacce, attentati… tutto sulle tracce di questo fantasmagorico lavoro shakespeariano mai, ma proprio mai, udito nominare prima. E come va a finire?

(Ecco, se avete anche solo la minima intenzione di leggere il libro… e non è che vi consigli di leggerlo, sia chiaro – ma se volete farlo, forse questo è un buon punto in cui fermarsi.

Otherwise, avanti Savoia.)

La tragedia si trova, ed è effettivamente di Shakespeare. È il ritrovamento letterario del millennio? Manda alle stelle la pressione arteriosa del mondo accademico globale? No, signori, nulla di tutto ciò. Nel più floscio degli anticlimax immaginabili, la cosa verrà probabilmente tenuta segreta, i nostri vastamente antipatici eroi si dividono il cospicuo bottino e se ne vanno, ciascuno per la sua strada, più ricchi di prima ma altrettanto depressi e/o idioti e/o odiosi, e il cielo è grigio sopra New York. Fine.

Soddisfacente? No, vero? Per niente: irritante, confuso e frustrante. Proprio la sensazione con cui ho chiuso The Book of Air and Shadows dopo averlo finito. A quel punto, persino la scrittura vellutata e liscia mi dava l’impressione di avere mangiato troppa mousse al cioccolato.

Peccato.

 

Shakeloviana: Il Libro Dell’Aria E Delle Ombreultima modifica: 2014-04-14T08:00:00+02:00da
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