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Shakespeare – Ritratto Istantaneo

LocLUPo2E ieri sera piacevolissimo debutto degli aperitivi letterari di Inchiostro&Vino all’Enoteca Porto Catena – con buon vino e un pubblico entusiasta.

Oggi, invece, si converserà di fama postuma alla Libera Università Poggese, a Poggio Rusco – e credo che sarà una storia di sorprese, a suo modo…

In mezzo alle infinite eccentricità shakespearian-marloviane che costellano gli ultimi quattro secoli e qualcosa, parleremo anche del Ritratto Janssen. È questo ritratto seicentesco che vedete qui sotto a destra – o almeno lo era quando la Folger Shakespeare Library di Washington lo acquisì a fine anni Ottanta del secolo scorso, con l’attribuzione “Ritratto di William Shakespeare, artista anonimo.” Non era in buone condizioni, povero riratto, così venne subito messo a restauro.

Janssen_pre_1988

Mr. Shakespeare, suppongo?

E alla prima radiografia, a restauratori e curatori caddero le braccia. I raggi X mostravano che il Ritratto di William Shakespeare era in realtà una crosta che copriva… qualcos’altro. Rimosso lo strato esterno, venne alla luce un altro uomo – completamente diverso. Niente fronte calva e bombata, niente naso diritto, niente occhi scuri… Niente Shakespeare, alas. Solo qualche altro, anonimo gentiluomo contemporaneo del Bardo. In fondo sulla sinistra.

Alla Folger, comprensibilmente, non erano proprio ebbri di gioia. Credevano di essersi portati a casa un ritratto dell’eroe eponimo, e invece si ritrovavano… con che cosa, esattamente? Be’, in realtà si ritrovavano con un documento affascinante della bardolatria nel tardo Settecento – e del mercato che ci si era raggrumato attorno.

Painting s17

Well… non proprio

Perché quel che era successo era una di due cose: o un pittore si era ritrovato per le mani un ritratto di anonimo e gli era balenato in mente che ci avrebbe ricavato molto di più se si fosse trattato di Shakespeare, oppure prima gli venne l’idea e andò a cercarsi apposta un ritratto compatibile. Either way, quando? Be’, senz’altro prima del 1770 – quando il ritratto emerse come super cimelio shakespeariano – e altrettanto senz’altro dopo il 1741, quando David Garrick riportò Shakespeare all’attenzione del grande pubblico interpretando Riccardo III al Drury Lane. Personalmente sospetto che si possa restringere alquanto la finestra temporale, perché il bardolatrismo e il commercio di cimeli e souvenir si possono datare al 1769, al Grande Giubileo Shakespeariano di Stratford, che Garrick volle, organizzò e diresse, e poi spostò a Londra. Si può dire che quella sia stata la vera e propria instaurazione del culto – con Garrick come unico profeta.

Per cui immaginate la tentazione per un povero pittore, magari squattrinato, magari frustrato dallo scarso successo dei suoi paesaggetti arcadici… E una sera, venendosene via da teatro dopo una delle novanta (90!) rappresentazioni del Jubilee… folgorazione! Idea! Instant portrait!

Come vedete, la nostra epoca cinica in realtà non ha inventato granché.

E se volete sentire come secoli di storie come questa abbiano costruito, modellato e cementato la fama di Shakespeare (e Marlowe), se ne parla oggi alle 17, alla Biblioteca Mondadori di Poggio Rusco.

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Bagolando di Qua e di Là…

Oh, notizie, comunicazioni e informazioni…

Martedì 7 marzo alle 20.00 inizio una serie di aperitivi letterari presso l’Enoteca Porto Catena di Mantova. Parleremo di vini&spiriti attraverso la storia e la letteratura – e degusteremo quello di cui si parla. Gli appuntamenti sono quattro, e si comincia (non sarete sorpresissimi) con Shakespeare e i suoi contemporanei.

Seguiranno l’Antichità Greco-Romana, il Medio Evo e l’Ottocento…

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Mi si dice che per martedì restano pochi posti – ma voi chiamate il numero qui in fondo alla locandina per informazioni – e sentite che cosa vi dicono.

Poi mercoledì otto marzo alle ore 17.oo sarò alla Biblioteca Mondadori di Poggio Rusco con…

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La storia della fama postuma di Shakespeare è intricata come un romanzo – tra semi-oblio, propaganda puritana, falsificazioni, riscritture, bardolatria, tradizioni teatrali, spiritismo e bizzarrie miste assortite. E, dal tardo Cinquecento ai giorni nostri, s’intreccia con quella di Christopher Marlowe – collega, coetaneo e rivale, più celebre da vivo e ingombrante da morto…

E tecnicamente si tratta di una lezione dell’anno accademico della LUPo – ma volendo è possibile iscriversi a una lezione singola al costo di 5 €. Per informazioni e iscrizioni chiamate la Biblioteca Mondadori al numero 0386 51057.

Ci vediamo la settimana prossima?

 

Mag 27, 2016 - libri, libri e libri, romanzo storico, Shakeloviana, Shakespeare Year, teatro    Commenti disabilitati su Liste, Pagine, Letture…

Liste, Pagine, Letture…

ShakelovianaVi ricordate di Shakeloviana?

Romanzi, teatro, cinema, radio… A est della Manica fatichiamo a immaginare la quantità di storie che il mondo anglosassone ha dedicato all’uno e all’altro. E non è soltanto una questione di quantità, ma anche di selvaggia varietà: romanzi storici in senso stretto, ça va sans dire, ma anche gialli, ucronie, rinarrazioni, fantasy, spionaggio, metateatro, storie di fantasmi, la Questione del Vero Autore, l’omicidio a Deptford…

A patto che ci fossero in scena Marlowe e/o Shakespeare, andava bene, giusto?

Da un certo numero di anni vado a caccia di queste cose – e poi ci posto su. Molto di questo lavoro (such hardships!) risale al 2014 – anno di Shakespeare & Marlowe – ma poi mi sono detta: perché non continuare? E, già che ci siamo, perché non dedicare alla faccenda una pagina accessibile dalla colonna qui a destra? Da tempo mi proponevo di farlo, e adesso, con l’Anno Shakespeariano, è arrivato il momento.

E sì, il festeggiato deve dividere la lista con Kit Marlowe – ma mettiamola così: nel 2093 Shakespeare si prenderà la sua rivincita.

Per ora, la pagina si trova qui.

Dic 22, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: L’Inferno E La Terra

Shakeloviana: L’Inferno E La Terra

H&EAvevo detto che vi avrei tenuti aggiornati su The Stratford Man, giusto?

Ebbene, già da diverse settimane ho finito l’ultimo volume, Hell and Earth – solo che non c’è mai stata l’occasione di postarci su. E adesso eccoci.  L’ho letto, dicevo, e… hm. Per carità, non ha nulla che non vada. Concetto, personaggi, scrittura e caratterizzazione restano quel che erano: una gioia. Il mio problema, semmai, è con la trama.

La trama, alas, non è più così fluida e tesa. Non è nemmeno che scricchioli – in realtà non lo fa, e se non arriva a combaciare con Whiskey and Water, scopro che non m’importa poi troppo. È che comincia a girarsi un po’ attorno. C’è qualche ripetitività, qualche insistenza… Honestly, quante volte devono salvarsi a vicenda Kit e Will? Quante volte devono essere disposti a sacrificare la vita l’uno per l’altro? E soprattutto il complesso del martire di Kit comincia a farsi un tantino più pronunciato di quanto potrebbe.

E poi sia chiaro: è pieno di bellissime scene. Kit e la sua viola nel bosco gelido e ostile. L’irreale galoppata tra i mondi del climax. Ogni volta che entra in scena Sir Robert Cecil. L’uscita dalla Torre (con corvo). Il dialogo con l’angelo nell’oubliette. Mastro Troll…

È un peccato che l’intero sia un po’ meno della somma dei suoi componenti – ma resta una gradevole lettura e, nell’insieme dei due volumi, un ottimo fantasy storico. Tanto che vi dirò: francamente, se prima o poi arrivasse un altro volume, non ne sarei soverchiamente dispiaciuta. Come dicevo: il posto c’è, perché tra questo finale e l’inizio di W&W è chiaro che manca qualcosa.

Stiamo a vedere.

E insomma, ecco fatto. Se vi venisse voglia di leggere, Hell and Earth si trova su Amazon

E questo era, credo, l’ultimo appuntamento di Shakeloviana. Tireremo le somme lunedì prossimo – e poi avremo finito del tutto.

Dic 15, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: Vergogna Sprecata

Shakeloviana: Vergogna Sprecata

AWoSOgni tanto la BBC fa queste cose – anzi, ogni poco. Una quantità di storia romanzata per la televisione, generalmente assai ben fatta, ben scritta, ben recitata. Poi a volte si vede che qua e là cercano di risparmiare, come il pur magnificamente scritto e interpretato Elizabeth I (Helen Mirren nel ruolo eponimo), i cui esterni girati in Lituania danno all’insieme un’aria un filo fasulla.

Come gli esterni di questo A Waste of Shame, titolo preso dal Sonetto 129 per un film televisivo che, come tante volte si è fatto, intreccia una storia attorno ai Sonetti e ai loro misteriosi protagonisti. L’abbiamo già detto, si tratta di un gioco a mezza via tra Cluedo e briscola in cinque*: un certo numero di possibilità, su cui si specula. Ebbene, il romanziere e sceneggiatore William Boyd va per una combinazione interessante. Il Bel Giovane è William Herbert, futuro conte di Pembroke, la Bruna Signora è una versione di Lucy Morgan, la prostituta (nord)africana, e  il Poeta Rivale è Ben Jonson – che non mi era mai capitato di veder candidato per il ruolo in narrativa. Will, interpretato da un bravo Rupert Graves, è gradevolmente terreno – per niente marmoreo, per niente etereo, per niente aulico. I Sonetti diventano cris-de-coeur, infatuazione, attrazione, passione, furia, amarezza, dispetto, e l’occasionale colpo basso da parte di un uomo decisamente in carne e ossa. Un uomo che trascura la sua famiglia perché se ne sente soffocare, che coniuga felicemente scrittura per denaro e moti del cuore, che non sa troppo bene che fare di questa attrazione per il Bel Giovane, è geloso come un gatto del Poeta Rivale e cerca la Bruna Signora più per appetito della carne che altro.**

Boyd gioca un po’ disinvoltamente con le date, c’è qualche incongruenza qua e là, e ho qualche piccolo dubbio sparso in fatto di costumi e di riscaldamento – ma l’insieme è bello a vedersi, l’atmosfera è densa e convincente, la sceneggiatura in generale e i dialoghi in particolare  sono molto buoni, così come gli attori – con l’eccezione del giovane interprete di William Herbert. Grazioso ragazzo, ma espressività limitata… D’altra parte, si suppone che Herbert sia bello e vacuo, per cui forse la cosa è intenzionale. Come dicevo, peccato per gli esterni. Non sono riuscita ad appurare se si tratti di nuovo della Lituania (e potrebbe: c’è un certo qual feel esteuropeo, qua e là…), o se Londra e Stratford siano ricostruite in studio. Quel che è certo è che, in qualche modo, non ha un’aria terribilmente elisabettiana.

E tuttavia è una magagna che si può perdonare, in vista della qualità generale e della buona scrittura.

Al solito, semmai a questo punto foste curiosi, A Waste of Shame si trova su Amazon

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* Confessione: io a briscola in cinque non ci so giocare. Una volta sono stata trascinata a una specie di card party e piazzata a un tavolo armata di qualche fumosa spiegazione… Gli altri erano tutti espertissimi e concentratissimi. Si giocava senza nemmeno fingere di fare conversazione, e io me ne stavo lì, mettendo giù carte a caso e aspettando che si facesse tardi. Una serata lunghissima. E il ricordo di quella sera è la mia unica base per l’affermazione che ho fatto.

** Volete fare un’esperienza istruttiva? Aprite IMdB, cercate Waste of Shame e leggete le recensioni in cerca di quelle che lamentano la qualità eccessivamente terrena del Bardo in questo film… Ma come? S’indignano. Shakespeare viveva solo per la sua poesia! Nei Sonetti non c’è nulla di carnale e/o autobiografico! Il Bel Giovane e la Bruna Signora sono costrutti poetici, idee, astrazione pura! Eccetera…

Dic 8, 2014 - Shakeloviana    3 Comments

Shakeloviana: Happy Ends

Mass-produced colour photolithography on paper...Hm, d’accordo… Oggi è festa, giusto?

Logica vorrebbe che postassi musica, o cinema, o teatro… Ma è anche lunedì, giorno di Shakeloviana. E allora, sentite: la più spudorata via di mezzo che riesco a immaginare. Vi metto qui uno scampolo di qualcosa di mio. Ve l’avevo detto che era qualcosa di spudorato, giusto?

Happy Ends è un atto unico. Metateatro, fondamentalmente. Scrittura, teatro, significato, aspettative del pubblico, condizionamenti, Théophile Gautier, personaggi che si ribellano e – come forse si può intuire dal titolo – finali.

E Shakespeare, naturalmente. Che dialoga, litiga, si dispera e fa il prepotente con i suoi personaggi e con la posterità.

E quindi, o Lettori, da Happy Ends – un po’ prima della metà, con un po’ più di un terzo della popolazione in scena:

SHAKESPEARE
Non so che farmene di coppie felici, al momento. Mi serve una tragedia. Sono a contratto per una tragedia. Ho ricevuto due sterline e cinquanta d’anticipo per una tragedia. La compagnia del Ciambellano si aspetta una tragedia. E poi, che diavolo, voglio scrivere una tragedia. Qualcosa che dimostri la futilità delle illusioni e degli sforzi umani… Magari, provate a ripassare fra qualche mese, se volete proprio il lieto fine. Adesso come adesso, sono in vena di sciagure multiple e luttuosità miste assortite. A parte tutto il resto, oggigiorno queste cose vanno come il pane.

GIULIETTA
Se è per quello, sono sicura che il vero amore che vince tutto va ancora di più.

ROMEO
Ah, sì, l’amore che vince tutto. Non era quella, la nostra morale?

SHAKESPEARE
Bazzecole: la morale è che alle donne piace piangere a teatro, e allora Will Shakespeare scrive tragedie. Che non finiscono bene.

GIULIETTA
Pensandoci, però, perché non potremmo essere una commedia?

SHAKESPEARE
Perché con le due sterline e cinquanta d’anticipo ci ho già pagato l’affitto, due risme di carta e un paio di scarpe nuove. E perché, pur essendo un genio, proprio non vedo come potrei ambientare una commedia sullo sfondo di una faida tra famiglie.

ROMEO
E se levassi la faida tra famiglie?

SHAKESPEARE
(si prende la testa tra le mani e geme)
Perché? Perché? Perché?

ROMEO
Perché cosa?

MERCUZIO
Non so – ma azzarderei: perché devi pensare che la gente sia disposta a sborsare quattrinelli per vedere te e Giuliotta che amoreggiate e poi convolate a giuste nozze?

GIULIETTA
Senti, mastro Will…

SHAKESPEARE
Che cosa?

GIULIETTA
Pensavo: e se tu scrivessi due finali diversi?

SHAKESPEARE
…E poi?

MERCUZIO
E poi, verso la fine, si sonda l’opinione del pubblico: signore e signori, che cosa preferite che succeda adesso? Pollice verso per lacrime e suicidi incrociati, pollice al cielo per i fiori d’arancio. Votino, votino, prego.

GIULIETTA
To’… Non ci avevo pensato, ma si potrebbe anche fare. Tanto, cosa credi? Voterebbero tutti per il lieto fine.

SHAKESPEARE
Come ho fatto a non pensarci prima? E perché limitarsi a un bivio solo? Consultiamo il pubblico a ogni svolta della trama. Deve Romeo andare alla festa dei Capuleti? Deve Giulietta accettare di ballare con lo sconosciuto? Un genere nuovo. Lo chiamerò “Scegli La Tua Tragedia”.

[…]

GIULIETTA
Che male c’è a voler vivere felici per molti anni?

MERCUZIO
Felici! Ahi ahi ahi ahi ahi!

SHAKESPEARE
Non solo per molti anni, anche felici?

ROMEO
Sennò siamo al punto di prima.

MERCUZIO
Mi sa che voi due non abbiate le idee per niente chiare, fanciulli. La morte, detto fra noi, è l’unico finale veramente sicuro.

SHAKESPEARE
Tutto il resto è aleatorio.

ROMEO
Aleatorio?

MERCUZIO
E dire che c’è stato un momento, un breve momento nell’atto secondo in cui sembravi quasi un ragazzo sveglio. Ah, come l’amore ottunde lo spirito e liquefa la schiena…

[…]

ROMEO
Ma aleatorio come?

MERCUZIO
E soprattutto, nulla lo smuove. Aleatorio. Incerto. Dubbio. Incalcolabile. Voglio dire: non ti uccidi qui e adesso e magari, domani mattina, mentre passeggi per la Piazza delle Erbe, ti cade in testa un cornicione e passi il resto dei tuoi anni a cinguettare come un passero delle Indie Occidentali.

ROMEO
Che cosa sono le Indie Occidentali?

MERCUZIO
Non saprei… Ho detto Indie Occidentali?

SHAKESPEARE
Colpa mia, scusa. Dev’essermi scivolato un anacronismo.

GIULIETTA
E se invece che di passeri e di indie e di cassette ci occupassimo di cose più urgenti? Perché tornando a noi,  basta che mastro Will non ci faccia morire e poi, alla fine, scriva che vivremo felici per molti e molti anni.

SHAKESPEARE
Ah, ma quello non vuol dire niente. È solo una formula convenzionale, dopodiché può andare in qualsiasi modo.

ROMEO
(inascoltato)
Io non ho ancora capito la faccenda delle Indie Occidentali…

GIULIETTA
Com’è che se c’è da ucciderci sei il fato onnipotente, e se c’è da lasciarci vivere non puoi farci niente?

SHAKESPEARE
Detto così suona un nonnulla brutale, vero?

GIULIETTA
Non è giusto!

SHAKESPEARE
Dio ci scampi e liberi dal tuo concetto di giustizia. Cacciati in testa che io mi occupo di te solo finché non cala il sipario. Dopodiché posso anche sperare che ti vada tutto bene, in via di principio e se non mi hai fatto irritare troppo – ma non è detto, e non sono io che posso farci qualcosa. Se non vuoi morire, dopo la fine c’è un altro giorno, e poi un altro, e poi ancora.

GIULIETTA
A meno che tu non scriva un seguito.

SHAKESPEARE
(la squadra da capo a piedi, e poi fa lo stesso con Romeo)
Non è che ne abbia una gran voglia.

Eccetera, eccetera, eccetera…

Buon otto di dicembre.

Dic 1, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: (In Disgrazia Con) La Fortuna E Gli Uomini

Shakeloviana: (In Disgrazia Con) La Fortuna E Gli Uomini

William ShakespeareRiparliamo di Josephine Preston Peabody che, prima di Marlowe, aveva già scritto un atto unico intitolato Fortune and Men’s Eyes, in cui dava la sua interpretazione dei Sonetti.

C’è Shakespeare, ovviamente, e c’è un giovane Pembroke brillante e limitatamente contrito, e c’è un’ardente Mary Fitton che ha levato Pembroke a Shakespeare, finge di esserlo ancora per vedere che cosa ha da temere – e si ritrova, dopo tutto, ancora presa del suo disilluso sonettista… Ma è troppo tardi.

E questa è la trama in breve, e tutto si svolge in una taverna – in pseudo pentametri iambici e nel giro di poche ore – complicato dalla presenza di un’altra dama di corte tanto svampita quanto petulante, di un guardiano d’orsi, del figliolino dell’oste – più l’oste stesso, un predicatore puritano, un venditore di ballate, un apprendista…

Un sacco di gente, per un atterello unico più breve che no – e questo da un lato risale agli usi di un’età arcadica, in cui le compagnie non si affannavano soverchiamente sulla quantità di gente da mettere in scena, e dall’altro denuncia un po’ l’inesperienza dell’autrice. Francamente, almeno metà di questa nutrita popolazione è dov’è per motivi poco più che decorativi – ma lo ripeto: son cose che si fanno quando si è nuovi del mestiere.

In compenso, la rete di tensioni e tradimenti che corre tra l’Attore, Pembroke e Mary è ritratta tutt’altro che male, e i versi zoppicano qua e là, e ogni tanto trascorrono nel purpureo – ma nel complesso scivolano bene ed edulcorano ben poco. Tutti sono arrabbiati con se stessi e reciprocamente, disillusi, pieni di rimpianti e/o rimorsi, amareggiati, innamorati malgré soi, incerti. Tutti mentono, dubitano e rimpiangono – ma non c’è modo di tornare indietro. E in mezzo a tutto ciò, camminano e inciampano ignari e innocenti (e più che un nonnulla ottusi) tutti gli altri personaggi di cui si diceva… Alla fin fine l’insieme ha il suo perché, ma è e resta lavoro d’apprendista.

Rispetto al Marlowe dell’anno successivo, Fortune manca di varie cose. Manca di respiro – ma d’altra parte ha quattro atti di meno. Manca di un finale vero e proprio – in Marlowe, Kit va incontro alla sua fine desolatamente prometeica, e qui… be’, ciascuno se ne torna per la sua strada. Manca di equilibrio – troppa gente, troppa enfasi qua e là, troppi fischietti e campMary Fittonanelli. Manca di quel taglio di luce dorata che in Marlowe bilancia la malinconia amarognola di fondo. Manca di movimento interno – i personaggi non hanno il tempo e lo spazio per il minimo cambiamento.

Alla fine, la più viva di tutti è Mary Fitton che, di conseguenza, è anche la più esposta all’occasionale scivolone purpureo – ma Mary la sirena, Mary l’incantatrice, Mary dalle mille voci, Mary che avrebbe dovuto nascere avventuriero e navigatore, è il centro scuro e crudele di tutto quanto.

Una nota finale per dire che fra le tre possibili Brune Signore dei Sonetti che compaiono a teatro e nei romanzi, per qualche motivo Mary Fitton è quella che riscuote meno simpatia da parte dei suoi autori. Lucy Morgan è sempre la coraggiosa ragazza di colore che, più o meno ingenua, si fa strada tra pregiudizio e sventure assortite. Emilia Bassano Lanier è l’artista temperamentale e spregiudicata con un senso dell’umorismo. Mary Fitton non l’ho mai vista ritrarre altro che fredda, calcolatrice, ambiziosa e crudele, manipolatrice, tentatrice, separatrice di amici/amanti per il gusto di farlo… A suo modo, la cosa è interessante.

E al solito, semmai voleste leggere, Fortune and Men’s Eyes si trova su Internet Archive.

 

 

Nov 24, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: Marlowe – Dramma in Cinque Atti

Shakeloviana: Marlowe – Dramma in Cinque Atti

English: American poet and playwright Josephin...Oh well – prima o poi doveva succedere, giusto?

Sono secoli che vi dò il tormento a intervalli con il Marlowe di Josephine Preston Peabody, giusto?

Si tratta di un play datato 1900 (anno, non secolo), e ci sono inciampata per la prima volta su Questia, of all places, mentre facevo ricerche per un romanzo che non ho mai finito. Come forse poteva esservi venuto in mente di sospettare, adoro questo arnesetto vecchia maniera, scritto in pentametri giambici sciolti e provvisto di un Kit particolarmente simpatico. JPP ha un inequivocabile debole per il suo protagonista*, ma si ferma un passo prima di renderlo insopportabilmente perfetto. Se vogliamo, si tratta di un Kit idealizzato e tardo-vittorianizzato – ma ricordiamoci che siamo in epoca pre-Hotson, quando la maggior parte di ciò che sappiamo di controverso era ancora ben lungi dall’essere scoperta. Niente di troppo strano che il Kit della zia Josephine sia tutto sommato quello di Tennyson: un giovanotto fiammeggiante, temperamentale, ambizioso, pieno di aspirazioni e visioni, vittima della sua stessa donchisciottesca imprudenza, ma ancor più dell’altrui meschinità e bassezza.

E poi c’è una manciata  di altri allegri poeti, c’è una dama di corte del tutto sprovvista di cuore, c’è una tenera fanciulla di Canterbury con due corteggiatori – uno dei quali è Richard Bame/Baines. Così Kit si mette in guai progressivamente peggiori, ammira la dolce Alisoun in via del tutto platonica, dispera di se stesso e del mondo in generale, fa ingelosire Bame/Baines senza nemmeno provarci e, alla fine, riesce a farsi uccidere dal Francis Archer del registro di Saint Nicholas… verrebbe da dire per caso o per conformità ai documenti, se JPP non fosse riuscita a infondere al suo arco narrativo un’ineluttabilità quasi tragica.

Un’ineluttabilità che aggiunge una luce diversa all’insieme.

Perché a prima vista Marlowe potrebbe sembrare una delle tante fantasie elisabettiane del suo genere, in versi più fluidi della media, in colori da scatola degli acquarelli – il genere di play che si mette in scena con costumi period, scene dipinte, luci color miele… E però poi sotto la grazia vecchia-maniera c’è la desolata costatazione che il mondo è sempre troppo piccolo per Prometeo, e Prometeo (in questo caso un Kit più sognatore e malinconico della media) non può fare altro che bruciarsi alla sua stessa fiamma.

A suo tempo il play ebbe un buon successo, e lanciò la carriera di JPP come autrice teatrale. Mi piacerebbe molto trovare qualche immagine in proposito, ma finora le mie ricerche non hanno prodotto risultato alcuno. Poi, naturalmente, venne Leslie Hotson, e tutto quel che c’era stato prima invecchiò male. Se, nonostante questo, siete curiosi, il play si trova, come spesso accade, su Internet Archive, in una varietà di formati.

 

 

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* Sì, be’ – non è come se non la capissi…

Nov 17, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: Tales of the Mermaid Inn

Shakeloviana: Tales of the Mermaid Inn

Alfred Noyes (1880–1958), English poetAlfred Noyes era uno di quegli autori inglesi a cavallo tra Otto e Novecento – quella gente prolifica e versatile, che scriveva un sacco in un sacco di generi. Poeta, romanziere (di fantascienza), narratore, saggista, polemista, Noyes rimase celebre più che altro per i suoi poemi narrativi, tra tutti il melodrammatico The Highwayman.

A noi, tuttavia, interessa di più la raccolta Tales of the Mermaid Inn, datata 1913. È una faccenda in versi (pentameti giambici e altre cose), al cui narratore capita quello che tutti vorremmo ci capitasse…

Oh, d’accordo: quello che io vorrei tanto mi capitasse. Mentre passeggia per Londra, perso in un umor storico-sentimental-letterario, il nostro narratore si ritrova spedito indietro nel tempo – agli anni Novanta del Cinquecento, nonché cameriere alla Taverna della Sirena. E la Sirena è ben frequentata: Shakespeare, Marlowe, Ben Jonson, Thomas Nashe, Raleigh…

Così il nostro serve birra e pasticci di carne ai più bei nomi del teatro elisabettiano, e li ascolta disquisire e raccontare in versi, scambiarsi canzoni e comporre à l’impromptu. C’è Walter Raleigh che racconta storie di mare, ci sono Marlowe e Jonson che trasformano il giovane Shakespeare bracconiere in una specie di Robin Hood, c’è un controtestamento assai meno bilioso lasciato dal defunto Robert Greene, c’è il puritano Richard Bame che origlia le stravaganze di Marlowe, c’è uno sconvolto Tom Nashe che di Marlowe racconta singhiozzando la morte…

Ed è chiaro che, tra i due festeggiati, Noyes ha una simpatia particolare per Marlowe, che ci presenta nella versione prometeica, tutto genio, fuoco e poesia – e persino bello come il sole. Benché dapprincipio non sembri, il povero Shakespeare è quasi un personaggio di contorno.The Mermaid Inn - artistic impression

Una volta di più, siamo pre-Hotson: quel che succede a Deptford è un delitto passionale di caratura non elevatissima (ma la colpa è tutta della ragazza dissoluta, fedifraga e bugiarda), e invece di Baines-la-spia ci ritroviamo Bame-il-puritano. Una volta o l’altra dovrò indagare per bene da dove saltino fuori questo spelling e questa persuasione religiosa… Ziegler, Preston-Peabody, e adesso Noyes: dovranno pur aver preso tutto ciò da qualche parte, giusto?

In conclusione: TotMI è una di quelle cose, come i libretti d’opera e i quadri di William Shakespeare Burton, che sono il frutto di una certa epoca, di un certo modo di romanticizzare la storia. Non mi sentirei di dire che la raccolta sia invecchiata benissimo – eppure la lettura è pittoresca e tutt’altro che sgradevole. Forse il merito è di una certa luce amarognola che stempera la nostalgia dorata per un’epoca incandescente, magnifica e pericolosa. Mentre prepara la scena come se fosse un fondale dipinto, Noyes ci strizza l’occhio: “Noi vogliamo immaginarcela così, questa Londra,” ha l’aria di dirci. “Ma ricordiamoci che così è qualcosa di pieno di ombre…”

Se volete dare un’occhiata, trovate TotMI in vari formati su Internet Archive.

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