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Set 1, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: Kit Marlowe

Shakeloviana: Kit Marlowe

138Kit Marlowe, di David Grimm, è stato prodotto per la prima volta nel 2000 ed è, tutto sommato, una strana bestia.

È un drammone affascinate ed eccessivo in tutto: linguaggio, effetti, complicatissime note di scena, quantità di personaggi, omicidi in scena, oscenità, sangue a secchiate, scene madri, voli pindarici… E tutto è gonfio e truce e rutilante.

Il Kit eponimo se ne va attorno in una frenesia di estremi – vitale e suicida, fiammeggiante e spaventato, assetato di conoscenza e ossessivo. È un Tamerlano pieno di nevrosi, un Faustus che vende l’anima a Walsingham anziché al diavolo, un Guisa vorrei-ma-non-posso, e alla fine un Edoardo che si sacrifica per il suo Gaveston (un Tom Walsingham tra soggiogato e disilluso).

Ci sono scene, come la navigazione notturna con Sir Walter Raleigh, che devono essere un incubo registico – ma, a patto di farle come si deve, hanno una potenza innegabile. Altre, come il passaggio in cui Kit si mette deliberatamente nei guai con il libello anti-olandese per sfidare il Servizio, non starebbero male in un film muto. E ad essere sinceri, si ha la sensazione che ad abbondare sia il melodramma al quadrato, e non è come se il linguaggio lussureggiante e sovraccarico fosse di grande aiuto – o forse sì?

Non ho mai visto questo play in scena, ma mi piacerebbe molto sentire come funziona in teatro – proprio perché già la lettura è un’esperienza singolare: irritante nella sua purpurea sovrabbondanza, eppure – eppure…

Perché il fatto è, vedete, che tutto ciò è così vivido, e così – non c’è altra parola – marloviano. DGKM

Non si può fare a meno di pensare che un nonnulla di misura, qualche taglio qua e là, qualche fioritura metaforica in meno e un uso più sottile dei simboli gioverebbero al risultato complessivo, ma a dire il vero, quale tragedia elisabettiana – e soprattutto quale tragedia di Marlowe – era misurata, sobria e sottile? Grimm può avere peccato di zelo, ma di sicuro ha colto un certo spirito, e l’ha colto in modo tanto acuto che persino il suo melodrammatico finale riesce a suonare, in qualche modo, quasi credibile.

Naturalmente, di traduzioni nemmeno l’ombra. Consiglio la lettura? Francamente, non lo so. Come ho detto, è un’esperienza – e a me alla fin fine è piaciuto – ma ammetto che forse richiede un nonnulla di dedizione alla causa. Se siete interessati, tuttavia, Kit Marlowe si trova su Amazon.

 

Ago 25, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: L’Informatore

Shakeloviana: L’Informatore

SilbertITPer una volta parliamo di un libro tradotto in Italiano – e indovinate un po’? Non è un granché.

Due piani temporali – e fin qui tutto bene. Kit Marlowe nel 1593 e Kate Morgan ai giorni nostri – e già la scelta del nome dell’eroina non sembra prometere il massimo della sottigliezza. Voglio dire, nomen omen nel 21° secolo? Andiamo! Tanto più che Kate è laureata in storia e letteratura elisabettiana, ma si è messa a fare l’investigatore privato e l’agente della CIA… Eh già: letterata & spia, proprio come il suo semiomonimo quattro secoli prima.

Hmf.

Ma ancora non basta perché, guarda un po’ il destino, a Kate capita il caso di un misteriosissimo manoscritto riemerso dopo secoli, e di che si deve trattare, se non di qualcosa di elisabettiano cifrato da Thomas Phelipes, il crittografo e steganografo di Sir Francis Walsingham – nonché collega di Kit Marlowe?

E così le due storie si intrecciano viepiù, mentre entrambi i protagonisti cercano qualcosa e hanno perso qualcuno – e se la parte elisabettiana tutto sommato può anche funzionare, è un gran peccato che sia sacrificata, sacrificatissima al lato moderno, che è scritto molto peggio e che procede saltellon-saltelloni, farcito d’improbabilità, coincidenze, divagazioni e clichés verso un finale affrettato e pasticciato…

Tanto la quarta di copertina quanto la popolazione della metà moderna si affannano prima di subito ad informarci di quel che accade a Kit a Deptford – qualora lo ignorassimo – ma tanta insistenza sa un pochino di coda di paglia: scrivere un duplice thriller di cui per metà il lettore conosce già l’esito richiederebbe una spudorata abilità nel confondere le carte, seminando sorprese e dubbi lungo la strada… cosa che in questo libro, alas, non succede affatto. Chiaramente si vorrebbe che, sapendo di Deptford, ci sentissimo in ansia per il modo in cui la sorte di Kate sembra destinata a seguire il binario della sorte di Kit… Il guaio è che non funziona e, se funzionasse, Kate è un personaggio talmente piatto e convenzionale che avremmo difficoltà a sentirci in ansia per lei. Silbert

Ripeto, la parte elisabettiana è leggermente migliore. È quasi un peccato che la Silbert non si sia limitata a un romanzo storico sul servizio segreto di Sir Francis Walsingham prima e dei Cecil/di Essex poi… Solo che poi si getta un’occhiata alla bio dell’autrice in cerca di lumi sulle ragioni di questa malguidata commistione, e si scopre che Leslie Silbert è laureata (a Harvard) in storia e letteratura elisabettiana e fa l’investigatrice privata con un collega ex CIA… Se è tutto vero, spiega molte cose – e deve essere il motivo per cui a qualcuno è parso bello pubblicare il romanzo. Se non lo è, come tattica di marketing forse non è stata la più sottile delle scelte.

E ad ogni modo, se proprio volete un enigma legato a The Intelligencer/L’Informatore, ve ne propongo uno io: perché, perché, perché, con tutti i buoni e ottimi libri su Kit Marlowe che l’editoria anglosassone ha prodotto, in Italia deve essere arrivato proprio questo?

 

Ago 18, 2014 - Shakeloviana    2 Comments

Shakeloviana: Whiskey And Water

Cover of "Whiskey and Water: A Novel of t...E questa è un’altra di quelle serie in cui sono entrata da un volume successivo al primo – perché in quel volume c’era Marlowe. Che vogliamo farci?

Ad ogni modo, con la serie chiamata The Promethean Age Elizabeth Bear ha creato un mondo complicato e iridescente, in cui esseri fatati ed esseri umani convivono, per lo più in cauta sfiducia e occasionali sconfinamenti – e ogni tanto si fanno la guerra. A fare da sentinella dal lato umano è il Prometheus Club, una società segreta fondata in epoca elisabettiana, magi abbastanza potenti da essere riusciti, attraverso le generazioni, a bandire gli esseri fatati e a limtarne drasticamente l’influenza. Naturalmente non è come se gli esseri fatati fossero contenti, e ogni tanto provano a riprendersi quel che considerano loro… e in più ci sono l’Inferno e il Paradiso che interferiscono con fini non sempre comprensibilissimi.

All’inizio di Whiskey and Water sono passati sette anni dall’ultima sanguinosa recrudescenza – che ha avuto luogo a New York e nella fatata Annwn, e che è costata parecchie vite. A New York il malconcio Mattew Szczegielniak (no, davvero…), protettore magico della città nonostante l’invalidità fisica e magica, arriva per primo sulla scena di uno strano delitto – e si fa subito l’idea che Quegli Altri abbiano intenzione di riprovarci. Pur riluttante e disilluso gli toccherà ricominciare daccapo, se non altro per sondare l’intricatissima rete di contatti, rivalità e secondi fini che lega le due corti fatate, il Paradiso, l’Inferno e quel che resta del Prometheus Club che credeva di essersi lasciato alle spalle…

W&W è un fantasy complesso, letterario, affollatissimo, popolato di favolosi personaggi e assai ben scritto (soprattutto descrizioni vivide e dialoghi da leccarsi i baffi), che fonde, intreccia e riscrive folklore, letteratura e miti di mezzo mondo. Un po’ cerebrale a tratti – ma affascinante.

E Marlowe? Be’, secondo Elizabeth Bear Kit, uno dei membri del Prometheus Club originario, è finito all’Inferno – del che non siamo terribilmente stupiti – ed è stato per un certo numero di secoli l’amante del diavolo. Di più di un diavolo. E anche della Fata Morgana. E… sì, si è dato da fare – ma poi ha trovato il vero amore, e il vero amore ha fatto una pessima fine durante la battaglia di Times Square. Così Kit lascia l’Inferno con l’intenzione di vendicarsi sfidando a duello l’arcimaga prometeica Jane Andraste, che è l’ex mentore di Matthew e anche la madre dell’attuale regina delle fate…

Sì, è tutto un nonnulla complicato – ma molto soddisfacente, e il Kit di Elizabeth Bear è un piacere a leggersi: irrepressibile e malinconico, leale e vendicativo, spericolato e calcolatore… Quando il solitario Matthew, che quando non è occupato a salvare il mondo insegna letteratura elisabettiana, si ritrova ad allacciare un’inattesa e stretta amicizia con l’autore di Tamerlano, non possiamo non invidiarlo un pochino.

O quanto meno, io non posso – ma si sa che sono di parte.

Ad ogni modo, di traduzioni nemmeno l’ombra, ma la lettura è consigliata a patto che non abbiate un’invincibile avversione per il genere. E se siete lettori di fantasy… well, nonostante il drago, non aspettatevi lo Hobbit.

Ci sono anche altri due volumi di ambientazione più strettamente elisabettiana – presumo che li si possa considerare un duplice prequel (orribile parola!), e prima o poi li leggerò. Semmai, vi farò sapere.

 

 

Ago 11, 2014 - Shakeloviana    3 Comments

Shakeloviana: Titolo Sconosciuto

Sì, be’, questo è un lunedì shakeloviano un po’ diverso dal consueto – perché il libro di cui parliamo è un ricordo, e nemmeno precisissimo.

E a dire la verità, non è nemmeno come se lo avessi letto tutto…

Dunque, cominciamo dal principio. Ero alle medie – il che vuol dire che sono passati ventotto o ventinove anni. Ora d’Italiano, e  invece di ascoltare, leggevo su e giù per l’antologia. Forse erano interrogazioni altrui, perché alle medie ero una brava bambina e facevo quel che mi si diceva di fare e ascoltavo le lezioni… ma tant’è.

Curiosando per l’antologia, che era alta una spanna, mi ero imbattuta in una sezione di brani più lunghi, destinati ad essere letti durante le vacanze. Erano suddivisi per temi, e c’era una sezione dedicata ai ragazzini che praticavano le arti. C’era la storia di Priscilla,  giovanissima allieva della scuola di ballo della Scala, che faceva il topo in una produzione (immagino) dello Schiaccianoci, e c’era qualcuno, forse il coreografo, la cui pronuncia non milanese (diceva “topi” con la o chiusa) era motivo di stupore e ilarità tra le ballerinette…

E c’era Tom. Tom eraBoyPlayer un boy player elisabettiano, probabilmente al Globe. Era in adorazione di Will, il poeta della compagnia, ed entusiasta della sua prima parte importante. Non ricordo quale fosse la parte, né quale fosse la tragedia. Romeo e Giulietta? Può essere. Ma poteva essere anche Amleto… non so. Quel che ricordo è che Tom se ne tornava a teatro tutto trionfante, brandendo una copia pubblicata del testo, che aveva comprato per studiare la parte… solo per ricevere una solenne sgridata da Will. Avvilitissimo e scombussolato, Tom scopriva da un altro attore di avere comprato a caro prezzo una stampa non autorizzata, scritta in base alla memoria imperfetta di un attore mercenario, e piena di errori, omissioni e imprecisioni – il genere di cose che mandava Will fuori dai gangheri. “Studia per bene la tua parte e non preoccuparti,” consigliava l’attore comprensivo. “Vedrai che gli passa.”

Ecco tutto. Quasi trent’anni fa non sapevo nulla di Shakespeare, della Londra elisabettiana, dei bad quartos, dei ragazzini in parti femminili, dei pirati-stampatori, di Gabe Spenser che forse – forse forse aveva venduto Romeo e Giulietta a quel mascalzone di Danter. E di sicuro non sapevo che un giorno queste cose sarebbero diventate la mia passione. Però la lettura mi aveva colpita abbastanza per rimanermi impressa attraverso tre decenni.  Direi che, se il Macbeth al Teatro Romano di Verona, più o meno alla stessa epoca, è stato il mio primo Shakespeare, questa pagina d’antologia è stata il mio primo contatto con la Londra elisabettiana.

Quel che mi dispiace è di non ricordare né titolo, né autore, né se il brano appartenesse a un libro italiano o tradotto, né nulla di utile… Ad essere sinceri, dopo tutto questo tempo, non sono più nemmeno del tutto sicura che il protagonista si chiamasse Tom. Ripetute ricerche nella vecchia riserva di antologie di mia madre non sono servite a nulla, e neppure internet, per una volta, è del minimo aiuto.

Per cui, niente. Oggi non ho titoli per voi. Soltanto il vago ricordo di un libro per fanciulli che mi piacerebbe molto ritrovare. Qualcuno per caso ha idea?

 

Ago 4, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: A Plague Of Angels

Shakeloviana: A Plague Of Angels

PLagueChe i Carey Mysteries di P.F. Chisholm mi piacciano tanto non è una novità. Ben costruiti, ben ambientati, ben scritti, provvisti di dialoghi scintillanti e un’irresistibile popolazione di personaggi storici e fittizi, sono una gioia da leggere, e probabilmente la migliore serie di gialli storici in cui mi sia imbattuta da quando ho cominciato a interessarmi al genere.

Dubito che vi stupirete granché se vi dico che, invece di cominciare dal primo volume come fa la maggior parte della gente sensata, sono entrata di lato – dal quarto volume, per l’ottimo motivo che in A Plague of Angels compaiono Marlowe&Shakespeare. Soprattutto Marlowe.

Perché dopo avere investigato omicidi sul Border anglo-scozzese per tre volumi, Sir Robert Carey viene imperiosamente richiamato a Londra da suo padre, il formidabile Lord Hunsdon – Lord Ciambellano e primo cugino (e forse anche fratellastro sub rosa) della Regina Bess. Non è il tipo di convocazione cui si dice di no, soprattutto quando si è ultimogeniti squattrinati in perenne dipendenza dalla borsa paterna…

E così Carey si avvia a sud, e si trascina dietro il suo recalcitrante secondo, il Sergente Henry Dodd – attraverso i cui occhi semi-scozzesi (ma guai a dirglielo!) vediamo la grande, affollata, malsana, malsicura, sconcertante Londra Elisabettiana. I nostri due, che a questo punto sono bene avviati verso tanta spigolosa amicizia quanta ne consente la differenza sociale, si ritrovano a indagare su una faccenda di monete false, alchimia, fratelli scomparsi e giochi di potere – ma a mio timido avviso, per quanto la trama gialla sia davvero molto buona, tre quarti della gioia stanno nella gente storica che attraversa il libro. Carey, il suo irascibile padre, il gobbo e sottile Sir Robert Cecil, Emilia Lanier, l’orribile torturatore Richard Topcliffe, la Regina in persona, l’impossibile Robert Greene e, l’ho già detto, Shakespeare e Marlowe.

A parte Greene – sempre troppo ubriaco per far altro che danno casuale – tutti hanno secondi e terzi fini, tutti sono agenti di qualcun altro, tutti hanno segreti da nascondere. Persino il prudente Shakespeare, che tra un dramma e una tragedia, cerca di inserirsi nel servizio di spionaggio dei Cecil – e forse troppo prudente non è, considerando lo spudorato interesse che mostra per la bella amante di Lord Hunsdon. E Marlowe… be’, siamo a metà 1592, quando le cose per Kit cominciano a prendere l’inconfondibile forma di una pera: Chisholm lo dipinge sul punto di perdere il controllo, talmente preso dai suoi intrighi, talmente doppiogiochista, talmente imprevedibile che nessuno si azzarda a fidarsi di lui. Decisamente il tipo d’uomo destinato a non morire nel suo letto.

L’idea di fondo delle due caratterizzazioni non è originalissima: uno Shakespeare un po’ grigio, ma sempre occupato ad annotare tutto quel che sente per tradurlo in poesia, e un Marlowe fascinoso, fiammeggiante e del tutto inaffidabile, pericoloso per se stesso e per gli altri. Epperò, il modo in cui Chisholm svolge il tema è favoloso e originalissimo – non ultimo per lo stratagemma di mostrarci i due mostri sacri del teatro elisabettiano attraverso gli occhi spassionati e per nulla impressionati del granitico Dodd.

Alas, niente traduzioni – ma se siete in grado di affrontare un Inglese appena un po’ complesso, la lettura è consigliatissima.

Lug 31, 2014 - Shakeloviana    2 Comments

Piccolo Promemoria Così

Al volo. Vi ricordate di Gonzaga domani sera, vero?

ElizinFrameCirca1589

S&M

Se siete nei dintorni e se v’incuriosisce l’idea di una romanzesca rivalità poetica tra due uomini che più diversi non si può, vi aspetto venerdì I Agosto, alle 21, nel bel chiostro dell’ex Convento di Santa Maria. …

Lug 28, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: The Player’s Boy

Shakeloviana: The Player’s Boy

1628599In realtà ci sono almeno due libri con questo titolo, ma oggi parliamo di Antonia Forest, prolifica autrice per ragazzi negli anni Sessanta, con un paio di romanzi storici al suo attivo.

Il primo è questo – e cominciamo dicendo che, a differenza di altri romanzi per fanciulli, lo si legge volentieri anche da adulti. La storia è quella, tutt’altro che inusuale in narrativa, di un ragazzino che fugge di casa e si ritrova in un mondo vasto e inaspettato e scopre la sua vocazione, ma ci sono alcuni particolari a differenziarla dalle centinaia di altre simili.

A undici anni, Nicholas Marlow è un orfano fortunato. Vive con un fratello molto maggiore, agiato e indulgente, e la sua giovane moglie – e studia con profitto, se non con grande soddisfazione, alla grammar school.  I guai cominciano quando, in vista della nascita del primo figlio, fratello e cognata decidono di mandare Nicholas come pensionante presso la scuola. Allontanati da casa a undici anni, ci si sente traditi – e si fanno salti logici non indifferenti: per non volersene stare lontano da Trennels fino a Natale, Nicholas non trova di meglio che fuggirsene a Londra con l’aiuto di un ospite occasionale del fratello – l’affascinante quanto allarmante Kit Marlowe, che si potrebbe ascoltare per ore, che non ha la minima remora a dichiararsi (gasp!) ateo, e che conosce Sir Walter Raleigh.

Perché la grande idea di Nicholas è quella d’imbarcarsi per il Nuovo Mondo, e in quest’epoca di spelling fluido, non sarà difficile farsi passare per un cugino del ben connesso Marlowe… Ma è la fine di maggio del 1593, e tutti sappiamo che succede: Kit viene ucciso a Deptford, e Nicholas si ritrova da solo. Ci vorrà qualche avventura prima di trovarlo installato come apprendista attore presso la Compagnia del Ciambellano, dove un altro poeta, un certo Will Shakespeare, si prende sommaria cura di lui, in parte per buon cuore e in parte perché lo crede cugino del defunto Kit.

Seguono teatro, bugie, cospirazioni cattoliche e avventure miste assortite, tutto molto grazioso a leggersi, ben raccontato e gradevole – ma quel che conta ai fini di Shakeloviana l’abbiamo già visto. Un’era elisabettiana un po’ di fantasia (soprattutto in fatto di disinvolture sociali) e Kit & Will visti attraverso gli occhi di un ragazzino.

Marlowe è affascinante e pericoloso, pieno di ombre e di misteri e alla fin fine irresponsabile, ma capace di simpatizzare con l’infelicità e l’irrequietezza di Nicholas. Probabilmente non è una buona idea aiutare un undicenne a scappare di casa – soprattutto se poi ci si fa uccidere, lasciando l’undicenne in questione in un mare di guai – ma per tutto il libro, quando qualcuno gliene parlerà male, Nicholas continuerà a ripetere che Marlowe è stato buono con lui. Shakespeare, per contro, è affidabile, paziente e gentile, e diventa una presenza rassicurante nella vita di Nicholas, accompagnandolo alla maturazione e sviluppando per lui un affetto quasi paterno, soprattutto dopo la morte di Hamnet.

Quel che colpisce di questo romanzo, è come il rapporto del fittizio Nicholas con questi due uomini diventi una graziosa metafora del ruolo di entrambi nella creazione del teatro moderno: Marlowe è quello audace e pericoloso, che rompe con i precedenti e dà inizio a un nuovo corso di cose, mentre Shakespeare, una volta “ereditato” Nicholas, lo fa crescere sul piano personale e artistico…

Alla fin fine, non so se come romanzo per fanciulli TP’sB sia invecchiato benissimo – conosco molti fanciulli contemporanei che probabilmente ci si annoierebbero più che un pochino – ma un adulto, a patto di sorvolare sull’occasionale inaccuratezza nella descrizione dei rapporti sociali, può trovarci qualche soddisfazione. Per quanto ne so, non è mai stato tradotto in Italiano, ma il linguaggio è del tutto abbordabile – e la lettura vale la pena.

 

Lug 14, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: Entered From The Sun

Shakeloviana: Entered From The Sun

41Ms42H990L._SL500_AA300_Su Entered from the Sun, di George Garrett, ho fatto un diario di lettura, quasi quattro anni fa.

E a ben pensarci sono secoli che non posto un diario di lettura… ma non divaghiamo. In realtà in questo bizzarro romanzo non compaiono né Shakespeare né Marlowe, per cui sono stata a lungo incerta se includerlo in Shakeloviana. Alla fine decido di sì, perché è un libro notevolissimo, e perché, sebbene Kit non compaia mai in scena, è un’indagine sulla sua morte a occasionare la storia narrata da Garrett.

O dai suoi narratori – plurale, pluralissimo, perché di narratori ce ne sono a bizzeffe, e non sempre individuabili. Tutto questo libro è un mosaico di esperimenti narrativi, di punti di vista bizzarri, di dialoghi costruiti meravigliosamente, di mezzaloghi, di giochi narrativi, di voci, d’incastri, di personaggi sfaccettatissimi, di ambiguità morali, di reticenze, di menzogne, di fuochi d’artificio linguistici, di scenari dipinti, di false impressioni, di ribaltamenti… il tutto imperniato in apparenza attorno a una singola domanda: chi ha ucciso Kit Marlowe?

Ma s’impiega poco a rendersi conto che in realtà le questioni in gioco sono ben altre…

È un romanzo complesso, intricato, affascinante oltre ogni dire. Una piccola enciclopedia di meccanismi narrativi e di scrittura stilizzata – nonché 101 modi per imbrogliare con grazia il lettore. Letto con lo spirito giusto – ovvero una piena disponibilità a lasciarsi condurre attorno – è una virtuosistica delizia.

Figurarsi se è stato tradotto, e per quanto riguarda l’originale, questa volta devo consigliare (vivamente) la lettura a chi con l’Inglese ha qualche dimestichezza. George Garrett, prima di essere un romanziere era un poeta – e si sente molto.

Il mio diario di lettura, ovvero La Clarina Irreparabilmente Catturata Da Un Libro Che In Teoria Non Dovrebbe Piacerle Nemmeno Un Po’, si trova qui, qui, qui e qui.

A riprova del fatto che la teoria è teoria – e poi c’è la Scrittura con la S maiuscola.

 

 

Lug 7, 2014 - Shakeloviana    4 Comments

Shakeloviana: Enter A Spy

EnterASpy017Herbert Lom era un attore inglese di origine cecoslovacca – e non so voi, ma io lo conosco distrattamente per quell’incantevole film che è La Signora Omicidi e per una versione così così de Il Fantasma dell’Opera. Non avrei mai scoperto che ha scritto due romanzi storici, se uno dei due non fosse Enter A Spy – the double life of Christopher Marlowe.

E in realtà forse chiamarlo romanzo storico è un po’ tanto. Tolte una corposa (e un nonnulla prolissa) introduzione e un certo numero di illustrazioni, rimane una settantina scarsa di pagine dedicata agli avventurosi casi di Kit. Una novella lunga.

E in realtà non si tratta nemmeno di questo, e lo dice Lom stesso all’inizio della sua introduzione, raccontando che si tratta di un trattamento, lo studio preliminare per una sceneggiatura cinematografica. E si sente. Si sente nella narrazione scarna che procede per quadri molto visivi, si sente nelle transizioni di scena in scena, si sente nella natura del dialogo, si sente nella caratterizzazione. Si sente tanto che, se non avessi saputo che cosa aspettarmi, sarei rimasta perplessa nella migliore delle ipotesi.

Ma Merlin Press è un editore saggio – o lo era nel 1978 – e non ha tentato di contrabbandare Enter A Spy per qualcosa che non è, e così ho letto il trattamento con qualche soddisfazione. Ci sono buone cose in questa storia, come il modo in cui Kit si rovina da sé per incapacità di valutare le conseguenze delle sue scelte, come il senso di irreparabilità di ciascuna decisione avventata, come il ritmo serrato di cause ed effetti, come parte del dialogo – a patto che i personaggi non si mettano a teorizzare, perché allora si sente molto la cassa di sapone – come un certo numero di scene, come la caratterizzazione di Kit.

Dopodiché, tutti gli altri personaggi oscillano tra il convenzionale e il lievemente schizofrenico quando devono servire a più di uno scopo, e c’è un’attrazione appena abbozzata per una Frances Walsingham in Sydney particolarmente insipida, e c’è un personaggio fittizio che svolge parte delle funzioni di Robert Poley mentre Poley fa qualcosa di diverso, e c’è un finale melodrammaticissimo che impila una sull’altra tre coincidenze purpuree e maiuscole – compreso un Faust di fortuna recitato chez Mrs. Bull proprio omicidio durante…

Eh.

Eppure, sapete, forse al cinema funzionerebbe. Il finale, intendo. Preferirei di gran lunga comprimari disegnati con qualche finezza in più, thank you very much, ma il finalone gonfio potrebbe funzionare al cinema molto meglio di quanto funzioni sulla carta. Abbastanza da farmi quasi dispiacere che il progetto sia stato abbandonato e il film non si sia fatto.

Si direbbe che sia una costante: ogni tanto l’idea di un film su Marlowe emerge, si fa trattare o sceneggiare, magari va anche in pre-produzione – e poi frana a valle. Oh well.

Ma intanto, giochiamo al casting da salotto: dal trattamento ricavo l’impressione che a Lom non sarebbe dispiaciuta la parte di Sir Francis Walsingham, ma secondo voi, nei secondi anni Settanta, chi avrebbero reclutato per Kit?

 

Giu 30, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: Il Libro Segreto di Shakespeare

Shakeloviana: Il Libro Segreto di Shakespeare

Il-libro-segreto-di-Shakespeare-di-John-UnderwoodSia detto fin da subito e a scanso di equivoci: in questo post ho tutta l’intenzione di barare.  Perché – e magari qualcuno di voi se ne ricorderà – su questo romanzo ho postato, lungamente e acidamente, un paio di anni fa. Per cui, prima della fine vi provvederò di un link in direzione di quel post lontano lontano – ma prima bagoliamo un pochino.

E cominciamo col dire che, se vi parlo per la seconda volta del Libro Segreto di Shakespeare (henceforward known as il LSdS), non è perché mi piaccia alla follia, dininguardi, ma perché è una bizzarria editoriale.

Per dire, a differenza di molti titoli di Shakeloviana, non solo lo trovate in Italiano, ma se per caso vi pungesse vaghezza di leggerlo in Inglese, non ci riuscireste – per l’ottimo motivo che non c’è niente del genere. All’inizio del 2012 Gene Ayres gridava alla cospirazione accademica per giustificare il fatto di non avere trovato un singolo editore anglosassone disposto a pubblicarlo – e si direbbe che, due anni e mezzo più tardi, le cose non siano cambiate. Francamente, non so dare torto agli editori anglosassoni…

In Italia questo thrillerino lasco lasco dalla trama piena di buchi grandi come il Kent*, era arrivato via Newton Compton, pensato per seguire di poco l’uscita dell’altrettanto debole Anonymous, film con cui – nonostante la copertina furbastra – non ha in comune granché, se non il livore antistratfordiano. Ad ogni modo, Ayres si era presentato al pubblico peninsulare rilasciando una serie di interviste tra il complottista e il melodrammatico, in cui gridava alla congiura del silenzio che, a suo dire, sarebbe stata rotta soltanto dal pur fantasioso film di Emmerich.

Hm. index

Una congiura del silenzio, capite, intesa a soffocare ogni dubbio sul fatto che Shakespeare abbia scritto Shakespeare. Perché tutti sappiamo che non si trova nulla in proposito, vero? E che a nessuno è mai stata data la possibilità di pubblicare alcunché di antistratfordiano – in forma di romanzo, saggio o what not. E che chiunque ci abbia mai provato è stato ridicolizzato, emarginato e ridotto al silenzio. E qui potete abbandonarvi ai cachinni più scomposti, perché really!

Ora, vedete, l’intero LSdS è basato sull’improbabile premessa di un omicidio compiuto per zittire un accademico antistratfordiano** – cosa che di per sé lascia ben pochi ganci a cui sospendere la propria incredulità, ma che poi l’autore si spacci per vittima di una versione reale, seppur meno cruenta, della stessa cospirazione – tanto da essere stato costretto a pubblicare sotto l’elisabettianeggiante pseudonimo John Underwood*** – ecco, tutto questo mi sa di una di due cose: mania di persecuzione, o strategia di marketing deragliata prima di cominciare. E per essere sinceri, non so nemmeno troppo bene come prendere la storia del saggio di partenza, rifiutato a diritta e a mancina, e pubblicato sotto il nome di Desmond Lewis – l’accademico eterodosso che la prende nelle costole all’inizio del libro…

Insomma, ricapitoliamo: un thrillerino malcostruito, dalle premesse marziane e dallo sviluppo malcerto, con una trama a trafori – e per di più lardellato di implausibilità accademiche svarioni storici… fa davvero meraviglia che non abbia trovato un editore in territorio anglosassone?

Apparentemente ne ha trovato uno in Italia e altri sei in giro per il mondo – ma nemmeno di questo, forse, ci si deve meravigliare, considerando che per molti non-anglosassoni Kit Marlowe e la Authorship Question sono del pari sconosciuti. In Italia, in Polonia, in Russia non sono in molti a sghignazzare all’idea di un’attrice teatrale laureata in lettere che non ha mai sentito parlare di Marlowe né della Questione.

Ah well. Se adesso volete leggere questo arnese, posso solo sospirare e ammettere che non so come impedirvelo. Se invece siete più contenti con una dissezione, trovate il post rilevante qui.

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* Una contea a caso. Sì, perché in realtà… oh, aspettatevi novità e sorprese, Lettori!

** E no, non sto rovinando nessun finale. Questo lo si scopre prima di pagina dieci. Il finale lo rovino con abbondanza di particolari nel post originario – ma persino là ci sono segnali stradali per chi non volesse privarsi della sorpresa.

*** In realtà, Underwood fu un attore e s0cio dei King’s Men – apparentemente uno dei non tantissimissimi a passare con qualche successo dagli inizi come boy player alla carriera adulta. Se invece la vittima di nome Desmond Lewis sia un omaggio (!) all’omonimo giocatore di criket, proprio non lo so.

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