Shakeloviana: L’Informatore
Per una volta parliamo di un libro tradotto in Italiano – e indovinate un po’? Non è un granché.
Due piani temporali – e fin qui tutto bene. Kit Marlowe nel 1593 e Kate Morgan ai giorni nostri – e già la scelta del nome dell’eroina non sembra prometere il massimo della sottigliezza. Voglio dire, nomen omen nel 21° secolo? Andiamo! Tanto più che Kate è laureata in storia e letteratura elisabettiana, ma si è messa a fare l’investigatore privato e l’agente della CIA… Eh già: letterata & spia, proprio come il suo semiomonimo quattro secoli prima.
Hmf.
Ma ancora non basta perché, guarda un po’ il destino, a Kate capita il caso di un misteriosissimo manoscritto riemerso dopo secoli, e di che si deve trattare, se non di qualcosa di elisabettiano cifrato da Thomas Phelipes, il crittografo e steganografo di Sir Francis Walsingham – nonché collega di Kit Marlowe?
E così le due storie si intrecciano viepiù, mentre entrambi i protagonisti cercano qualcosa e hanno perso qualcuno – e se la parte elisabettiana tutto sommato può anche funzionare, è un gran peccato che sia sacrificata, sacrificatissima al lato moderno, che è scritto molto peggio e che procede saltellon-saltelloni, farcito d’improbabilità, coincidenze, divagazioni e clichés verso un finale affrettato e pasticciato…
Tanto la quarta di copertina quanto la popolazione della metà moderna si affannano prima di subito ad informarci di quel che accade a Kit a Deptford – qualora lo ignorassimo – ma tanta insistenza sa un pochino di coda di paglia: scrivere un duplice thriller di cui per metà il lettore conosce già l’esito richiederebbe una spudorata abilità nel confondere le carte, seminando sorprese e dubbi lungo la strada… cosa che in questo libro, alas, non succede affatto. Chiaramente si vorrebbe che, sapendo di Deptford, ci sentissimo in ansia per il modo in cui la sorte di Kate sembra destinata a seguire il binario della sorte di Kit… Il guaio è che non funziona e, se funzionasse, Kate è un personaggio talmente piatto e convenzionale che avremmo difficoltà a sentirci in ansia per lei.
Ripeto, la parte elisabettiana è leggermente migliore. È quasi un peccato che la Silbert non si sia limitata a un romanzo storico sul servizio segreto di Sir Francis Walsingham prima e dei Cecil/di Essex poi… Solo che poi si getta un’occhiata alla bio dell’autrice in cerca di lumi sulle ragioni di questa malguidata commistione, e si scopre che Leslie Silbert è laureata (a Harvard) in storia e letteratura elisabettiana e fa l’investigatrice privata con un collega ex CIA… Se è tutto vero, spiega molte cose – e deve essere il motivo per cui a qualcuno è parso bello pubblicare il romanzo. Se non lo è, come tattica di marketing forse non è stata la più sottile delle scelte.
E ad ogni modo, se proprio volete un enigma legato a The Intelligencer/L’Informatore, ve ne propongo uno io: perché, perché, perché, con tutti i buoni e ottimi libri su Kit Marlowe che l’editoria anglosassone ha prodotto, in Italia deve essere arrivato proprio questo?