Amare Et Bene Velle

lord jim, alan breck stewart, sydney carton, isabel archerCon F. & L. si commentava questo post e ci s’interrogava sull’idea di amare un personaggio letterario.

E si giungeva alla conclusione che il quesito non era formulato nella più felice delle maniere, perché a prenderlo in senso stretto, non è facile trovare 30 personaggi che si sono amati, mentre se bisogna intendere “amare” con elasticità franco-inglese, possiamo sperare che ce ne siano piaciuti un po’ più di trenta…

In effetti, non è come se nella mia lista non avessi finito con il combinare i due criteri – e una manciata di altri. Ripercorrendola, ci trovo gente scelta in base a ogni genere di ragione. Ma, considerando che la formulazione dello hashtag galeotto dipendeva più che altro dal fatto che cheamo occupa meno caratteri di chemipiacciono, e qui non soffriamo di queste costrizioni, riformuliamo la domanda – o meglio poniamone un’altra: 

Che cosa è che ci lega a un personaggio letterario?

Come dicevamo, ogni genere di ragioni.

Non ricordo se ho già raccontato della discussione sui brontëani fratelli Moore, durata per molte settimane di email tra me e un’altra F.* I fratelli Moore sono due: a F. piace Louis e a me piace Robert, e col tempo siamo giunte alla conclusione che we’ll have to agree to disagree on that. E in realtà ci saremmo potute arrivare prima di subito, perché le rispettive preferenze hanno ragioni tanto diverse che di più non si potrebbe. F. predilige l’orgoglioso e severo Louis perché non vuole accettare nulla da nessuno – men che meno da suo fratello o dalla donna che ama ricambiato – e a F. ammira questo atteggiamento molto più del disperato opportunismo di Robert. Io trovo che Robert, che sacrifica affetti e principii a necessità e responsabilità, sia un personaggio molto più complesso ed efficace del perfetto, bidimensionale Louis. Ed è ovvio che Robert non sarà mai ammirevole come Louis, né Louis sarà mai ben scritto come Robert.

Criteri diversi.

Il che non significa nemmeno che i lettori si dividano rigorosamente tra tecnici ed emotivi, tra etici ed estetici. Tendo a credere che quasi tutti, in circostanze diverse, scegliamo, preferiamo, ci affezioniamo e amiamo per motivi diversi.

Dovessi basarmi sulla mia lista, c’è gente come Robert Moore, Javert, Julien Sorel o Heinrich Muoth che mi piace per la finezza, tridimensionalità e unsentimentality con cui è scritta**.

Poi c’è gente con cui mi identifico (o mi sono identificata in passato), come Scout, Emma o… ‘cipicchia, mi accorgo di avere lasciato fuori Angelo, l’Ussaro sul Tetto di Jean Giono: anche lui è stato una questione di identificazione.

Poi ho citato Charlotte Bartlett, e qui la faccenda è leggermente più obliqua, perché in Camera con Vista quella con cui mi identifico è Lucy, ma Cousin Charlotte è un ritratto così perfetto di una mia anziana cugina che parte dell’identificazione con Lucy dipende proprio da questo. Lucy è deliziosa, ma è Charlotte a trascinarmi nella storia – ed è lei che adoro.

Poi c’è la gente che incarna questioni che mi stanno a cuore – come James Sands, l’attore elisabettiano cui crolla intorno un mondo, i giovani Turbin, idem nella Kiev postrivoluzionaria, Konradin von Hohenfels in cerca di redenzione o Dick Heldar che crolla nel crepaccio tra arte e affetti.

Ci sono i villains per cui ho un debole, quelli che brillano nel loro romanzo, quelli che hanno tanto fascino e tanta personalità da seppellirci i rispettivi protagonisti, come l’Innominato, Richelieu e Rupert.

E ci sono anche i personaggi che sarebbero adorabili anche in carne e ossa, come la Regina Elisabetta, il Sergente Dodd, Sarah Thane, la Principessa Arjumand (che è una gatta***), Larry Durrell…

Ci dovrebbero essere anche (ma mi accorgo di non averne elencato nemmeno uno) quei personaggi che non perdonerò mai ai rispettivi autori di avere trascurato, maltrattato o killed off – salvo poi rendermi conto che forse non mi sarei affezionata altrettanto a Lord Evandale, Dain Waris o Francis Stewart se non facessero la fine che fanno…

E poi ci sono quelli che hanno proprio tutto – e quelli sono i miei fidanzati di carta. Lord Jim, naturalmente, con la sua storia di riscatto negato e di aspettative disattese, con le sue debolezze dolorose e ingigantite, con la sua caratterizzazione così vivida che mi è più familiare di tanta gente  “vera”, con la sua fine tragica che tutte le volte mi strappa il cuore. E Alan Breck Stewart, alfiere spavaldo di una causa perduta in partenza, ingenuo, irragionevole e alla fin fine così malinconico. E Sydney Carton, destinato ad annegare tra self-disgust, delusioni e promesse sprecate, innamorato, più che di Lucie, della redenzione che lei rappresenta. E si direbbe che io abbia anche una fidanzata di carta in Isabel Archer, troppo impegnata a inseguire ideali per vedere davvero ciò che ha davanti – e punita per questo, ma non senza speranza. Ecco, questi sono quelli che amo davvero. E probabilmente in giro ce n’è qualche altro – ma di sicuro non sono trenta. 

Dopodiché mi piacerebbe ricordare dove ho letto la recensione di una lettrice che si dichiarava incapace di simpatizzare con un personaggio che commette uno stupido errore dopo l’altro come fa Jim – a riprova del fatto che quel che fa innamorare una persona ne respingerà un’altra,  e che innamorarsi per davvero o in carta e inchiostro resta la più personale, soggettiva e imponderabile delle faccende.

 

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* Non so che farci: la mia vita è piena di F. con cui discuto di libri… Ad ogni modo, questa è un’altra – and you know who you are.

** Si maligna che Muoth mi piaccia soprattutto perché è un baritono e, fosse stato un tenore, non sarebbe nemmeno entrato nella lista – ma non è vero. Non del tutto. Non troppo. Non molto. Non… Ok, il fatto che sia un baritono aiuta.

*** E comunque il suo libro è affollato di gente adorabile – a due e quattro zampe.

Amare Et Bene Velleultima modifica: 2012-08-17T08:10:00+02:00da laclarina
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7 Commenti

  • … Che è poi il principale motivo per cui, pur mettendomici con impegno, io una lista di trenta personaggi che “amo” non riesco a scriverla.
    Oh, ci sono un sacco di personaggi che mi piacciono, un sacco di personaggi ai quali sono legato, che cito a memoria, dei quali conosco vita morte e miracoli ma… ecco, è il lato sentimentale che non funziona.
    Io non amo Fafhrd & il Gray Mouser.
    Non amo Harry Flashman.
    Forse non mi identifico neanche in loro.
    È una cosa più intellettuale – mi divertono.
    O forse è la parola amore che viene usata normalmente a sproposito.
    Io comunque la lista di trenta non son riuscito a farla.

  • Come dicevo nel post, a trenta ci sono arrivata considerando “amare” nella più lata e franco-inglese delle accezioni.
    In senso anche solo un po’ più stretto, numbers shrink tenfold. 🙂

  • Sì, ho letto, ma ancora mi pongo delle domande.
    Sarà che noi nei bassifondi, nei nostri romanzi popolari, spesso cerchiamo certe situazioni, più che certi personaggi.
    È la storia, non il protagonista, che funziona, molte volte.
    Poi, ok, Elvis Cole mi ha insegnato un sacco di cose.
    Così come Travis McGee.
    O Marlowe.
    O il protagonista senza nome (Henry Palmer nei film, con la faccia di Caine), di IPCRESS, Funerale a Berlino ecc.
    Ma sono tutti voci narranti, sono tutti “intimi” nel loro modo di interagire col lettore.
    Un personaggio come Gabriel Hunt, che pure è molto ben costruito, carismatico, interessante, è il soggetto di una narrativa in terza persona – e già non c’è più quel qualcosa che mi aggancia.
    Così, sono idee notturne sfuse.
    Toccherà ragionarci su.

  • Mai capitato di starci davvero male quando un certo personaggio si metteva nelle peste? Mai sparso una lacrimetta per qualcuno di non del tutto vero? Mai smesso di leggere in furia da eccesso di identificazione – salvo poi tornare a leggere perché proprio non potevi farne a meno?
    E non lo so, magari sono più sentimentale di quanto creda, ma in quella manciatina di occasioni la lettura è andata al di là della soddisfazione intellettuale…

  • Ah, vedi cosa significa vivere nei bassifondi della letteratura?
    Da queste parti non solo è normale che il personaggio si metta nelle peste, ma è esattamente ciò che si suppone debba capitare.
    E di solito se smetto di leggere è perché sto arrivando in fondo troppo in fretta, e voglio prolungare il piacere della corsa.
    Salvo poi tornare aleggere perché proprio non se ne può fare a meno.

    Se proprio vuoi ridere, io mi sono commosso molto più spesso leggendo saggi che non romanzi.

  • Of course si devono mettere nelle peste – o cosa leggeremmo a fare?
    Ma c’è gente le cui peste accogli con reader’s glee, e poi, una volta ogni tanto, c’è gente le cui peste ti avvitano lo stomaco.
    E sai benissimo che ad avvitartelo è uno scrittore defunto che ti manipola per (immaginaria) interposta persona – ma fa nulla, perché la manipolazione è così ben fatta che non hai nemmeno voglia di fare un passo indietro e smontarla per studiare i pezzi.
    Per il momento. A quello ci penserai domani, perché cribbio, vuoi imparare a farlo anche tu. Ma ci penserai domani.
    Making any sense?

  • Ti seguo perfettamente.
    Ma per me resta un avvitamento intellettuale.
    Che dire, sarò sentimentalmente torpido.