Fausto Bertolini, giocando con date e luoghi, porta Calabacillas alla corte di Elisabetta I d’Inghilterra. Regina e giullare dialogano fittamente, in bilico continuo tra ironia trasognata, incursioni metateatrali e scatti d’ira, e – tra una disquisizione sul metodo per catturare un orbe riluttante e un passo di dana – offrono un’affilata analisi di arte, potere, e del rapporto tra i due.
“Non ci sono eroi innocenti in politica – o nella storia,” sussurra Calabacillas al pubblico: soltanto un “nesso di colpe” che i detentori del potere cercano di districare oppure ispessiscono con le loro azioni. E gli artisti? Gli artisti camminano sul filo sottile tra un ruolo di coscienza e la necessità di mantenere la testa là dove si trova…
Ieri sera, al Teatrino d’Arco, i bravissimi Francesca Caprari e Claudio Soldà hanno recitato un estratto de La Regina e il suo Giullare. La regia era di Mario Zolin, che gioca con ironia ed eleganza sul carattere metastorico della pièce.
A questo proposito, è stato interessante sentire l’autore definire la sua passione per il teatro-nel-teatro come un aspetto sintomatico della Sindrome del Demiurgo (aka il complesso della subcreazione). La tendenza a sfondare la quarta parete sarebbe, secondo Bertolini, una conseguenza del desiderio di manipolare la realtà: non contento di creare la realtà teatrale, l’autore desidera intervenire anche su quella più vasta che esula dal palcoscenico. Su quella fetta di realtà, mi verrebbe da dire, che connette palco e platea – di fatto la sospensione dell’incredulità.
Interessante teoria e interessante pièce – che spero di vedere presto per intero.