Senza Errori di Stumpa

Garibaldi Il Samurai E Il Buon Re Riccardo

Ieri ho scandalizzato un anziano signore.

È un indigeno, una brava persona che conosco in via molto superficiale e che, avendo udito parlare di Aninha, mi piomba qui per discuterne, rimanendo molto deluso nel sapere che si tratta non di un romanzo, ma di un lavoro teatrale – e nemmeno pubblicato.

“Però può venire a vederlo a teatro a Ostiglia l’otto marzo,” gli dico.

Lui tentenna un po’ – non è un gran frequentatore di teatri, mi spiega. Però… “Potrei anche venire. Sa, fa piacere vedere giovani che si occupano di Garibaldi come si deve. Mica come le pubblicità squallide e vergognose dei telefonini.

E io scoppio a ridere, e gli faccio notare che la campagna TIM è una delle più spassose e ironiche degli ultimi anni… Grave errore tattico.

L’Anziano Signore mi fulmina con lo sguardo e assume un colorito lievemente apoplettico.

“Ma come? Ma no! Dov’è il rispetto? Dov’è l’Unità d’Italia? E Garibaldi è un eroe – queste sono cose su cui non si scherza! Non lo sa che i Giapponesi quando parlano di Garibaldi si alzano in piedi?” E nel dirlo mima un Giapponese che si alza in piedi. “Perché per loro è un samurai, un eroe del dovere, dedito al servizio dell’imperatore… solo che invece dell’imperatore lui aveva l’Italia!”

E io potrei starmene zitta, a questo punto – e invece no.

“Ma sa,” e – sciagurata! – scrollo anche una spalla nel modo più dismissive, “il fatto è che Garibaldi non era una brava persona.”

Apriti cielo e spalancati terra! Ma come? Sono così ingenua da credere che uno possa fare l’Italia senza essere un po’ spregiudicato?

Spiego che capisco benissimo la spregiudicatezza, tanto che in fatto di Risorgimento la mia simpatia va tutta a Cavour…Ma Garibaldi aveva cominciato la carriera come disertore e ladro di bestiame (e mogli altrui), la finì abbandonando al pubblico disprezzo amici che lo avevano seguito e servito per tutta la vita, aveva idee politche allo stato gassoso e, se era un brillante guerrigliero, la sua competenza militare si esauriva lì…

E potrei continuare, ma l’Anziano Signore, con un’ultima occhiata di disgusto, gira sui tacchi, m’informa che proprio non siamo d’accordo, e se ne va convinto che sia una revisionista della specie più bieca.

Oh, non è che non lo capisca del tutto: prima della conflagrazione, parlando dei miei libri, avevo nominato Annibale, e lui aveva reagito “Ah, gli ozi di Capua…” e la mia simpatia nei suoi confronti era franata a valle. Non è mai divertente sentir denigrare l’oggetto del proprio hero worship, vero?

Resta tuttavia il fatto che per molti Anziani Signori (e non solo) Garibaldi è ancora, e sempre sarà, in sella al cavallo bianco impennato in cima al monumento, là dove lo hanno issato decenni di oleografia risorgimentale, sussidiari scolastici e diffusa convinzione.

E non è solo questione di Garibaldi, naturalmente. La storia è piena di gente santificata o demonizzata da una combinazione di propaganda, ballate popolari, letteratura e circostanze – per non parlare dell’atavica, incoercibile umana fame di eroi e di malvagi.

Per dire, il nome di Riccardo Cuor di Leone che immagine evoca in noi tutti? Quella di un cavaliere in armatura risplendente, elmo coronato e cotta da crociato, di uno dei migliori e più amati re d’Inghilterra, di un altro cavallo bianco impennato in cima a un monumento. Una volta, nella cattedrale di Rouen, dei turisti spagnoli mi chiesero a chi appartenesse la statua coronata sul sarcofago di pietra. E quando, nel mio limitato Castigliano, ebbi spiegato che si trattava del cenotafio di Riccardo, il cui cuore si trovava nella cripta, un’onda di deliziate esclamazioni  attraversò il gruppo. “Ricardo Corazòn de Leon! Que lindo!” e mi ringraziavano, come se fosse stato merito mio…

Ma in realtà, Riccardo Plantageneto passò la sua prima giovinezza a cospirare ai danni di suo padre (abbandonando i suoi fratelli al loro destino quando le cose si misero male), non imparò mai l’Inglese, passò complessivamente forse un anno della sua vita nell’isola di cui era principe e poi re – ma non per questo ebbe remore a dissanguarla per finanziare la sua ossessione: una crociata che fallì (anche a causa del suo scarso riguardo per quello che oggi chiameremmo comando congiunto) e che si concluse con la sua cattura in Austria. Pare che stesse viaggiando in ingognito e che fosse riconosciuto perché insisteva per mangiare del pollo arrosto – nulla che si trovasse con facilità sulla tavola di una locanda. Leopoldo d’Austria non aveva buoni motivi per tenerlo prigioniero se non molta bile, ma chiese un esorbitante riscatto per la sua liberazione, riscatto pagato per lo più dai suoi sudditi. Se non bastasse, pur avendo sposato Berengaria di Navarra, la più bella principessa del suo tempo, la tenne sempre lontana da sé e confinata qua o là – sempre lontana dall’Inghilterra. E questo era il Buon Re Riccardo delle ballate.

Inclino a credere che Riccardo debba in origine la sua buona fama, paradossalmente, al fatto di essere sempre stato lontano dall’Inghilterra. Altri erano lasciati indietro a raccogliere le tasse e barcamenarsi in tempi complicati, e di sicuro non mancarono mai di cercare il proprio interesse. Ergo, costoro erano malvagi, e oh, se solo il Buon Re Riccardo fosse tornato a casa dai suoi affezionati sudditi! Che a Riccardo non importasse granché dei suoi sudditi, e che le tasse e l’instabilità fossero dovute in buona parte alla sua crociata e alla sua assenza, erano considerazioni secondarie – e del tutto ininfluenti agli occhi dei trovatori contemporanei e dei romanzieri ottocenteschi – come quell’efficacissimo rovinatore di reputazioni che era Scott.

Per contro, un paio di Riccardi più in qua, Riccardo Terzo ce lo immaginiamo tutti gobbo e malvagissimo – sull’onda della forza combinata di Shakespeare e Thomas More. Potenza della propaganda Tudor! Poi in realtà, in anni più recenti questo Richard ha beneficiato di un’ondata di popolarità sentimental-letteraria, a partire da Josephine Tey, dalla Ricardian Society e da tutta una popolazione di biografi e romanzieri, fino ad arrivare all’estremo opposto. Per quanto mi piaccia Richard, non sopporto i romanzi che lo dipingono come una mite e gentile vittima delle circostanze – well on his way to sainthood.

Nessuno sembra avere fatto sforzi comparabili per Giovanni Senzaterra, il fratello e successore del Cuor di Leone. O meglio: qualche biografo ha fatto notare come, checché ne dicesse il solito Walter Scott, Giovanni sia stato quanto meno un buon legislatore, un riformatore e un buon generale, penalizzato dall’aver ereditato debiti enormi, molto marasma interno e una collezione di guerre costose. Sul versante narrativo, tuttavia, nulla. Non so voi (e sarei grata di eventuali segnalazioni), ma non mi viene in mente un singolo romanzo in cui John Lackland compaia altro che meschino, arrogante, codardo e generalmente spregevole. Naturalmente c’è il teatro, ma per trovare un ritratto positivo di Giovanni bisogna tornare all’era Tudor. C’è anche, semi-dimenticato, un King John di Shakespeare – che definirei tiepido nella migliore delle ipotesi.

Pensandoci, è abbastanza strano. In fondo quasi tutti, prima o poi, trovano un riabilitatore. Pensate a Filippo II di Spagna, mostro di crudeltà per Otway, St. Réal, Alfieri e legioni di altra gente affascinata dalla Leyenda Negra. Poi arriva Schiller, e a Filippo cresce un’anima. Col risultato che adesso, per lo più, consideriamo Filippo II un vilain tormentato e con la sua dose di giustificazioni.

E se qualcuno intende obiettare che forse Giovanni non era simpaticissimo di suo, posso rispondere che è possibile – ma in genere non è il tipo di considerazioni che frena poeti e romanzieri. Per restare nell’ambito della Leyenda Negra, Don Carlos era uno psicopatico che si divertiva a frustare a morte i cavalli, eppure ha trovato parecchia gente disposta a ritrarlo come uno sventurato e attraente giovanotto – un nonnulla instabile forse, ma per eccesso di sensibilità e maltrattamenti ricevuti. Questi apologeti erano dapprima propagandisti protestanti e antispagnoli, cui serviva una vittima innocente e simpatica, martirizzata dal nigerrimo Filippo. E quando poi arrivarono playwrights e romanzieri, la storia era già solidificata e buona per il teatro, con i suoi Buoni e i suoi Malvagi – almeno fino a Schiller.

Un caso un po’ diverso è quello di Alan Breck Stewart, personaggio minore che più minore non si può, e decisamente poco simpatico. È vero che era un Giacobita – specie rappresentata in letteratura in varie sfumature dal fanatico pericoloso al vago e inefficace* – ma resta il fatto che persino i suoi compagni d’armi, correligionari e consanguinei lo descrivevano con scarso affetto. Poi arriva Stevenson e lo trasforma nell’irresistibile personaggio che sappiamo – e conosciamo e amiamo. A chi importa veramente che l’Alan storico fosse, a detta del suo padre adottivo, “uno sciocco violento e pericoloso”? Un altro caso di fama postuma e immeritata – molto più postuma ma altrettanto immeritata di quella di Riccardo Cuor di Leone, solo che le motivazioni di Stevenson erano molto più narrative che storiche.

D’altra parte credo che storia e storytelling si allaccino sempre inestricabilmente in questo genere di reputazioni. Riccardo III è stato sconfitto, Giovanni Senzaterra non può competere con l’aura di suo fratello, Filippo si è parzialmente salvato perché nessuno scrittore ha saputo rendere Carletto abbastanza interessante, e tutto ciò costituisce gioia e pascolo per i romanzieri storici presenti e futuri.

Templari: vittime o carnefici? I Cecil: pilastri della patria o arrampicatori? Roger de la Flor: cavaliere senza macchia e senza paura o perfido mercenario? John Dee: visionario o ciarlatano? Mehmed II: illuminato consquistatore o tiranno mezzo matto?…

Se lo chiedete a me, credo che il romanzo storico, come genere, abbia di che prosperare – con l’abbondanza di gente da riabilitare, gente da annerire, punti di vista da esplorare, idee acquisite da ribaltare. E c’è spazio di manovra per fare tutto ciò in più di un modo, tenendo conto delle sfumature di grigio oppure recuperando il buon vecchio manicheismo narrativo, perché sospetto che ci siano in giro un sacco di lettori come l’Anziano Signore – gente che vuole i suoi eroi saldamente in sella al cavallo bianco, e i malvagi ammantellati di nero e cachinnanti nell’ombra.

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* Una volta di più, Sir Walter Scott aveva messo mano alla faccenda…

Garibaldi Il Samurai E Il Buon Re Riccardoultima modifica: 2012-02-22T08:10:00+01:00da
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