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Il Risorgimento Narrato Ai Fanciulli

ts954v5-101.jpg“Hai qualche romanzo per ragazzi sul Risorgimento da consigliarmi per la prole?” mi domanda D., la cui prole, dopo una visita al Museo del Risorgimento di Torino, ha manifestato la lodevole intenzione di leggere in proposito durante l’estate…

E io rimugino, e vado a ripescare letture d’infanzia e bibliografie di vecchi progetti, e constato che in effetti c’è una certa quantità di narrativa storica per fanciulli a sfondo risorgimentale, romanzi e non romanzi che, a partire dal famigerato Cuore fino alla (in realtà limitata) recrudescenza anniversaria del 2011, si preoccupano di narrare ai pargoli l’intera epoca o un fatto particolare in termini accattivanti. E proprio questo è il punto – accattivanti: è evidentissimo che, nel corso degli anni, ciò che è cambiato è il concetto di quale particolare ingrediente dovesse rendere la storia appetibile per i lettori implumi.Cuore

Partiamo da De Amicis, che nel 1889 inserisce nella sua cronaca di un anno scolastico una serie di “racconti mensili”, storie edificanti da cui ci si aspetta che il fanciullo tragga esempio. Personalmente trovo che Cuore sia il genere di letteratura che andrebbe proibito ai diabetici per eccesso di zucchero – e davvero non lo consiglio alla prole di D. – ma non posso negare che le due figure risorgimentali presenti, il Tamburino Sardo e, ancor di più, la Piccola Vedetta Lombarda, siano entrati nell’immaginario popolare con la prepotenza dell’oleografia ben riuscita. O almeno ci erano entrati e ci sono saldamente rimasti per generazioni, incollati lì con il ricatto sentimental-emotivo, che in queste cose è molto più efficace del bostik. Si parla di ragazzini semplici e coraggiosi, vivaci, svegli, di buon cuore. Sono patriottici per sentimento e per istinto, perché sentono nel loro cuore che l’Italia è cosa buona e giusta. Vale la pena di lasciarci le penne anche a non sapere troppo bene che cosa sia.

51swy6IrQgLI bambini di Olga Visentini, diversi decenni più tardi, sono piccoli patrioti più consapevoli, si direbbe: per sentimento, per tradizione famigliare e per melassa, sembrano tutti possedere una preternaturale lungimiranza storica. Detestano i Tedeschi oppressori e combattono perché vogliono l’Italia unita… La Visentini, prolificissima autrice per bambini, per il Centenario del 1961 produsse tutta una serie di storie, libri e racconti accomunati da una visione edulcorata e favolistica dei fatti risorgimentali. Ragazzi del Risorgimento è una raccolta di bozzetti biografici di piccoli eroi più o meno conosciuti. Si va dall’infanzia di Mazzini e Garibaldi ai Martinitt delle Cinque Giornate, dalla figlioletta di Finzi al piccolo amico muto di Pellico allo Spielberg, passando per i tamburini di Garibaldi e una piccola straccivendola mantovana. Tutti questi bambini sono buonissimi, coraggiosissimi, fierissimi, prontissimi al sacrificio – e sempre bellissimi. Notatelo questo. Anche la PVL di De Amicis era un bellissimo bambino, ma qui la faccenda si fa più evidente, perché di bambini ne vediamo tanti, e tanto quelli quanto i cospiratori son sempre bella gente dai grandi occhi luminosi e ispirati, volti angelici, portamento fiero, voce musicale… In un tripudio di kaloskaiagathos, se c’è qualcuno di brutto state pur certo che è un bieco oppressore! Le cose vanno, se possibile, ancor peggio con Chiardiluna, romanzo in cui due fratellini brianzoli, figli di un medico cospiratore, fuggono a Milano giusto in tempo per le Cinque Giornate, incocciando in una rete di cospiratori, in una contessina paralitica che, pur figlia di un segretario dell’Arciduca Ranieri, dirige di nascosto una specie di rete di soccorso per i patrioti incarcerati. E’ una di quelle storie in cui i salvataggi avvengono all’ultimo minuto, i contatti si prendono ai balli mascherati, i messaggi sono nascosti sotto piccoli paesaggi dipinti da sciogliere con l’acido e nessuno capisce bene come succedano le cose… Anche qui i Buoni sono angelicamente generosi, coraggiosi e belli, mentre i Malvagi sono proprio malvagissimi, oltre che brutti. Ma la cosa peggiore, forse, è che il romanzo finisce con il Tricolore issato sul Duomo, le campane che suonano a festa e Milano liberata. Non è proprio così che finisce la storia? Gli Austriaci tornano in forze e Radetzky reprime con una certa qual energia? Fa niente, o Fanciulli: di quello non occorre che vi preoccupiate.Angelo Nero

Un po’ meglio va con Maria Rosaria Berardi che, nel 1968, pubblica Angelo Nero, altro romanzo milanese, ma ambientato nel 1820. Gabriele, piccolo spazzacamino giunto dal Lago di Como, mentre cerca notizie di suo padre si ritrova nel bel mezzo della cospirazione dei Federati di Confalonieri, Porro e compagnia. Diventerà la loro staffetta, ritroverà il babbo e tornerà a casa. Qui a essere bellissimi non sono tanto i bambini, quanto i cospiratori, presentati come esseri meravigliosi e nobilissimi, e se gli oppressori sono malvagi, c’è tuttavia tra loro qualche genere di distinzione. Ci sono guardie bonarie anche tra gli Austriaci, il padrone milanese di Gabriele è crudele senza essere un amico degli Austriaci, e il governatore Conte di Strassoldo è disgustato dai metodi dell’Attuario di Polizia Bolza. Tra l’altro, non tutto va a finire in gloria: Gabriele torna a casa maturato dalle sue avventure, e dalla consapevolezza che i suoi amici sono finiti per lo più in carcere.

"Stai barando, Clarina?" Essì. Non trovo una singola immagine della copertina...

“Stai barando, Clarina?” Essì. Non trovo una singola immagine della copertina…

Le cose paiono continuare ad evolversi con gli Anni Ottanta. I Cannoni di Venezia, di Lino Piccolboni, racconta l’assedio e la caduta di Venezia del 1849 in tono molto più disincantato. Vero, il protagonista Marco Oliboni è più adulto e più consapevole, ma l’autore non risparmia a lui e ai lettori nulla delle tragedie e delle amarezze della sconfitta. Marco parte per un’avventura e torna avendo visto cadere la città, morire il suo migliore amico e appassire molti ideali. Piccolboni canta con molto affetto l’eroismo dei Veneziani, dei Napoletani e dei Piemontesi che difendono una causa già perduta, ma non rifugge dalle realtà più dure della vicenda.Venezia 1849

Qualche anno più tardi, Laura Guidi riprende essenzialmente la stessa storia in Venezia 1849, incentrando però la trama su due protagonisti dodicenni, il nobile Marco e il popolano Zuanin, che iniziano la loro avventura al servizio della Serenissima con l’incoscienza dell’infanzia, ma maturano di fronte al pericolo e alla sofferenza. Come Piccolboni, la Guidi scrive per i ragazzini delle scuole medie e, come lui, sembra avere cambiato radicalmente atteggiamento rispetto a una Olga Visentini: nessuno dei due cerca più di contrabbandare ai giovanissimi lettori il Risorgimento per la favola che non fu.

LeviEra una buona e lodevole evoluzione, ma nel 2002 troviamo una specie d’inversione – almeno parziale – con il pur grazioso Un Garibaldino di nome Chiara, di Lia Levi. E’ chiaro che il politically correct si è fatto strada nel frattempo, e bisogna dare spazio alle bambine. E non basta più nemmeno, come faceva la Visentini, metterle a ricamare, dolci e coraggiose, o a dipingere o ad assistere trepidanti mentre i ragazzini combattevano. La mia omonima del titolo, a undici anni, si aggrega ai Mille, vestita da maschio ma neppure troppo di nascosto, visto che è il padre capitano dei Cacciatori a portarsela dietro. Chiara/Corrado non combatte veramente (la Levi affida il punto di vista delle battaglie al quattordicenne Simone mentre la fanciullina resta nelle retrovie), ma resta un personaggio anacronistico sotto l’egida dell’anticonvenzionalità – sua e della famiglia – questo orribile esantema che sembra risparmiare ormai ben poca narrativa per fanciulli.

Insomma, non è che non si trovino buoni libri in materia, ma bisogna cercare con cura, in uno slalom faticoso tra retorica, zucchero, melassa e anacronismi psicologici. E non sono affatto sicura che le buone intenzioni degli Anni Ottanta siano state raccolte in tempi più recenti, alas.

Garibaldi Il Samurai E Il Buon Re Riccardo

Ieri ho scandalizzato un anziano signore.Garibaldi, stevenson, riccardo cuor di leone, riccardo III, giovanni senzaterra, filippo II

È un indigeno, una brava persona che conosco in via molto superficiale e che, avendo udito parlare di Aninha, mi piomba qui per discuterne, rimanendo molto deluso nel sapere che si tratta non di un romanzo, ma di un lavoro teatrale – e nemmeno pubblicato.

“Però può venire a vederlo a teatro a Ostiglia l’otto marzo,” gli dico.

Lui tentenna un po’ – non è un gran frequentatore di teatri, mi spiega. Però… “Potrei anche venire. Sa, fa piacere vedere giovani che si occupano di Garibaldi come si deve. Mica come le pubblicità squallide e vergognose dei telefonini.

E io scoppio a ridere, e gli faccio notare che la campagna TIM è una delle più spassose e ironiche degli ultimi anni… Grave errore tattico.

L’Anziano Signore mi fulmina con lo sguardo e assume un colorito lievemente apoplettico.

“Ma come? Ma no! Dov’è il rispetto? Dov’è l’Unità d’Italia? E Garibaldi è un eroe – queste sono cose su cui non si scherza! Non lo sa che i Giapponesi quando parlano di Garibaldi si alzano in piedi?” E nel dirlo mima un Giapponese che si alza in piedi. “Perché per loro è un samurai, un eroe del dovere, dedito al servizio dell’imperatore… solo che invece dell’imperatore lui aveva l’Italia!”

E io potrei starmene zitta, a questo punto – e invece no.

“Ma sa,” e – sciagurata! – scrollo anche una spalla nel modo più dismissive, “il fatto è che Garibaldi non era una brava persona.”

Apriti cielo e spalancati terra! Ma come? Sono così ingenua da credere che uno possa fare l’Italia senza essere un po’ spregiudicato?

Spiego che capisco benissimo la spregiudicatezza, tanto che in fatto di Risorgimento la mia simpatia va tutta a Cavour…Ma Garibaldi aveva cominciato la carriera come disertore e ladro di bestiame (e mogli altrui), la finì abbandonando al pubblico disprezzo amici che lo avevano seguito e servito per tutta la vita, aveva idee politche allo stato gassoso e, se era un brillante guerrigliero, la sua competenza militare si esauriva lì…

E potrei continuare, ma l’Anziano Signore, con un’ultima occhiata di disgusto, gira sui tacchi, m’informa che proprio non siamo d’accordo, e se ne va convinto che sia una revisionista della specie più bieca.

Oh, non è che non lo capisca del tutto: prima della conflagrazione, parlando dei miei libri, avevo nominato Annibale, e lui aveva reagito “Ah, gli ozi di Capua…” e la mia simpatia nei suoi confronti era franata a valle. Non è mai divertente sentir denigrare l’oggetto del proprio hero worship, vero?

Resta tuttavia il fatto che per molti Anziani Signori (e non solo) Garibaldi è ancora, e sempre sarà, in sella al cavallo bianco impennato in cima al monumento, là dove lo hanno issato decenni di oleografia risorgimentale, sussidiari scolastici e diffusa convinzione.

E non è solo questione di Garibaldi, naturalmente. La storia è piena di gente santificata o demonizzata da una combinazione di propaganda, ballate popolari, letteratura e circostanze – per non parlare dell’atavica, incoercibile umana fame di eroi e di malvagi.

Per dire, il nome di Riccardo Cuor di Leone che immagine evoca in noi tutti? Quella di un cavaliere in armatura risplendente, elmo coronato e cotta da crociato, di uno dei migliori e più amati re d’Inghilterra, di un altro cavallo bianco impennato in cima a un monumento. Una volta, nella cattedrale di Rouen, dei turisti spagnoli mi chiesero a chi appartenesse la statua coronata sul sarcofago di pietra. E quando, nel mio limitato Castigliano, ebbi spiegato che si trattava del cenotafio di Riccardo, il cui cuore si trovava nella cripta, un’onda di deliziate esclamazioni  attraversò il gruppo. “Ricardo Corazòn de Leon! Que lindo!” e mi ringraziavano, come se fosse stato merito mio…

Garibaldi, stevenson, riccardo cuor di leone, riccardo III, giovanni senzaterra, filippo IIMa in realtà, Riccardo Plantageneto passò la sua prima giovinezza a cospirare ai danni di suo padre (abbandonando i suoi fratelli al loro destino quando le cose si misero male), non imparò mai l’Inglese, passò complessivamente forse un anno della sua vita nell’isola di cui era principe e poi re – ma non per questo ebbe remore a dissanguarla per finanziare la sua ossessione: una crociata che fallì (anche a causa del suo scarso riguardo per quello che oggi chiameremmo comando congiunto) e che si concluse con la sua cattura in Austria. Pare che stesse viaggiando in ingognito e che fosse riconosciuto perché insisteva per mangiare del pollo arrosto – nulla che si trovasse con facilità sulla tavola di una locanda. Leopoldo d’Austria non aveva buoni motivi per tenerlo prigioniero se non molta bile, ma chiese un esorbitante riscatto per la sua liberazione, riscatto pagato per lo più dai suoi sudditi. Se non bastasse, pur avendo sposato Berengaria di Navarra, la più bella principessa del suo tempo, la tenne sempre lontana da sé e confinata qua o là – sempre lontana dall’Inghilterra. E questo era il Buon Re Riccardo delle ballate.

Inclino a credere che Riccardo debba in origine la sua buona fama, paradossalmente, al fatto di essere sempre stato lontano dall’Inghilterra. Altri erano lasciati indietro a raccogliere le tasse e barcamenarsi in tempi complicati, e di sicuro non mancarono mai di cercare il proprio interesse. Ergo, costoro erano malvagi, e oh, se solo il Buon Re Riccardo fosse tornato a casa dai suoi affezionati sudditi! Che a Riccardo non importasse granché dei suoi sudditi, e che le tasse e l’instabilità fossero dovute in buona parte alla sua crociata e alla sua assenza, erano considerazioni secondarie – e del tutto ininfluenti agli occhi dei trovatori contemporanei e dei romanzieri ottocenteschi – come quell’efficacissimo rovinatore di reputazioni che era Scott.

Garibaldi, stevenson, riccardo cuor di leone, riccardo III, giovanni senzaterra, filippo IIPer contro, un paio di Riccardi più in qua, Riccardo Terzo ce lo immaginiamo tutti gobbo e malvagissimo – sull’onda della forza combinata di Shakespeare e Thomas More. Potenza della propaganda Tudor! Poi in realtà, in anni più recenti questo Richard ha beneficiato di un’ondata di popolarità sentimental-letteraria, a partire da Josephine Tey, dalla Ricardian Society e da tutta una popolazione di biografi e romanzieri, fino ad arrivare all’estremo opposto. Per quanto mi piaccia Richard, non sopporto i romanzi che lo dipingono come una mite e gentile vittima delle circostanze – well on his way to sainthood. Garibaldi, stevenson, riccardo cuor di leone, riccardo III, giovanni senzaterra, filippo II

Nessuno sembra avere fatto sforzi comparabili per Giovanni Senzaterra, il fratello e successore del Cuor di Leone. O meglio: qualche biografo ha fatto notare come, checché ne dicesse il solito Walter Scott, Giovanni sia stato quanto meno un buon legislatore, un riformatore e un buon generale, penalizzato dall’aver ereditato debiti enormi, molto marasma interno e una collezione di guerre costose. Sul versante narrativo, tuttavia, nulla. Non so voi (e sarei grata di eventuali segnalazioni), ma non mi viene in mente un singolo romanzo in cui John Lackland compaia altro che meschino, arrogante, codardo e generalmente spregevole. Naturalmente c’è il teatro, ma per trovare un ritratto positivo di Giovanni bisogna tornare all’era Tudor. C’è anche, semi-dimenticato, un King John di Shakespeare – che definirei tiepido nella migliore delle ipotesi.

Pensandoci, è abbastanza strano. In fondo quasi tutti, prima o poi, trovano un riabilitatore. Pensate a Filippo II di Spagna, mostro di crudeltà per Otway, St. Réal, Alfieri e legioni di altra gente affascinata dalla Leyenda Negra. Poi arriva Schiller, e a Filippo cresce un’anima. Col risultato che adesso, per lo più, consideriamo Filippo II un vilain tormentato e con la sua dose di giustificazioni.

E se qualcuno intende obiettare che forse Giovanni non era simpaticissimo di suo, posso rispondere che è possibile – ma in genere non è il tipo di considerazioni che frena poeti e romanzieri. Per restare nell’ambito della Leyenda Negra, Don Carlos era uno psicopatico che si divertiva a frustare a morte i cavalli, eppure ha trovato parecchia gente disposta a ritrarlo come uno sventurato e attraente giovanotto – un nonnulla instabile forse, ma per eccesso di sensibilità e maltrattamenti ricevuti. Questi apologeti erano dapprima propagandisti protestanti e antispagnoli, cui serviva una vittima innocente e simpatica, martirizzata dal nigerrimo Filippo. E quando poi arrivarono playwrights e romanzieri, la storia era già solidificata e buona per il teatro, con i suoi Buoni e i suoi Malvagi – almeno fino a Schiller.

Un caso un po’ diverso è quello di Alan Breck Stewart, personaggio minore che più minore non si può, e decisamente poco simpatico. È vero che era un Giacobita – specie rappresentata in letteratura in varie sfumature dal fanatico pericoloso al vago e inefficace* – ma resta il fatto che persino i suoi compagni d’armi, correligionari e consanguinei lo descrivevano con scarso affetto. Poi arriva Stevenson e lo trasforma nell’irresistibile personaggio che sappiamo – e conosciamo e amiamo. A chi importa veramente che l’Alan storico fosse, a detta del suo padre adottivo, “uno sciocco violento e pericoloso”? Un altro caso di fama postuma e immeritata – molto più postuma ma altrettanto immeritata di quella di Riccardo Cuor di Leone, solo che le motivazioni di Stevenson erano molto più narrative che storiche.

D’altra parte credo che storia e storytelling si allaccino sempre inestricabilmente in questo genere di reputazioni. Riccardo III è stato sconfitto, Giovanni Senzaterra non può competere con l’aura di suo fratello, Filippo si è parzialmente salvato perché nessuno scrittore ha saputo rendere Carletto abbastanza interessante, e tutto ciò costituisce gioia e pascolo per i romanzieri storici presenti e futuri.

Templari: vittime o carnefici? I Cecil: pilastri della patria o arrampicatori? Roger de la Flor: cavaliere senza macchia e senza paura o perfido mercenario? John Dee: visionario o ciarlatano? Mehmed II: illuminato consquistatore o tiranno mezzo matto?…

Se lo chiedete a me, credo che il romanzo storico, come genere, abbia di che prosperare – con l’abbondanza di gente da riabilitare, gente da annerire, punti di vista da esplorare, idee acquisite da ribaltare. E c’è spazio di manovra per fare tutto ciò in più di un modo, tenendo conto delle sfumature di grigio oppure recuperando il buon vecchio manicheismo narrativo, perché sospetto che ci siano in giro un sacco di lettori come l’Anziano Signore – gente che vuole i suoi eroi saldamente in sella al cavallo bianco, e i malvagi ammantellati di nero e cachinnanti nell’ombra.

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* Una volta di più, Sir Walter Scott aveva messo mano alla faccenda…

Lug 20, 2011 - guardando la storia, teatro    2 Comments

Aninha

Sentivo il mondo muoversi appena oltre la cinta nera delle colline all’orizzonte, come un ruggire anita, garibaldi, teatro, governolo, centocinquantesimo, unità d'italia, laguna, brasilelontano di temporali nella notte. E me ne tornavo a casa piena di una fame senza nome e senza forma. E dietro le mie spalle mormoravano della Aninha selvaggia, la vergogna e il crepacuore di sua madre. Allora gettavo indietro la testa e fingevo che non m’importasse. Ero prigioniera…

 

Perché prima di Anita c’era Aninha, la figlia di un mandriano nelle paludi del Brasile, soffocata in un mondo troppo stretto – finché qualcuno non le diede un nuovo nome e nuovi sogni. La storia della ragazza che divenne Anita Garibaldi.

 

 

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Mag 27, 2011 - guardando la storia, teatro    Commenti disabilitati su Uno Dei Mille – Nel Bene E Nel Male

Uno Dei Mille – Nel Bene E Nel Male

spedizione dei mille,giuseppe nuvolari,garibaldi,centocinquantesimo,unità d'italiaDa un paio di mesi lavoro con tre terze medie sulle memorie di un garibaldino locale, e l’esperienza è stata interessante sotto più di un aspetto.

Intanto, Giuseppe Nuvolari era un personaggio decisamente singolare. Membro di una famiglia che fece il salto da contadini a proprietari terrieri nel giro di una generazione, rude, spiccio, senza peli sulla lingua, permaloso, coraggiosissimo, onesto e sgrammaticato, il Giuspin cominciò con una condanna a morte in contumacia nel 1852 – troppo prossimo all’ambiente dei Martiri di Belfiore. Era un mazziniano e passò alcuni anni da esule, infaticabile portaordini e raccoglitore di fondi. Quando incontrò Garibaldi fu una folgorazione. Nel Cinquantanove era nelle guide a cavallo dei Cacciatori delle Alpi, nel Sessanta era con i Mille, nel Sessantadue si guadagnò i galloni di capitano sul campo, nel Sessantasei era aiutante di campo di Garibaldi in persona.

A Italia unificata, Garibaldi gli affidò per mesi interi la gestione di Caprera, e il Giuspin, da buon contadino mantovano, inorridì dei metodi allegri usati sull’isola, e mise tutti e tutto in riga. Al ritorno di Garibaldi, che un gran senso degli affari non doveva averlo, Caprera era così ordinata e redditizia che sembrava un altro posto. Temendo di vedersi scalzare dal posto di amministratore, il genero di Garibaldi non trovò di meglio che calunniare pubblicamente il nostro brav’uomo: sui giornali comparvero articoli che accusavano Nuvolari di trascuratezza nella migliore delle ipotesi e di malversazione nella peggiore, imputando alle malefatte di questo Mantovano malfido addirittura una malattia di Garibaldi… Nuvolari, infuriato e amareggiato, chiese al suo Generale di discolparlo pubblicamente, ma Garibaldi si limitò a ribadirgli tutta la sua stima in privato. Non poteva, fece capire, svergonare la famiglia davanti a tutta l’Italia. Comprensibilmente, i rapporti tra i due si raffreddarono, e Nuvolari seguitò la sua vita tra le sue campagne, Genova e Roma – sempre scorbutico, sempre solitario, sempre tranchant.

Nel 1888, quando uscirono le memorie dell’ormai defunto Garibaldi, ci fu chi chiese a Nuvolari di annotarle. Nuvolari disse no, poi ni e poi (“se tacessi farei credere di non avere visto niente, o di non ricordarmi niente…”) scrisse. Oh, se scrisse. Le sue Note non furono mai pubblicate sul serio – e forse è un bene, perché così ne sono sopravvissute due versioni: il manoscritto originale e la versione edulcorata e corretta da un vecchio amico di Nuvolari. Il confronto tra le due è una meraviglia: da un lato l’impetuosa, sgrammaticata e vivida eloquenza del vecchio Garibaldino, dall’altra il compito e più istruito Maggiore a riposo che cerca di prestare al suo amico una vernice di cultura e di refinement.  

Personalmente adoro il diverso modo in cui i due uomini descrivono il faticoso passaggio di un torrente in Aspromonte e la pittoresca scena delle Camicie Rosse che guadano con l’acqua al ginocchio nella luce dorata del primo mattino.

“Avere avuto là un pittore, faceva affari!” commenta il rustico Nuvolari – mentre Ezechielli rapsodizza sugli effetti di luce, sulle macchie di colore, sulle pose plastiche dei soldati. A leggere le due versioni pare di vederli discutere: Nuvolari che scrolla le spalle e sporge ostinatamente il labbro inferiore, mentre il buon Maggiore Ezechielli cerca di convincerlo che scrivendo di guadagni non fa buona figura…

Per questo sono rimasta deliziata quando i miei quattordicenni, nello scrivere il piccolo testo teatrale che abbiamo tratto dalle Note, hanno scelto proprio questo brano, nelle sue due versioni, per far discutere i personaggi di ideale e senso pratico, di dedizione e indipendenza di giudizio, di arte e sincerità. Alla fine di tutto, il nostro Nuvolari rivendica orgogliosamente di essere e rimanere “uno che dice quel che pensa e fa quel che dice, un buon Italiano – uno dei Mille.”

Sono soddisfatta del risultato. Adesso, se tutto va bene, se piace alla Legge di Murphy, ai numi della pioggia, degli amplificatori e dei coloranti per tessuti, Uno Dei Mille va in scena domenica sera a Governolo, per un pubblico di genitori, nonni, zii e parenti vari, ai quali cercheremo di restituire Giuseppe Nuvolari così come è apparso ai ragazzi: brusco, matter-of-fact e innamorato della causa italiana – così poco romantico e così umano.