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Certo che, per essere una cui le storie di pirati non piacciono alla follia, ne hai lette un sacco…
scrive R., in riferimento alla nota alle illustrazioni di questo post.
Mah, non saprei dire se ne abbia lette davvero un sacco. Di sicuro sono vagamente irritata dal diluvio di piratitudini innescato da Jack Sparrow & compagnia* – ma quella tutto sommato potrebbe essere una reazione dovuta alla mia scarsa simpatia per i fads più che al genere in sé…
Oh, e poi c’è Sandokan. Da bambina ho destestato Sandokan e, a ben pensarci, anche i Corsari Variopinti. Li ho detestati con una certa energia – ma ne abbiamo già parlato, credo.
Per cui no: le storie di pirati non mi piacciono alla follia come genere. Non vado a cercarmele. Non ho mai fatto il pirata giocando a make-believe. Per di più, non sono affatto certa che non siano spesso minestroni di biechi luoghi comuni confezionati secondo formula…
Ciò detto, ci sono alcuni libri che mi sono piaciuti molto… benché parlassero di pirati. E incidentalmente parlavano di pirati. Oppure per il modo in cui parlavano di pirati.
Per dire…
2) The Privateer, di Josephine Tey. Brillante, ironico, scritto in quella maniera sciolta e vivace che è marchio di fabbrica di Ms. Tey, con dei dialoghi da manuale. Ci sono arrivata perché l’autrice mi piace tanto e questo è, credo, il suo unico romanzo storico vero e proprio. C’è il consueto lavoro di smontaggio di miti, perché questo Henry Morgan non è il mostro di cartone di Exquemelin, ma un giovanotto ambizioso e desideroso di rivalsa, dotato di una mente tattica, un senso dell’umorismo e un temperamento fiammeggiante. C’è il mare, ci sono un sacco di avventure, c’è un corteggiamento tutt’altro che convenzionale – e c’è un’introduzione sul linguaggio nei romanzi storici che vale da sola il prezzo del biglietto.
4) Captain Blood, perché sì. No, davvero: in fatto di avventura con Sabatini è difficile sbagliare. Un po’ il paradigma di quel che si diceva in fatto di letture estive, ricordate? Pittoresche avventure nei secoli passati. E Peter Blood che, con il suo passato turbolento, sarebbe felicissimo di restarsene a fare il medico e coltivar gerani – se non si ritrovasse impigliato nella Monmouth Rebellion e non finisse venduto schiavo a Barbados – è un personaggio perfetto. Una volta di più, è ispirato in parte a Morgan, la cui carriera da deportato a pirata a governatore, ammettiamolo, sembra fatta apposta da romanzare.
Quindi no, le storie di pirati non mi piacciono alla follia, ma l’occasionale pirata ben scritto e significativo, a patto che sia ambientato come si deve e non nuoti in una zuppa di clichés, è ammesso alla compagnia.
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* Di cui ho visto soltanto il primo film. Il fatto che lo abbia visto seduta praticamente sotto lo schermo e all’estremità laterale della fila, con grave pregiudizio dei miei cervicali, non ha contribuito a farmelo apprezzare, ma di sicuro non ho sentito il bisogno di vederne altri episodi.