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Lug 12, 2013 - libri, libri e libri    1 Comment

Pirati, Corsari, Bucanieri

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Certo che, per essere una cui le storie di pirati non piacciono alla follia, ne hai lette un sacco…

scrive R., in riferimento alla nota alle illustrazioni di questo post.

Mah, non saprei dire se ne abbia lette davvero un sacco. Di sicuro sono vagamente irritata dal diluvio di piratitudini innescato da Jack Sparrow & compagnia* – ma quella tutto sommato potrebbe essere una reazione dovuta alla mia scarsa simpatia per i fads più che al genere in sé…

Oh, e poi c’è Sandokan. Da bambina ho destestato Sandokan e, a ben pensarci, anche i Corsari Variopinti. Li ho detestati con una certa energia – ma ne abbiamo già parlato, credo.

Per cui no: le storie di pirati non mi piacciono alla follia come genere. Non vado a cercarmele. Non ho mai fatto il pirata giocando a make-believe. Per di più, non sono affatto certa che non siano spesso minestroni di biechi luoghi comuni confezionati secondo formula…

Ciò detto, ci sono alcuni libri che mi sono piaciuti molto… benché parlassero di pirati. E incidentalmente parlavano di pirati. Oppure per il modo in cui parlavano di pirati.

Per dire…

pirati, r.l.s. stevenson, josephine tey, rafael sabatini, john steinbeck1) L’Isola del Tesoro, che poi non è nemmeno il mio Stevenson preferito, ma di sicuro il primo che ho letto – ed è il genere d’incontro che non si dimentica. Anche solo l’inizio, con la locanda sulla costa ventosa, il misterioso ospite spaventato, la Macchia Nera… E poi vogliamo parlare di Silver? Fasullo, manipolatore, affascinante, contastorie e crudele… Tra l’altro, con il suo pappagallo sulla spalla e la sua gamba di legno, è Il pirata per eccellenza. D’altra parte, con questo romanzo (scritto, vuole la leggenda, in due settimane di vacanze piovose), Stevenson arredò buona parte del genere. pirati, r.l.s. stevenson, josephine tey, rafael sabatini, john steinbeck

2) The Privateer, di Josephine Tey. Brillante, ironico, scritto in quella maniera sciolta e vivace che è marchio di fabbrica di Ms. Tey, con dei dialoghi da manuale. Ci sono arrivata perché l’autrice mi piace tanto e questo è, credo, il suo unico romanzo storico vero e proprio. C’è il consueto lavoro di smontaggio di miti, perché questo Henry Morgan non è il mostro di cartone di Exquemelin, ma un giovanotto ambizioso e desideroso di rivalsa, dotato di una mente tattica, un senso dell’umorismo e un temperamento fiammeggiante. C’è il mare, ci sono un sacco di avventure, c’è un corteggiamento tutt’altro che convenzionale – e c’è un’introduzione sul linguaggio nei romanzi storici che vale da sola il prezzo del biglietto. 

pirati, r.l.s. stevenson, josephine tey, rafael sabatini, john steinbeck3) La Coppa d’Oro, che talvolta si traduce – chissà perché – come La Santa Rossa. John Steinbeck. Primo romanzo. Unico romanzo storico. Ancora Henry Morgan, ma tutt’altro mood. Una specie di monumento al narratore inaffidabile – e nemmeno in prima persona… Ma non si può mai essere certi nemmeno di quel che questo Morgan pensa, men che mai di quel che racconta. È il tipo che si reinventa le vite (più d’una) ogni volta che le racconta, aggiustandole per dare loro una simmetria narrativa e una profondità di significato che il lettore è invitato a sospettare non abbiano. E però, chi può dire che cosa rimanga di vero sotto le incrostazioni di menzogne, ritocchi e aggiustamenti? Con la beffa aggiuntiva che gli ascoltatori smettono di credergli abbastanza presto – ma non è detto che a Morgan importi granché. Per il discendente dei bardi gallesi, in fondo, l’importante è raccontarsi… pirati, r.l.s. stevenson, josephine tey, rafael sabatini, john steinbeck

4) Captain Blood, perché sì. No, davvero: in fatto di avventura con Sabatini è difficile sbagliare. Un po’ il paradigma di quel che si diceva in fatto di letture estive, ricordate? Pittoresche avventure nei secoli passati. E Peter Blood che, con il suo passato turbolento, sarebbe felicissimo di restarsene a fare il medico e coltivar gerani – se non si ritrovasse impigliato nella Monmouth Rebellion e non finisse venduto schiavo a Barbados – è un personaggio perfetto. Una volta di più, è ispirato in parte a Morgan, la cui carriera da deportato a pirata a governatore, ammettiamolo, sembra fatta apposta da romanzare.

Quindi no, le storie di pirati non mi piacciono alla follia, ma l’occasionale pirata ben scritto e significativo, a patto che sia ambientato come si deve e non nuoti in una zuppa di clichés, è ammesso alla compagnia. 

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* Di cui ho visto soltanto il primo film. Il fatto che lo abbia visto seduta praticamente sotto lo schermo e all’estremità laterale della fila, con grave pregiudizio dei miei cervicali, non ha contribuito a farmelo apprezzare, ma di sicuro non ho sentito il bisogno di vederne altri episodi.

Nov 24, 2009 - fenomenologia dello sbregaverze    Commenti disabilitati su Henry Morgan, lo Sbregaverze Bugiardo

Henry Morgan, lo Sbregaverze Bugiardo

Sì, Henry Morgan nel senso del Pirata Morgan. Uno dei bucanieri più celebri del XVII secolo, e tuttavia, insisto nel dirlo, marginale storicamente parlando. Il problema, semmai, è che non c’è un solo Morgan letterario, ce ne sono diversi e non è strano: un pirata sembra un personaggio ideale da sbregaverzizzare… se poi tutte le sue incarnazioni letterarie siano degli Sbregaverze, è un punto che merita discussione. Io sostengo di no. Tuttavia, siccome è l’ultimo Sbregaverze della serie, spero che sarò perdonata se prendo uno dei miei criteri, giro un pochino, lo inclino a 30° e lo tingo di blu.

HenryMorgan.jpgInsomma, cominciamo col dire che della giovinezza di Henry Morgan si sa di tutto un po’ e ben poco in concreto Gallese, nato attorno al 1635, forse primogenito di un proprietario terriero, forse cittadino di Bristol. Diceva di se stesso che aveva smesso di andare a scuola assai presto (persino per l’epoca!), avendo fin da ragazzo più familiarità con le armi che con i libri… Poi le cose si fanno vieppiù nebulose. Arruolato come ufficiale nell’esercito spedito da Cromwell nelle Indie Occidentali? Rapito e venduto in schiavitù temporanea in Giamaica? Fuggito dalle piantagioni e arruolato come soldato semplice? Emigrato nel Nuovo Mondo come apprendista? Il fatto è che “Henry Morgan” è un nome dannatamente comune in Galles, e dobbiamo rassegnarci all’idea di non avere nulla di certo sul nostro uomo fino ai primi Anni Sessanta, quando Welsh Harry emerge in Giamaica dove, guarda caso, suo zio è vice-governatore. Qui comincia (ed è ben documentata) una di quelle carriere che solo nel XVII Secolo, quando si poteva essere ammiragli, giudici, piantatori e pirati, tutto in una stessa vita… Bisogna considerare che nel 1660 Carlo II era tornato sul trono d’Inghilterra, e aveva ripreso il controllo delle sue colonie americane. Ai Caraibi c’era questa flotta spedita da Cromwell… che farne? Invece di proclamarli tutti traditori, Londra decise di farne una regia flotta corsara. Se lo aveva fatto la Grande Elisabetta… Piovvero le lettere di corsa (al fatto, permessi reali di commettere atti di pirateria ai danni di chiunque non fosse inglese) e si cominciò. Dopo i primi insuccessi divenne subito chiaro che occorreva qualche tipo di disciplina e di leadership. Per una combinazione di attitudine naturale e buone parentele, Morgan si ritrovò presto a salire questa bizzarra scala gerarchica non ufficiale. Nel 1665 Morgan comandava la sua nave; poco più tardi comandava la milizia di Port Royal; nel 1668 ricevette il grado di Viceammiraglio, con una flotta di quindici navi ai suoi ordini e, cosa altrettanto importante ai fini pratici, i pirati inglesi, che badavano poco ai galloni piovuti da Londra, lo elessero loro capo. Forte di tutto ciò, Morgan Maracaibo.jpgproseguì la sua redditizia guerra contro gli Spagnoli: prese in rapida successione Puerto Principe, Puerto Bello, Maracaibo e Gibilterra in una serie di imprese sempre più eclatanti e sanguinose, fingendo d’ignorare come nel frattempo Inghilterra e Spagna avessero firmato un trattato di pace provvisoria. Nel 1670 fu la volta di Panama, forse la città più ricca e importante delle colonie spagnole… Questa volta Morgan l’aveva fatta grossa. Carlo II lo richiamò a Londra e lo gettò in prigione. Poi lo perdonò, lo creò cavaliere e lo rimandò per la sua strada, ormai Sir Henry. Poi, per soprammercato, nel 1673 lo nominò vicegovernatore di Giamaica, non senza avergli sussurrato all’orecchio che ormai i giorni della pirateria erano contati. Sir Henry non se lo fece ripetere, e mosse una guerra spietata ai suoi ex colleghi, facendone impiccare un gran numero. Sotto la sua guida sagace, Port Royal e la Giamaica prosperarono fino al 1683, quando venne esonerato dalla carica per i suoi trascorsi. Morgan si ritirò a vita privata, amministrò le sue ricche piantagioni e fece qualcosa che oggi suona terribilmente familiare: intentò e vinse una ricchissima causa per diffamazione contro l’autore* e l’editore olandese di una bioografia che lo metteva in cattiva luce! Nel 1688 i suoi influenti amici ottennero per lui una riabilitazione e il reinserimento nella carica, ma il vecchio filibustiere non fece in tempo a goderne: morì pochi mesi più tardi, forse di tisi, forse di quella che i medici del tempo chiamavano idropisia, forse d’insufficienza epatica**. C’è una certa poesia nel fatto che il cimitero in cui fu sepolto con tutti gli onori sia sprofondato in seguito a un terremoto nel 1692, e la sua tomba si trovi tuttora sul fondo del mare…

Fin qui la realtà, e tutto sommato non fa una gran meraviglia che il personaggio abbia ispirato più di uno scrittore, includendo Rafael Sabatini e Josephine Tey. E tuttavia, sostengo che ci fu un solo autore a prendere Morgan con il suo nome*** e la sua storia, e farne uno Sbregaverze: John Steinbeck.

Notato il titolo di questo post? E ricordate quando dicevamo che lo Sbregaverze, quando non è generoso ed onorevole, ama credere di esserlo? Ecco, il Morgan di Steinbeck è proprio l’epitome di questa caratteristica. Non è che finga o si atteggi: passa tutta la sua vita a convincere prima di tutti se stesso.

CupofGold.jpgAndiamo con ordine. Il libro, opera prima di Steinbeck, si chiama Cup of Gold, tradotto in Italiano****, meno felicemente, come “La Santa Rossa”. E’ un libro strano, un po’ ineguale, ma d’altra parte è ‘prentice work: Steinbeck aveva 27 anni quando lo pubblicò. A me, precisazione non del tutto necessaria, piace molto. Mi piace perché prende tutte quelle incertezze sulla giovinezza di Morgan e ne fa uno dei pilastri portanti della narrazione.  Morgan parte da un Galles semi-mitico, dove le vecchie nonne predicono il futuro con esattezza sconcertante, e dove prima di un evento importante si consultano vecchi saggi a nome Merlin, e parte senza nemmeno rivedere la ragazzina di cui gli pare che dovrebbe essere innamorato. Parte per amor dell’avventura, parte per impazienza della casa e del podere di suo padre. Parte, e a Cardiff s’imbarca senza sapere che il prezzo della traversata è il guadagno che il capitano farà vendendolo schiavo nelle piantagioni.

Ebbene, questa storia cambia un sacco di volte nel corso del libro, cambia ogni volta che Morgan la racconta a qualcuno. Per tutta la sua vita, Henry seguita a raccontare a chiunque gli capiti versioni sempre diverse della sua infanzia e del suo viaggio verso le Americhe, ogni versione ricamata sulla precedente, incrostata di ulteriori dettagli della cui veridicità, badate bene, Morgan è in qualche modo convinto. Così, Elizabeth diventa un po’ per volta un grande amore perduto, una fanciulla perfetta, la figlia di un ricco proprietario, poi di un baronetto, poi di un duca vendicativo che fa deportare il ragazzo audace… Chi ascolta la storia qualche volta ci crede, qualche volta no, qualche volta sa per certo che non è vera. Henry Morgan, di fronte alle sue storie, è in quel limbo della certezza: la ferma volontà di essere certi. Capita di voler credere a qualcosa così tanto che è quasi come se ci si credesse.

Non contento di questo passato magmatico, che cresce su se stesso come crescono i miti, Morgan si provvede anche di un futuro altrettanto cangiante e nebuloso, ed eccoci al secondo pilastro portante di questa storia. Da buon Sbregaverze, mentre compie la sua ascesa, il nostro pirata si provvede di un’Aspirazione con la A maiuscola. Panama, la colonia spagnola tanto ricca e inaccessibile da andare sotto il nome di Coppa d’Oro (donde il titolo originale). Ma non solo la città: a Panama vive una donna, la moglie del governatore, altrettanto inaccessibile. Per la sua virtù e la sua bellezza è nota come la Santa Roja, ed è una leggenda sulla bocca di tutti i pirati. A questo punto è solo naturale che Morgan elegga a suo obiettivo la conquista di Panama e, con Panama, della Santa Rossa. Intanto sogna, guerreggia, vince e riflette. E acquista un amico.

Eccoci qui, il sidekick. Morgan vuole un amico perché si sente solo. Alla fin fine detesta tutti quei pirati ottusi e rozzi che servono sotto il suo comando, incapaci di sognare, ciechi al di là del prossimo doblone d’oro, della prossima prostituta, della prossima bottiglia di rum. Ma c’è un’eccezione nel mucchio: un giovane pirata francese, al quale Morgan ordina di essere suo amico. E per bizzarro che ciò sembri, funziona. Funziona perché Coeur de Gris ammira il suo comandante, ed è pronto a cercare di spiegargli il funzionamento quotidiano del mondo al di fuori dei sogni. CdG***** non perde molto tempo con il suo passato, per il futuro ha sogni di gloria dorati e vaghi, e sa apprezzare il presente con la pienezza di cui Morgan non è capace. E’ lui a svelare al suo comandante certi misteri, come il fatto che anche l’ultimo mozzo di cambusa e il più rozzo degli armigeri sognano Panama, ciascuno a suo modo. La sopresa è grande: a Morgan non piace sentirsi dire che non è diverso dagli altri uomini, e tutto sommato preferisce non crederci. CdG è l’unico ad essere ammesso, in qualche modo, nella sfera ideale di Morgan: c’è bisogno di lui, perché gli eroi delle storie, oltre a un Sogno da perseguire e a una Donna da amare, devono avere un Amico di cui fidarsi. Mal gliene incoglierà.

Enfin, Panama cade, sanguinosamente e tra mille difficoltà, e la Santa Roja è catturata. E allora? Morgan raggiunge la sua Coppa d’Oro? Ottiene Panama Presa.jpgil suo premio? Non è un vero Sbregaverze? Never fear. La presa di Panama è una faccenda sudicia e ingloriosa come ogni altra impresa piratesca, e Dona Ysobel non è… non è cosa? Morgan non lo sa. Non è la bellezza celestiale di cui tutti parlano, tanto per cominciare. E’ una donna matura, orgogliosa, intelligente, di forte carattere. Non mostra paura, e anzi, capisce Morgan nel profondo. Capisce la sua incapacità di venire a patti con la realtà, e se ne fa gioco. Di sicuro non è un premio. La caduta di Panama è, prima di tutto, un’inammissibile delusione. Nessuno ci dice che l’avverarsi di un sogno non conclude nulla, non corona nulla, non cambia nulla. Anzi, semmai toglie qualcosa: possiamo ottenere o no ciò che volevamo, ma di certo perdiamo il nostro sogno da perseguire. In conseguenza di questo amaro risveglio, Morgan fa qualcosa di apparentemente privo di senso: uccide Coeur de Gris. Una specie di suicidio vicario? Un tentativo di accecare la sua coscienza davanti a questo nuovo mondo in cui gli scopi sono già raggiunti? Un’incapacità di accettare la realtà? A mio avviso, tutte e tre le cose.

Oh, Morgan andrà avanti per conto suo, senza altri amici. Prenderà altre città, salirà di grado, continuerà a raccontare storie sempre più improbabili della sua giovinezza, sposerà la sua ricca cugina (ancora un’altra Elizabeth, come la madre, come la ragazza in Galles, come la Santa Roja), smetterà di fare il pirata, diventerà governatore della Giamaica, accumulerà grandi ricchezze… Sempre bugiardo, sempre solitario, sempre infelice, sempre assediato dai ricordi e dai rimpianti. Sempre occupato a raccontarsi, a se stesso e agli altri, come il protagonista di un romanzo. Anzi, no: di un mito.

La vita di Sir Henry Morgan, bucaniere, con occasionale riferimento alla storia, recita il sottotitolo del libro. In realtà il riferimento è ben più che occasionale, ma Steinbeck ne ha fatto lo sfondo pittoresco di una storia su come storie, sogni, menzogne e aspirazioni siano in fondo tutt’uno. Su come sia facile sbagliarsi. Su come ci si voglia sbagliare, talvolta.

Solo nel morire Morgan è tranquillo, mentre si riconcilia con le sue memorie, mentre si libera dei rimorsi, mentre i ricordi lo abbandonano uno a uno “come una colonia di vecchissimi cigni, che volino verso qualche remota isola del mare, per morirvi”. Insomma, ecco: l’oblio e la pace non sono vita. La vita era non tanto la realtà, perché quella lo Sbregaverze Morgan non l’ha mai voluta per sé, ma i sogni, le aspirazioni, l’affannosa ricerca di colori migliori. Ricerca vana, è vero, ma non per questo meno reale e meno viva: la fiamma triste di tutti gli Sbregaverze. E l’Henry Morgan di Steinbeck, per il quale la fiamma si spegne a Panama senza tornare più, è il più triste di tutti loro. 

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* L’autore era Alexandre Exquemelin, già chirurgo di bordo e amico di Morgan. Tra l’altro, era la fonte della storia della vendita in schiavitù, ma credo che non fosse tanto quella a sollevare l’ira di Sir Henry, quanto il racconto di molte brutalità e molti eccessi nel corso della guerra corsara contro gli Spagnoli.

** Non è che avesse condotto la vita più morigerata che si possa immaginare…

***  Il Peter Blood di Rafael Sabatini, è apertamente ispirato a Morgan, ma ci sono abbastanza differenze da poterlo  considerare un personaggio diverso. Quanto a Josephine Tey… ho deciso che il suo Morgan non è uno Sbregaverze. Ecco.

**** Almeno nell’edizione che ho io: Oscar Mondadori, 1987. Traduzione (credo Anni Quaranta) di Giorgio Monicelli.

***** E che caspita! Gli veniva il morbillo, a Steinbeck, a dargli anche un nome di battesimo? Fortunatamente ci liberiamo di lui abbastanza presto.