A leggere di sogni.
E si comincia con la storia onirica de La Piuma postuma di Faletti, candida e leggera e inafferrabile, finché qualcuno (uno scrittore, non a caso) ne divina l’uso.
Si prosegue poi con Sogni di Sogni, E il sogno immaginario che Tabucchi ha intessuto per uno Stevenson quindicenne – premonitore delle isole lontane, delle storie, dei fiumi d’inchiostro.
Poi ci si alza tutti e ci si sposta nel prato buio per guardare, con un meraviglioso telescopio, una falce di luna come uno spicchio di merletto d’oro e d’ombra – così vicina attraverso le lenti che pare di poterla toccare allungando una mano. E poi Saturno inanellato e vertiginosamente lontano.
E si torna a leggere, mentre l’orizzonte nero fiorisce di fuochi d’artificio lontani – ora qui, ora là…
E sembrerebbe – ad onta della frutta gelata e dei dolci, e dei bambini, e dei gatti e delle piccole file di ranocchie – sembrerebbe tutto molto terrificante, e ancora di più di fronte alle fiammelle affondate nel silenzio siderale. Si guarda Titano, si guarda la grande Deneb, si guardano ammassi e nebulose e sistemi binari di stelle che si fanno compagnia a lontananze inimmaginabili, e si è tentati di sentirsi piccoli piccoli, e sperduti…
Ma in realtà, noi gente piccola piccola, seduta attorno al fuoco nella notte, guardiamo attraverso queste inimmaginabili distanze, seguiamo il dito puntato da innumerevoli generazioni di astronomi e di poeti… E se siamo capaci di telescopi che inseguono le stelle, di sonde che viaggiano decenni, di teatro e di poesia che attraversano i secoli – o partono per attraversarli – forse allora Kipling si sbaglia, per una volta: non siamo poi così terribilmente piccoli, e dei prezzi che paghiamo, alla fine, vale la pena.