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Limerick!

Edward_lear2.jpgIl limerick è una poesiola in cinque versi (dimetri o trimetri anapestici, a voler essere pignoli) con uno schema di rime AABBA. Ora, perché qualcuno vorrebbe inventare una forma poetica di cinque versi anapestici*? Ma perché qualcuno è inglese, naturalmente. O più che altro irlandese: a parte qualche esempio arcaico (il solito, onnipresente Shakespeare – ma la faccenda è dubbia, e un ecclesiastico seicentesco in vena satirica) l’origine del genere sembra doversi cercare nell’Irlanda settecentesca, dove i cosiddetti Poeti del Maigue si sfidavano a produrne di estremamente licenziosi.

Noi adesso associamo il limerick alla letteratura nonsense grazie a Edward Lear che, nella seconda metà dell’Ottocento, prese la forma e la usò per le sue incantevoli rime assurde, come questa:

There was an Old Lady of Prague,
Whose language was horribly vague,
When they said,”Are these caps?”
She answered “Perhaps!”
That oracular Lady of Prague.

Oppure questa:

There was a Young Person of Smyrna
Whose grandmother threatened to burn her*;
But she seized on the cat,
and said ‘Granny, burn that!
You incongruous old woman of Smyrna!’

E a questo punto è evidente che la prosodia non è precisamente il primo dei problemi nel comporre un limerick: giochinonsense--edward-lear-001 di parole, allitterazioni, assonanze, nomi geografici e bizzarrie di pronuncia** sono i nove decimi del sugo di questo gioco, e al diavolo i trimetri anapestici – anche se, come Lear, si era il professore di disegno della Regina Vittoria. Tra l’altro c’è un che di estremamente appropriato nell’idea che sia stato un eminente vittoriano a… come dire? Ad addomesticare il limerick purgandolo dalla sua componente licenziosa. Voglio dire: era gente che metteva i pantaloni ai pianoforti!

A quanto pare, all’epoca non si chiamavano neppure limerick, e l’origine del nome è controversa. Pare che il primo uso documentato risalga al 1880 in Canada, per questa strofetta (da cantarsi sull’aria di Will You Come Up To Limerick, il che – pare a me – fa molto per spiegare l’origine del nome…):

There was a young rustic named Mallory,
who drew but a very small salary.
When he went to the show,
His purse made him go
To a seat in the uppermost gallery.

L’importante è presentare un protagonista (spesso in termini geografici) al I verso, descriverne le Edward_Lear_More_Nonsense_87.jpgbizzarrie al II, derivarne conseguenze ancora più dissennate al III e al IV, e raggiungere una conclusione nel V, in un genere di progressione logica inattaccabile nella sua completa illogicità. Insospettabili ed eminenti britannici si sono divertiti un mondo a coniare limerick. Di sicuro non vi stupite se cito Lewis Carrol, ma come la mettiamo con Stevenson? E Joyce? Sì: il Joyce di Ulisse scriveva limerick. Per non parlare poi di Bertrand Russel, non so se mi spiego. Ma d’altra parte, quando si tratta di nonsense, gli Isolani sono pieni di sorprese…*** E in Italia? Be’, il babbo del limerick italiano (talvolta chiamato limericco) è Gianni Rodari che, nella Grammatica della Fantasia, consiglia a chi voglia cimentarsi in questo albionico sport di “Prendere due parole possibilmente molto lontane come campo semantico, ma in rima fra di loro, e lasciarle sbattere fra di loro finché dalla scintille non nasca la prima idea della poesia”. Con questo metodo, Rodari produceva rime siffatte:

Una volta un dottore di Ferrara
Voleva levare le tonsille a una zanzara.
L’insetto si rivoltò
E il naso puncicò
A quel tonsillifico dottore di Ferrara.

E ora, o Lettori, qualcuno vuole provare e cimentarsi a far limerick per diletto?
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* Se volessimo essere spiritosi diremmo che, avendo tre versi con tre piedi ciascuno e due versi con due piedi ciascuno, il limerick è una bestia con tredici gambe… Ecco, questo è il punto in cui potete ridere, se volete.

** Far rimare Smyrna con burn her è possibilissimo, a patto di far cadere la h alla maniera cockney, e pronunciare -er come -ah. Sì, lo so, eppure credetemi: in qualche modo, in Inglese tutto questo ha senso.

*** …e anche i loro cugini d’Oltreoceano. Una volta postai su un forum americano una serie di tre limericks. Mi erano costati una sera di lambiccamenti, ma mi sentivo davvero bravina. Nel giro di dieci minuti, metà del forum aveva risposto in kind, e in via del tutto estemporanea. Er…

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Le illustrazioni sono tratte da A Book Of Nonsense, di Edward Lear – tranne la copertina, che essendone la copertina, naturalmente, non ne è tratta, o almeno non nel senso… oh, avete capito benissimo che cosa intendo.

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Mag 11, 2015 - grilloleggente    Commenti disabilitati su Dieci Gatti Di Carta

Dieci Gatti Di Carta

gatti, libri, edgar allan poe, shakespeare, lewis carrolDomani sera c’è l’appuntamento mensile con Ad Alta Voce. Il tema è destinato ad essere il primo di una serie: Bestiario – cominciamo dai Gatti. Col tempo ci sarà altra gente di questo genere, ma i gatti…

1) I gatti in tempi remoti sono stati divinità – e non se ne sono mai dimenticati del tutto.

2) I gatti si trovano sempre dal lato sbagliato della porta.

3) I gatti sono creature molto oblique – vi consentono di credervi il padrone di casa, a patto che di mostrarvi occasionalmente consapevoli che non è affatto così.

4) I gatti vedono al buio, hanno tre nomi, raggiungono acuti astronomici e c’erano quando i Faraoni commissionarono la Sfinge (a sentire T.S. Eliot).

5) I gatti consentono il brivido di tenere una tigre in casa, con conseguenze un po’ (ma solo un po’) meno cruente.

6) I gatti sono molto, molto, molto più maliziosi di quanto possa mai esserlo un cane (a sentire la mia mamma).

7) Ai gatti le intenzioni altrui interessano molto relativamente.

8) I gatti sono maestri sopraffini di ricatto morale, ritirata sull’Aventino, espressione supplichevole, dispetto mirato, gratificazione imprevista ed altre tecniche di manipolazione del prossimo, particolarmente il prossimo a due zampe.

9) I gatti sono ineffabilmente determinati – se li cacciate dalla poltrona quarantasei volte, tornano a salirci una quarantasettesima.

10) I gatti possiedono un serio talento per il disastro su larga scala.

E soprattutto, la letteratura è piena di gatti – questi affascinanti, insopportabili, adorabili animali che si rifiutano sdegnosamente di avere un padrone ma, quando ci comportiamo bene (oppure no: nulla è più imperscrutabile del whim di un gatto…) si degnano di considerarci di loro proprietà. Gatti veri e propri, gatti simbolici, gatti metaforici, gatti parodistici, gatti demoniaci, gatti comici, gatti terribili, gatti antropomorfi, gatti magici – ce n’è per tutti i gusti perché l’animale è complesso, pieno di personalità e si presta a tutta una serie di variazioni narrative e meccanismi letterari.

Cover of "Old Possum's Book of Practical ...Se dovessi elencare i miei gatti letterari preferiti sarei in seria difficoltà, per cui considerate l’elenco che segue una lista informale, in ordine sparso e senza pretese di completezza.

* Old Deuteronomy e compagnia, da Old Possum’s Book Of Practical Cats, di T.S. Eliot. Una collezione di felini pantofolai, pirati, teatranti, ferrovieri o buongustai che contemplano il loro ineffabile nome segreto, distruggono vasi Ming e si fanno i fatti loro – in poesia. Dall’affettuosamente realistico al nonsense sublime.

* Grey-Malkin, il gatto delle streghe nel Macbeth di Shakespeare. Non che veniamo a sapere granché di lui, ma che diamine: è in Shakespeare. Basta e avanza.

* Il Gatto del Cheshire – l’originale delle Avventure di Alice. Inaffidabile, sogghignante, enorme, incline ad elargire improbabili perle di saggezza e informazioni tendenziose, probabilmente anche pericoloso. Ma come resistere a un gattone che scompare lasciandosi dietro un sogghigno sospeso a mezz’aria*?

*Il Gatto del Cheshire II – il bibliotecario del Mondo dei Libri nei romanzi di Jasper fforde: idem come sopra e  in più soffice, compagnone e di buon appetito, ma estremamente capace al bisogno.

* Pluto, il Gatto Nero dell’inquietante storia omonima di Edgar Allan Poe. Di sicuro non era ispirato a Catterina (sic), l’adorabile gatta nera della famiglia Poe, compagna inseparabile della sua padrona malata.

* Il Gatto Con Gli Stivali, eroe eponimo della favola. Se non fosse stato per lui, altro che Marchese di Carabas!

English: Edward Lear, illustration for "T...* The Pussycat in The Owl And The Pussycat, di Edward Lear: la deliziosa Micina che fugge in barca con il Gufo per sposarlo su un’isola deserta. Però, se mentre fuggono, il Gufo canta serenate, chi è che rema?

* Il Gatto Che Camminava Da Solo, nelle Storie Proprio Così di Kipling** – ovvero come fu che l’uomo riuscì ad addomesticare tutti gli animali tranne il gatto…

* Behemot, che non è un bravo gatto, essendo uno dei demoni de Il Maestro e Margherita di Bulgakov.

* Tibert, gatto astuto e degno rivale del protagonista nel Roman de Renart.

E mi fermo qui per via del titolo, ma ce ne sono a iosa, perché sono molti gli scrittori che hanno ceduto al fascino narrativo dei felini. E chiunque abbia o abbia avuto un gatto capisce subito se anche lo scrittore ha avuto a che fare con felini in carne ed ossa prima di scriverne, perché i gatti sono come certe eccentriche parenti anziane: bisogna averne una per rendersi conto che certe descrizioni non sono affatto iperboli letterarie…

E voi? Quali sono i vostri gatti di carta preferiti? Se siete da queste parti, venite a leggerli con noi domani sera, alle nove della sera, alla Biblioteca Zamboni di Roncoferraro.

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* Per la cronaca: Lewis Carrol creò il suo felino a partire dall’espressione to grin like a Cheshire Cat (sogghignare come un gatto del Cheshire), vecchia come le colline – o almeno quanto il consueto Shakespeare. Dove originasse è uno di quei misteri della lingua Inglese.

** Ad onta del nome il Gatto Maltese – altra storia di Kipling – non è affatto un gatto, ma un cavallo. Un pony da polo, per la precisione. Va’ a fidarti degli scrittori.