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Parliamo Di Pronuncia

L’esistenza della Pronunciation Unit della BBC l’ho scoperta negli anni Ottanta, da un articolo di Luca Goldoni pubblicato in una raccolta intitolata, se ben ricordo, Fuori Tema.

PronUnAll’epoca, diceva Goldoni, si trattava di una stanza in cui lavoravano quattro ragazzi armati di fax, telefoni e una parete di dizionari. Lo speaker, giornalista o conduttore che doveva pronunciare un nome straniero e non sapeva come, si rivolgeva alla PU, e ne riceveva rapidamente lumi. Quel che non si sapeva, si chiedeva.

Brillante nella sua semplicità, diceva Goldoni. Perché non dotare anche la RAI di qualcosa del genere? Perché lasciare la pronuncia delle parole straniere, nel migliore dei casi, all’iniziativa personale? C’era gente rigorosa come Lilli Gruber che, nel dubbio, telefonava al consolato rilevante. E poi c’era gente che improvvisava in criminale allegria – hence perle quali l’armistizio di Chèssibol – che, ironia delle ironie, in realtà non è nemmeno una parola straniera. Forse, se avesse avuto una Pronunciation Unit cui chiedere, il perpetratore si sarebbe accorto del disastro prima di commetterlo?

E questi erano gli anni Ottanta. Adesso come funziona?

Alla BBC la Pronunciation Unit c’è ancora – e ha, semmai, l’aria di essersi ingrandita. Partendo dall’assunto che le pronunce usate in BBC devono essere accurate e coerenti, uno staff di professionisti offre assistenza su tutte le lingue – gratuita anche per i produttori indipendenti che lavorano per la BBC. La faccenda è semplice: il giornalista o produttore (interno o esterno) presenta la sua richiesta per telefono, fax, posta o email – e riceve risposta a voce o per iscritto in uno a scelta tra due alfabeti fonetici. In alcuni casi, è possibile avere anche un file audio – e tutti pronunciarono felici e contenti.

Da noi? Oh, non so. DOP

Dal 1969 la RAI pubblica il DOP, Dizionario di Pronunzia e Ortografia, che trascrive foneticamente una quantità di parole italiane e qualcuna straniera. Dal 2008 ne esiste una versione online, dotata di file audio per la pronuncia standard di base toscana, o fiorentino emendato – con qualche margine di manovra per le varianti storiche e geografiche. Dopo sei anni, tuttavia, il sito si presenta ancora come “provvisorio e incompleto”. Ho provato a giocherellare un po’, e ho costatato che molte espressioni straniere, anche quelle di uso più giornalisticamente quotidiano, mancano non solo di file audio, ma anche di indicazioni fonetiche. Va un po’ meglio per i nomi geografici, ma quelli storici sono lasciati all’immaginazione.

Quindi, qualunque sia il suo uso, il DOP non copre le funzioni della Pronunciation Unit di cui pure, a giudicare dalla desolante ricorrenza di piccole gioie come uèlfar, mùntan baik, giobà(c)t e tante altre, ci sarebbe un gran bisogno. O forse magari c’è, solo che non sono riuscita a trovarne traccia… né in rete né nella qualità generale della pronunzia targata RAI. E non parlo di Sanscrito, Swahili o Kirghizo: almeno l’Inglese, almeno le principali lingue europee… non sarebbe bello che chi parla per conto del servizio pubblico le pronunciasse decentemente?

E dire che non costerebbe molto… basterebbe cominciare in piccolo, come alla Beeb* si faceva trent’anni fa: una stanza, quattro ragazzi, una parete di dizionari, qualche computer – e una linea guida: la pronuncia usata in RAI deve essere accurata e coerente.

Eh.

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* Intanto, nulla impedisce che dell’esperienza e dello spirito di servizio della BBC possiamo beneficiare noi, con cose come questi Pronunciation Tips, piccola guida alla (marzianissima, lo ammetto) pronuncia inglese, completa di esempi audio e video, un po’ di teoria, esercizi, test e approfondimenti.

 

Feb 2, 2011 - commercials, lostintranslation    Commenti disabilitati su Eh?

Eh?

Avete presente la pubblicità ricattatorio-anniversariale della RAI, in cui Ofelia suggerisce da dietro le le quinte a un perplesso Amleto, un sacerdote celebra il matrimonio di una basita giovane coppia, un allenatore arringa la sua stranita squadra di pallacanestro prima della partita, una spaesata giornalista intervista un vincitore di tappa, e via così, e nessuno capisce nessuno perché tutti parlano versioni strette di qualche dialetto italiano?

Dopodiché la Voce Fuori Campo rivendica gioiosamente i meriti della Tivvù nell’avere insegnato l’Italiano agli Italiani e, in un momento dalle non so quanto volute implicazioni bibliche, parte l’Inno di Mameli, sventola il Tricolore, e la babele si dissolve, per l’entusiasmo generale. Ofelia, o chi per lei, in un serio sfoggio di tripudio, con gli occhi fuori dalla testa e un sorriso a sessantaquattro denti, leva le mani al cielo ed esclama “Che meraviglia!”, o qualcosa di equivalente. “Fratelli d’Italia.” conclude suadente la VFC, salvo poi riprendere  con “Oh, e quindi ce lo meritiamo proprio il canone, non vi pare? – o parole a quest’effetto. 

 L’idea è più carina di altre, tratta senza eccessi di retorica un angolo particolare del Centocinquantesimo e, in fairness, i meriti in questione la RAI li può anche vantare davvero – anche se ormai si tratta di meriti antichi: vorrei tanto che i telegiornalisti smettessero di dire cose come “vicino Milano” o “riappacificare” in luogo di “rappacificare”… 

Resta il fatto che ieri gente dell’altro capo della provincia – gente mantovana come me, solo 60 chilometri più a ovest – mi ha apostrofata più o meno così: “Conta n’argota!”

Soggiacendo a un improvviso impeto d’identificazione con tutti i basiti dello spot RAI, ho sollevato le sopracciglia e ho esclamato “eh?” E così ho scoperto che questi alieni dicono “conta n’argota” per significare “racconta qualcosa”, ma se invece volessero dirmi di non raccontare nulla modificherebbero l’ingiunzione in “conta n’algota”.  Gente più esperta di me nell’idioma delle mie parti – e quindi più attendibile – mi conferma nell’impressione di assoluta ostrogotaggine.

E quindi sì: per una volta, la RAI può fare la ruota a ragione e considerarsi soggetto meritevole. Sarebbe bello che, forte di questo, proseguisse sulla buona strada, invece di massacrare i congiuntivi, coltivare ogni genere di malvezzo linguistico e impoverire il vocabolario. Non sarebbe già molto, come impegno per i prossimi centocinquant’anni?

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Tra parentesi, mi diverte abbastanza il modo in cui l’utente YouTube che ha messo in rete la serie di spot intitola il video “W i nostri dialetti”…