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Ago 12, 2013 - Anno Verdiano    3 Comments

Librettitudini Verdiane: Luisa Miller

L’aver fatto debuttare a Roma la Battaglia di Legnano era stata, come abbiamo visto, una benedizione dal punto di vista della censura, ma aveva creato non pochi problemi con la direzione del San Carlo di Napoli, che su Cammarano&Verdi – ma soprattutto su Cammarano – vantava qualche diritto in virtù del contratto del 1845.

Cosicché, con Cammarano minacciato di azione legale e addirittura di carcere, Verdi decise di scrivere un’opera per Flaùto – a inderogabile condizione, si legge in una lettera, che nulla accadesse al povero poeta, già indebitato di suo e padre di cinque. 

E dopo qualche infruttuoso tentativo con L’Assedio di Firenze – che comunque prometteva di diventare non meno pericoloso e censurabile della Battaglia – i due si decisero per Schiller un’altra volta: Kabale und Liebe, sotto il titolo di Luisa Miller.

E francamente non so vedere tutto questo miglioramento rispetto a Firenze o Legnano. Schiller era il tipo di scrittore che non sapeva fare nemmeno la lista della spesa senza farcirla di vagonate di critica sociale e incendiarietà politiche assortite, e Kabale, con la sua vicenda di scontro tra vecchia nobiltà e borghesia emergente, non faceva eccezione.

Ma Cammarano, pover’uomo, aveva già i suoi guai, e così forse non dobbiamo stupirci troppo che annacquasse il tutto in una storia d’amore contrastato in salsa tirolese…

Atto Primo – L’amore.

Tirolo, ameno villaggio, e il coro, guidato dalla contadinella Laura, va a cantare gli auguri di compleanno alla dolce Luisa, figlia dell’ex soldato Miller. Il quale è preoccupato, perché Luisa si è innamorata di uno sconosciuto venuto da fuori – e a lui, come dicesi dalle mie parti con rustica ma efficace espressione, balla un occhio.

Non ha neanche tutti i torti, ma questo noi ancora non lo sappiamo, e Luisa non ci vuole credere. Per convincere il padre gli ripete con sopranile logica che si sono visti appena e già si amano di tenerissimo amore… né noi né il padre siamo terribilmente rassicurati, ma non c’è tempo per agitarsi ulteriormente, perché chi ti compare tra i contadinelli che offrono fiori di campo a Luisa, se non l’innamorato misterioso? Dubbi del padre, felicitazioni del coro, cinguettio dei due giovani – ed è mai possibile che, pur cinguettando d’amore, debbano riuscire a parlar di morte due volte nel giro di otto versi? Che vorrà mai dire? Avrà forse ragione il vecchio Miller, che non sa qual voce infausta entro il suo cor favelli?

Ma lasciamo che Luisa, il suo giovanotto e il coro se ne vadano in chiesa, e guardiamo entrare Wurm, il castellano del conte von Walter. Ora, da uno che di nome fa Verme che cosa possiamo aspettarci? Come minimo, che sia innamorato a sua volta di Luisa e chieda a Miller di convincerla a sposarlo volente o nolente. Ma Miller, padre affettuoso e Schilleriano, inorridisce: e che! un consorte – che poi si deve tenere finché morte non separi – si può scegliere solo in tutta libertà, e Luisa è innamorata di un altro.

Un altro, eh? sibila Wurm. E lo sa Miller che quell’altro si finge un cacciatore, ma in realtà è il figlio del conte von Walter, signore del luogo? E poi il verme se ne va, lasciando Miller a crogiolarsi in uno di quei momenti da io-l’avevo-detto.

Anche noi ce ne andiamo, e seguiamo Wurm al castello, intento a fare la spia con il conte, che non può credere alle sue orecchie. Ma come? Lui si dannerebbe l’anima per vedere felice l’amatissimo figlio, e lo sciagurato ragazzo lo ricambia innamorandosi di una contadinella? E considerando che questo è il XVII Secolo, a noi il conte pare più turbato di quanto la circostanza giustifichi, vero? Be’, prendiamone nota e mettiamo da parte. Ne riparleremo poi.

Ma quando arriva il rampollo Rodolfo, che è (ma lo sapevamo già) il moroso di Luisa, il conte finge di nulla e gli annnuncia gaiamente di avere qui pronta da dargli in moglie la cugina Federica, amica d’infanzia, duchessa, ricca, bene introdotta a corte e anche innamorata… che si può volere di più?

Ma io non l’amo, protesta Rodolfo, e non ho ambizioni particolari, non so che farmene di lei…

Il padre rimbrotterebbe, ma eccola che arriva, Federica. E sappiatelo: Federica è bella, buona e virtuosa.* Solo che non è Luisa e, quando conte e coro si ritirano strategicamente per andare a caccia, Rodolfo si affretta a informarla che non può sposarla perché ama un altro.

Non ci aspettavamo che Federica la prendese bene, giusto? Se tu mi pugnalassi, sibila al cugino, ti perdonerei perché ti amo. Ma questo è imperdonabile e me la pagherai.

Hell hath no fury – con quel che segue.**

Ma torniamo a casa Miller, dove Luisa guarda dalla finestra i cacciatori in arrivo dal castello, e si stupisce di non vedere tra loro il suo giovanotto. Chi arriva, invece, è Miller, a svelare l’identità del bugiardo. Luisa, naturalmente, non vuole crederci, ma ecco Rodolfo, che confessa e però giura che il suo cuore appartiene solo e soltanto a Luisa.

Miller chiede, non irragionevolmente, chi proteggerà tutti e tre dall’ira del conte. E Rodolfo comincia a spiegare di avere buon materiale ricattatorio in mano… 

E a noi potrebbe venir da levare un sopracciglio all’idea di un eroe d’opera che ricatta il babbo – ma mentre ancora ci pensiamo, ecco giungere il conte in persona. E appena giunto, chiama Luisa una venduta seduttrice. Luisa semisviene, Rodolfo non passa alle vie di fatto solo perché si tratta di suo padre, ma Miller non soffre di questo genere di compunzioni.

Naturalmente non va molto lontano, perché il conte fa arrestare lui e Luisa.

Se la incarcerate, vado con lei, minaccia Rodolfo.

Il babbo risponde che si accomodi.

Prima di vederla incarcerata, la uccido di mia mano, è la seconda minaccia.

Di nuovo, il babbo risponde che si accomodi.

E tutti pensiamo: adesso minaccia di uccidersi lui, giusto? Perché questo sì che farebbe sobbalzare il conte…

E invece no: visto che proprio non c’è altro modo, Rodolfo sussurra di sapere come il padre sia diventato signore di Walter e se ne  va di corsa. E si vede che era proprio buon materiale, perché il conte cede all’istante e se ne va con i suoi, trascinandosi via Miller, ma lasciando libera Luisa.

Sipario.

Atto Secondo – l’intrigo

Ecco il coro che porta a Luisa pessime nuove: gli uomini del conte stanno portando via suo padre, e non per una gita panoramica… E poi ecco Wurm, che caccia via tutti e spiega a Luisa come stanno le cose: vuole suo padre salvo? E allora, per ordine del conte, che scriva una lettera in cui dice di non avere mai amato Rodolfo, di non averlo mai creduto un povero cacciatore, di averlo sedotto per ambizione, di essere in realtà innamorata di Wurm… E sarà l’amor filiale, sarà che è una mozzarella, ma Luisa cede prima di subito e scrive. Non basta: Wurm le fa giurare di non smentire mai la lettera, e di mostrarsi innamorata di lui davanti alla duchessa Federica.

Luisa non è contenta, ma che può fare, povera ragazza?

E noi torniamo al castello con Wurm, e lo ascoltiamo mentre, con il conte, si raccontano l’un l’altro come anni prima abbiamo cospirato per assassinare il cugino e predecessore del conte… credevano di avere fatto tutto in gran segreto, ma si direbbe che Rodolfo sappia tutto e non si faccia scrupoli particolari a servirsene… Ci mancava solo questo accidente di Luisa, vero? Né Wurm né il conte si sentono terribilmente sicuri, né si fidano granché l’uno dell’altro…

Ma ecco la duchessa, davanti a cui Wurm trascina Luisa. Le due si squadrano in cagnesco, ma a dire il vero Federica è una cara ragazza, ed è più interessata alla verità che altro, e Luisa, pur gelosa e angosciata, finirebbe col confidarsi, se non fosse per Wurm e il conte che le stanno con il fiato sul collo… Ma alla fine la povera fanciulla riesce ad essere convincente, la duchessa è ingannata e felice, Wurm e il conte esultano.

Intanto, in un giardino pensile del castello (chissà poi perché un giardino pensile…), Rodolfo riceve la famosa lettera per mano di un contadino prezzolato (ma non  volevano tutti un gran bene a Luisa?) e s’infuria e manda a chiamare Wurm. Non è ben chiaro se abbia in mente un duello o un duplice suicidio, ma di sicuro ha due pistole, e Wurm pensa bene di scaricarne una in aria, facendo accorrere tutti – padre compreso.

E al conte bisogna riconoscere qualche sottigliezza, perché, trovando il figlio sconvolto, finge di cedere e di acconsentire alle nozze con Luisa – proprio quando Rodolfo non la vuol più nemmeno sentir nominare. E, con tutto il suo prestigio ristabilito e un’apparenza di generosità, può suggerire pronte nozze con Federica, senza che lo sbigottito Rodolfo tenti nemmeno di ribellarsi.

Atto Terzo

Torniamo a casa Miller, dove Luisa scrive e se ne sta mesta. La lettera è una semiconfessione per Rodolfo, la mestizia si deve alle intenzioni suicide.

Poi, come fa la gente che in realtà non intende suicidarsi davvero, affida la lettera (aperta) al babbo da consegnare. E Miller legge, naturalmente, e se ne resta lì trambasciato e silenzioso, e impiega un’era geologica ad afferrare il senso della lettera, e poi quando lo afferra piange e supplica e dissuade, e Luisa si pente e desiste – a patto di andarsene via. E così, padre e figlia risolvono di andarsene raminghi e poveri dove il destin li porta, magari mendichi, ma insieme. Miller va a schiacciare un pisolo prima della partenza, Luisa prega…

E chi sarà mai lo sconosciuto amnmantellato che entra di soppiatto? E perché versa il contenuto di un’ampolla nella tazza di latte che così convenientemente il direttore di palcoscenico ha preparato sul tavolo? E che sarà mai quella lettera che si trae dalla manica – il tutto senza che Luisa se ne accorga?

Forse stava pisolando anche lei, ma bisogna che l’uomo misterioso si palesi come Rodolfo, la chiami e le metta la lettera sotto il naso perché Luisa dia cenno di essere ancora con noi. E alla domanda se l’abbia scritta lei, la dannata lettera, la poveretta non può fare altro che dir di sì – perché ha giurato, ricordate?

E allora Rodolfo finge di stare poco bene, e di aver bisogno di un sorso di latte (gli ardono, vedete, le fauci…), e beve, e poi fa bere Luisa… E poi, dopo avere sparso un po’ di maledizioni equamente distribuite tra sé stesso, Luisa, il padre e il fato cinico e baro, annuncia di avere avvelenato entrambi.

E magari non è che Luisa accolga la notizia proprio con esultanza, ma il sollievo con cui, sentendosi sciolta in extremis dal giuramento, confessa la verità, è tanto repentino da essere quasi buffo.

Ops…

Adesso sì che Rodolfo vorrebbe averle concesso almeno il beneficio del dubbio…

Il resto è… come dire? Un nonnulla frenetico

Entra Miller, c’è uno scambio triangolare di richieste di perdono e poi Luisa muore – ma questo è ancora nulla, perché a questo punto entra tutto il cast (tranne Federica) per il gran finale, e nel giro di quattro versi quattro, Rodolfo uccide Wurm, maledice ancora una volta il padre e cade morto ai suoi piedi.

“Figlio!” esclama il conte, che non ha avuto il tempo di capire che cosa stia succedendo.

“Ah!” chiosa costernato il coro e, senza por tempo in mezzo, il sipario cala.

Sì, be’, ecco. A dire la verità, di Schiller rimangono qualche nome e, grosso modo, l’intreccio. Cammarano ha sacrificato l’ambientazione cittadina, tedesca e settecentesca, la contrapposizione borghesia-nobiltà, l’aspetto moral-religioso, l’amante del principe, la madre ambiziosa, molto dell’abbondante fuoco e la maggior parte delle non numerosissime sottigliezze dell’originale per sanitizzare il tutto in un’innocua e vaga vicenda d’amore e morte a prova di censura, spinta in un vago e innocuo Seicento tirolese…

In qualche maniera, funzionò. Scrivendola come la scrisse, quasi sotto ricatto e facendo la spola tra Parigi, Busseto, Roma e Napoli, non ci si può aspettare che Verdi componesse con soverchio ardore, e l’opera è musicalmente ineguale. Però così il contratto fu rispettato, il povero Cammarano non fu sbattuto in gattabuia e tutto finì passabilmente bene. Che con questa storia Flaùto e il San Carlo tutto si fossero conquistati la simpatia di Verdi, però, non si può dire: con un’abortita eccezione di cui parleremo, la Luisa è l’ultima opera verdiana a debuttare a Napoli.

 

 

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* Badateci: l’Altro Uomo è un verme, mentre l’Altra Donna è un semiangelo. Rodolfo ha tutte le scelte, e Luisa non ne ha nessuna.

** E no, non l’ha scritto Shakespeare.

 

Lug 1, 2013 - Anno Verdiano, musica    2 Comments

Librettitudini Verdiane: Alzira

Se mai opera nacque sotto i migliori auspici, probabilmente fu l’Alzira. giuseppe verdi, anno verdiano, salvatore cammarano, alzira, voltaire, teatro san carlo

Insomma, il San Carlo di Napoli era un teatro difficile da accontentare. Venirci chiamati – come capitò a Verdi nel ’44, e vedersi offrire la collaborazione con un principe dei librettisti come l’esperto, celebre e notevole Salvadore Cammarano, era un’opportunità non da poco.

Verdi accettò di slancio e diede a Cammarano carta bianca – bianchissima: qualsiasi cosa il librettista avesse in mente, lui l’avrebbe musicata con entusiasmo.

giuseppe verdi,anno verdiano,salvatore cammarano,alzira,voltaire,teatro san carloE Cammarano aveva in mente Voltaire. Ma non un Voltaire qualunque: Alzire, Ou Les Américains – tragediona in cinque atti con gli Incas e i Conquistadores, il Buon Selvaggio e il Cristianesimo, l’Amore e la Vendetta – tutto in maiuscole. E, giusto per non farsi mancare nulla, il tutto si svolgeva in Perù! Che si poteva volere di più in fatto di esotismo?

Per un po’, Verdi e Cammarano si danzarono intorno in reciproco entusiasmo come due uccelli-lira nella stagione del corteggiamento, sotto lo sguardo benevolo di Vincenzo Flauto, impresario del San Carlo. Poi…

Be’, poi cominciarono i guai.

Cammarano si rivelò verseggiatore lento.

Verdi si ammalò.

L’Eugenia Tadolini, il supersoprano su cui Verdi aveva messo gli occhi per il ruolo eponimo, si rivelò incinta.

Di Anna Bishop, la possibile Alzira inglese caldeggiata da Flauto, Verdi non voleva nemmeno sentir parlare.

Cammarano diceva sempre di sì a tutte le modifiche richieste da Verdi – e poi faceva sempre di testa sua.

Verdi seguitava in cattiva salute.

Flauto cominciò a credere (forse non del tutto a torto) che Verdi stesse tergiversando.

Il libretto dopo tutto era molto meno meraviglioso di quanto fosse parso in un primo momento.

Anna Bishop sobillò melomani e stampa contro il compositore forestiero…

Alla fine fine, tanto si procrastinò che la Tadolini rientrò in servizio e Verdi, col libretto finalmente completo, si mise al lavoro. Leggenda vuole che musicasse tutto quanto in venti giorni – per poi precipitarsi a Napoli per le prove. giuseppe verdi,anno verdiano,salvatore cammarano,alzira,voltaire,teatro san carlo

Con Flauto seccato, la Tadolini convalescente, Verdi convalescente e seccato, Cammarano freddino, la città ostile e la Bishop che soffiava sul fuoco, potete immaginare che il clima non fosse dei migliori.

E per di più il libretto era… yes, well.

Ma vediamo.

Per cominciare, immaginatevi una vasta pianura, irrigata dal Rima: l’oriente è ingombro di maestose nubi, imporporate dai raggi del sole nascente. Quando il sipario si apre sul prologo, una tribù di Americani è intenta a pregustare in coro le brutte cose da farsi al prigioniero spagnolo – nientemeno che il vecchio e canuto governatore del Perù.

E vi riporto, perché ne vale la pena…

Muoja, muoja coverto d’insulti,
I martiri sien crudi, ma lenti,
(Con accento ferocissimo)
Strappi ad esso codardi singulti

Il tormento di mille tormenti. –
O fratelli, caduti pugnando,
Dalle tombe sorgete ululando…
L’inno insieme del trionfo s’intuoni,
Mentr’ei sparge l’estremo respir.

Ecco, appunto. Ma mentre già levano dardi (!), picche e tizzi ardenti per grigliare Don Alvaro, piomba tra loro in canòa il tenore – accolto con gran gioia da tutti senza che, cosa rilevante, nessuno lo chiami per nome.

A dimostrazione del fatto che non è poi così selvaggio, il giovanotto fa grazia a Don Alvaro e lo rimanda per la sua strada. Solo a questo punto si rivela essere il capo locale Zamoro, che tutti credevano morto, e ci racconta come a) le voci sulla sua morte fossero decisamente premature; b) non abbia altra brama al mondo se non quella di vendicarsi di Gusmano, figlio di Don Alvaro; c) sia ansioso di riunirsi alla sua bella Alzira.

giuseppe verdi,anno verdiano,salvatore cammarano,alzira,voltaire,teatro san carloAh, ma il fatto si è che Alzira, insieme al babbo capo Ataliba, è prigioniera degli Spagnoli a Lima… Ebbene, ragione di più per raccogliersi attorno tutte le tribù furibonde, marciare su Lima e dare agli Spagnoli quel che spetta loro, giusto? E così, galvanizzati dalla prospettiva, i nostri Americani si avviano tumultuosi, agitando all’aura vivamente e dardi, e clavi, ed aste.

Sipario – e Atto Primo, che, alla maniera di Cammarano, ha un suo titolo: Vita per vita.

Siamo a Lima, adesso, dove è appena arrivata una nave recante dispaccio reale.

Alvaro comunica a soldati, ufficiali e popolo che Madrid gli ha concesso il sospirato pensionamento. Il nuovo governatore è suo figlio Gusmano – che è, badate bene, baritono.

E Gusmano comincia il suo governatorato stringendo la pace con Ataliba, re Inca – pace da suggellarsi con il matrimonio tra Gusmano stesso e Alzira, la bella figlia di Ataliba.

Ataliba chiede un po’ di tempo: Zamoro, il precedente fidanzato della fanciulla, è morto in battaglia e lei è ancora un tantino scossa… Gusmano capisce, ma è innamorato e non ha nessuna particolare voglia di aspettare. Vorrebbe, per favore, Ataliba esercitare la sua autorità paterna?

Perché insomma, va bene essere capitani vittoriosi, va bene essere governatori del Perù – ma senza il cor d’Alzira/un mondo è poco a lui…

Ataliba vorrebbe, e tutto il coro spagnolo simpatizza.

Chi non vorrebbe affatto è Alzira che, dicono le sue donzelle americane, di giorno e di notte, nel sonno e nella veglia, non fa altro che invocare Zamoro – che, ricordatevi, crede morto. E qui a noi balza vagamente l’idea che Alzira sia una tremenda rompiscatole, ma fingiamo di nulla e stiamo ad ascoltarla mentre si sveglia, racconta di avere sognato un’altra volta il defunto Zamoro, cui intende essere fedele, morte o non morte.giuseppe verdi,anno verdiano,salvatore cammarano,alzira,voltaire,teatro san carlo

Per cui, quando Ataliba arriva e le comunica che non c’è più trippa per gatti ed è gioco forza sposare Gusmano, la fanciulla non è per nulla contenta. Ma come, e Zamoro?

Ataliba le fa notare che: 1) Zamoro è, you know, morto; 2) solo sposando Gusmano può restituire la pace al suo popolo; 3) poteva andarle peggio, visto che Gusmano è sinceramente innamorato di lei; 4) e comunque glielo ordina suo padre: poche storie e agl’imenei si proceda.

E mentre Alzira fa sopraneschi propositi di morte, l’ancella Zuma le annuncia che… Be’, di fatto le annuncia che secondo una sentinella c’è un Americano che chiede udienza – ma qui siamo all’opera, per cui Zuma dice che:

Alcun fra loro, cui vegliar le porte
S’ingiunge, annunzia che venirne implora
Un de’ nostri al tuo piede.

Chi fia? E indovinate un po’?

Ma Zamoro, naturalmente – che dapprima Alzira scambia per un fantasma. Ma no, è lui in carne, ossa e sete di vendetta, per non parlare di un’ombra di sospettosa indignazione: ma come, davvero è pronta a sposare uno Spagnolo? Quello specifico Spagnolo fra tutti? Alzira, con notevole sottigliezza, risponde che non era pronta affatto: doveva farlo e basta. Al che Zamoro si scioglie, e i due cinguettano un diluvio di teneri e appassionati emistichi…

…Fino all’ingresso di Gusmano con Ataliba e coro al seguito!

Gusmano, non incomprensibilmente, non è colmo di letizia nello scoprire che Zamoro è ancora vivo, e lo condanna a morte.

Alzira strilla, Ataliba è perplesso, il coro si divide in pro e contro e, nel mezzo del pandemonio, entra Alvaro, che riconosce in Zamoro il nobile selvaggio che gli ha salvato la vita nel prologo.

Segue confusione: incalzato da Alzira, Ataliba e parte del coro, Alvaro supplica il figlio di essere clemente; Zamoro pensa di migliorare la sua situazione insultando Gusmano; il resto del coro chiede misure drastiche; Gusmano comincia inflessibile, poi è scosso quando il babbo gli s’inginocchia davanti, poi spiega di non poter cedere perché c’è di mezzo Alzira…

giuseppe verdi,anno verdiano,salvatore cammarano,alzira,voltaire,teatro san carloMa all’improvviso, odesi un murmure lontano. Vi eravate dimenticati delle tribù furibonde, vero? Be’, eccole qui, le tribù furibondo, che vengono a riprendersi Zamoro, Alzira, Ataliba e, già che ci sono, Lima tutta e il maggior numero possibile di teste spagnole.

Questo sì che decide Gusmano – e, badate bene, non perché speri di placare gli attacanti. Scosso dalle preci del genitore, punto sul punto d’onore e ansioso di battaglia, rimanda Zamoro da dove è venuto (vita per vita!), con la promessa d’incontrarlo sul campo.

Il coro accoglie variamente la prospettiva di altro spargimento di sangue, Gusmano e i suoi escono da una parte, Zamoro dall’altra e Alzira, trattenuta dal padre e dalle donzelle americane, vaneggia di scudi umani.

Sipario.

L’Atto Secondo, che s’intitola La vendetta di una selvaggio, si apre sull’inequivocabile costatazione che gli Spagnoli sono più tosti degli autoctoni. Gli autoctoni le hanno prese di santa ragione (again), Zamoro è prigioniero (again) e Gusmano si appresta a firmare la sua condanna a morte (again). Arriva Alzira a supplicare la grazia per Zamoro (again), con il ricattatorio argomento che, se muore lui, muore anche lei.

Ma in fatto di ricatti, anche Guzmano non scherza: non c’è nessun bisogno che Zamoro muoia. Basta che Alzira ceda e il selvaggio è salvo.

Contro-contro-ricatto: ma non capisce Gusmano che tradire il suo giuramento ucciderebbe Alzira non meno della morte di Zamoro?

Ed è qui che Gusmano scopre il bluff di Alzira: sì, tutto molto poetico, ma la scelta resta tra le nozze e l’esecuzione.

E che deve fare un povero soprano? Alzira cede e Gusmano, nel suo entusiasmo, convoca il suo SIC per impartirgli queste affascinanti istruzioni:

Il pronubo
Rito solenne appresta…
E sia di tede innumeri
Splendente la città…

E quello corre. E Alzira si lancia nei consueti propositi di morte a’ pie’ dell’ara – cosa che potrebbe allarmare un nonnulla Gusmano, se non fosse troppo occupato a effondere sulla sua immensa gioia e sulla natura del suo amore…

Butta male, non pare anche a voi?

Ma spostiamoci per un momento in un’orrida caverna. Non potevamo assolutamente farci mancare un’orrida caverna. E in questa specifica orrida caverna si riuniscono i rimasugli della malconcia orda peruviana, a lamentare la batosta e a rallegrarsi della marginale consolazione di essere riusciti a liberare Zamoro corrompendo i suoi custodi.

Ed eccolo, Zamoro, cui secca maledettamente di essere giuseppe verdi,anno verdiano,salvatore cammarano,alzira,voltaire,teatro san carlostato sconfitto da Gusmano, e non è ancor nulla. Quando i suoi gli fanno notare le luci di Lima in lontananza e gli svelano le nozze imminenti, Zamoro perde la testa, maledice la fedifraga (again), giura vendetta e allarma i suoi correndo via nell’intento di imbucarsi al matrimonio – e non per scroccare i canapé.

Torniamo a Lima anche noi, e troviamo Gusmano che gongola, Alzira che si strugge e il coro che fa quel che i cori sono pagati per fare almeno una volta in ogni opera: compiacersi di un imene.

Ma proprio mentre Gusmano tende la destra alla sua riluttante e lacrimosa sposina, ecco Zamoro che, con balzo felino, esce di tra le quinte e pugnala lo sposo. A morte.

Orrore! Orror!!

Le sezioni armate del coro inorridito si avventano sull’omicida – ma aspettate… Colpo di scena! Con l’equivalente operistico di una conversione a U, Gusmano ferma tutti. Se non dispiace a nessuno, lui, che selvaggio non è, preferirebbe perdonare l’accoltellatore selvaggissimo e adoratore di dei crudeli.

Sensazione.

Il coro è perso in lacrimosa ammirazione. Zamoro è attonito (e forse anche un po’ seccato: che figura si fa a pugnalare un uomo che ti perdona?). Alzira, folgorata da tanta generosità, si converte all’istante. Don Alvaro è distrutto.

Gusmano non fa le cose a mezzo: ricongiunge i due innamorati, ingiunge loro di vivere felici e scagiona Alzira da qualunque intento matrimoniale. Sta a vedere che dopo tutto l’aveva ascoltata più di quanto sembrasse?

Il coro tutto è ammirato e commosso.

Gusmano barcolla, cade ai piedi del padre, gli chiede e ottiene una benedizione in extremis e manda l’estremo anelito per la disperazione del povero Don Alvaro e la commozione generale.

Spirò!…

commentano utilmente Gli Altri – caso mai il particolare ci fosse sfuggito.

Doppio accordo conclusivo regolamentare. Sipario.

E siamo alle solite, vero? Che un baritono possa vivere felice e/o amare ricambiato è proibito dalle leggi del Fato Operistico. Figurarsi. Oh well.*

giuseppe verdi,anno verdiano,salvatore cammarano,alzira,voltaire,teatro san carloAd ogni modo, quando alla fine andò in scena nell’agosto del ’45, l’Alzira non piacque. Il pubblico la trovò cortina, frettolosa, bruttarella di musica e parole…

La prima fu accolta freddamente, le tre repliche furono fischiate. Peggio ancora andarono le riprese di Roma e Milano. Dopo avere difeso senza troppa convinzione il suo lavoro per un po’, Verdi stesso giunse alla celebre conclusione che l’Alzira fosse proprio brutta.

Quanto questo giudizio del suo stesso autore abbia pesato sulla fortuna successiva di questa escursione peruviana, è difficile a dirsi. Di certo, quasi nessuno la mette in scena – e che vi devo dire? Di solito, se un’opera non viene rappresentata per decenni e decenni e decenni… be’, un motivo c’è.

 

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* E sì: ho un debole per i baritoni. So sue me. E vi avverto: rants come questo – e peggiori di questo – ne leggerete ancora.