Don’t Show & Tell

Su Show, Don’t Tell si può discutere. Come tutte le prescrizioni andrebbe presa con la debita quantità di sale, e tutti siamo d’accordo sul fatto che mostrare al momento sbagliato può essere tanto disastroso quanto dire inopportunamente. Sulle proporzioni ci sono scuole di pensiero, e non intendo addentrarmi adesso nelle intricacies della faccenda.

Ma c’è qualcosa che, a mio timido avviso, sarebbe sano evitare come la forma più virulenta di peste nera – ed è mostrare & dire.

I’ll show, con un piccolo esempio tratto (e tradotto) da una mia recente e poco felice lettura.

“Posso fidarmi di te, Kit?” domandò Tom, incerto della lealtà del suo volubile amico.

Toi. Non vi viene mal di denti al solo leggerlo? Abbiamo visto che Tom non si fida granché di Kit nel momento in cui gli ha chiesto se può fidarsi di lui… perché diamine disturbarsi a dirlo? Abbiamo capito, grazie.

“Posso fidarmi di te, Kit?” domandò Tom.

Questo sarebbe servito perfettamente allo scopo, senza dare al lettore la sgradevole sensazione di essere considerato denso. Volendo, si sarebbe potuto aggiungere un gesto per sottolineare l’incertezza di Tom, o aggiungere quel tanto di subtesto – che non fa mai male.

“Posso fidarmi di te, Kit?” domandò Tom, incurvando appena le spalle e distogliendo lo sguardo.

Questo m’indurrebbe a pensare che Tom tema molto di non potersi fidare, quale che sia la risposta.

“Posso fidarmi di te, Kit?” domandò Tom, fissando dritto negli occhi il suo volubile amico.

Questo è un cavallo di un altro colore: avanti, dimmi che posso fidarmi, e ti crederò – oppure prova a dirmi che posso fidarmi, se ne hai il coraggio, a seconda del contesto.

D’altro canto, non ci sarebbe stato nulla di orribilmente criminale nel limitarsi a riferire i pensieri di Tom (il cui punto di vista coincide con quello della narrazione – la maggior parte del tempo). 

Tom era incerto della lealtà del suo volubile amico.

Non è ideale – e non funzionerebbe granché nel contesto in cui si trova nella pagina da cui ho pescato l’esempio – ma in un paragrafo di transizione o come aside che qualificasse in via marginale considerazioni diverse, potrebbe anche andare.

Sempre meglio – treni merci meglio – che mostrare & dire, perché, come dicevasi qualche paragrafo fa, il lettore tende a capire da sé le implicazioni di una domanda come “posso fidarmi di te?” La traduzione nella stessa riga è bruttina, ingombrante e una fonte d’irritazione.

Tutte cose che non fanno bene alla scorrevolezza della lettura, alla sospensione dell’incredulità e (cosa che posso garantire per diretta e frustrante esperienza) alla gioia generale del lettore.

Don’t Show & Tellultima modifica: 2011-12-28T08:10:00+01:00da laclarina
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18 Commenti

  • Domandona: qualche tempo fa, avevo fatto questo esempio:

    «Tony, anch’io non so ancora se definirti un attore fallito o uno di serie B, però non ti rompo le palle ogni due minuti per fartelo notare.»
    Ecco il difetto della ragazza: è piuttosto fumantina

    commentando: “la frase della ragazza ne mostra già il carattere, quindi è inutile ripeterlo”.
    Tu avevi replicato che “a me il brandello che citi non dispiace. Non credo che l’osservazione del narratore sia una precisazione superflua sul carattere della ragazza – lo prendo piuttosto come un bit of characterization della voce narrante, per tono e per scelte lessicali”, mentre a me pare rientrare completamente nel mostrare e raccontare. Non è la stessa cosa (in un caso viene mostrato e raccontato il carattere, nell’altro una precisa istanza d’incertezza), ma non è cosí diverso da far sí che uno sia superfluo e l’altro no (e quindi accettabile).
    Qual è la differenza?

  • (mi intrometto, chiedendo scusa alla padrona di casa)

    Mauro, la frase citata nel post è assolutamente di legno.
    Leggila ad alta voce, e ti renderai conto che non funziona, non scorre, ti ingarbuglia la lingua – e oltretutto ripete lo stesso concetto tre volte (non male, per una frasetta di quattordici parole).

    La frase che citi tu scorre, ha un ritmo (può piacere o no, ma ce l’ha).
    La ripetizione ci fa sentire il suono della voce dell’autore, un tono forse un po’ ironico (poi, ok, sarebbe bello avere tutta la pagina), e tende a creare un senso di complicità fra autore e lettore.

    Insomma, nell’esempio due la ripetizione arricchisce l’esperienza di lettura, nell’esempio uno, rende solo la lettura dolorosa – non ci sono due voci, il narratore non entra nel suo lavoro per darci di gomito… è proprio solo brutta.

  • Mauro, direi che Davide ha colto il punto: nel tuo esempio, il narratore non si limita a ripetere ciò che il personaggio ha appena detto – ne dà la sua interpretazione (che, in contesto, potrebbe non coincidere con l’impressione che il lettore si è fatto della ragazza) e trae una generalizzazione da un caso singolo, in termini che, tra l’altro, caratterizzano il narratore. Piuttosto che dire&mostrare, lo definirei un caso di mostrare e poi mostrare qualcos’altro.

    Davide, la padrona di casa non si offende: le discussioni qui trovano posto tra le sue soddisfazioni – magari ce ne fossero di più… 🙂

  • Ricorda cosa dicevano i cinesi: attenta a cosa desideri, i tuoi desideri potrebbero avverarsi 😉

  • La citazione è tratta da “Il Treno di Moebius”, di Alessandro Girola; chiedo venia per non aver citato la fonte, avendolo fatto la scorsa volta mi è passato di mente. Qui c’è un pezzo piú esteso:

    [cito dal testo:] «Invece il nostro eroe ha fiutato l’affare e ha messo in vendita questo video pensando proprio ai cacciatori di misteri, come noi. Ci è andata bene averlo preso prima di altri.»
    «Martina, non so ancora se sia giusto definirlo un affare.»
    «Tony, anch’io non so ancora se definirti un attore fallito o uno di serie B, però non ti rompo le palle ogni due minuti per fartelo notare.»
    Ecco il difetto della ragazza: è piuttosto fumantina [fine citazione]

    Detto questo, ho anche provato a leggerle ad alta voce, ma continuo a non vedere la maggior qualità del caso “Martina”: in entrambe c’è l’intervento dell’autore, che anzi è piú fastidioso per Martina (perché per Tom è inserito nella frase, mentre per Martina c’è una nuova frase E un nuovo capoverso, spezzando quindi nettamente la storia mostrata dal raccontato dell’autore, reso ancora piú smaccato da quel “Ecco il difetto della ragazza”). Proprio perché il caso “Tom” non spezza cosí nettamente, trovo anzi che abbia piú ritmo.
    Inoltre: per Tom l’autore racconta una cosa relativa alla storia, mentre per Martina dice anche quello che pensa lui, uscendo quindi dalla storia.
    Infatti, ora che ci penso, se il testo fosse stato:

    «Tony, anch’io non so ancora se definirti un attore fallito o uno di serie B, però non ti rompo le palle ogni due minuti per fartelo notare», disse Martina, mostrando il suo carattare fumantino.

    credo mi sarebbe saltato meno all’occhio, proprio perché il raccontato dell’autore è inerente la storia e inserito piú fluidamente nel testo.

    Da notare inoltre che Chiara non stava parlando di quanto la frase scorra o no, ma esplicitamente del raccontare una cosa già mostrata:

    [cito dall’articolo:] Abbiamo visto che Tom non si fida granché di Kit nel momento in cui gli ha chiesto se può fidarsi di lui… perché diamine disturbarsi a dirlo? Abbiamo capito, grazie. [fine citazione]

    Facile fare l’analogo, che funziona esattamente nello stesso modo:

    Abbiamo visto che Martina è fumantina nel momento in cui gli ha replicato in quel modo… perché diamine disturbarsi a dirlo? Abbiamo capito, grazie.

    Ancora di piú non vedo la differenza, quindi, visto che in entrambi i casi l’autore sta raccontando una cosa già mostrata in maniera decisamente chiara.

    E, per riallacciarmi alla risposta di Chiara: non sono d’accordo che per Martina sia un caso di “mostrare e poi mostrare qualcos’altro”, sia perché quella risposta sta mostrando il carattere di Martina, non qualcos’altro; sia perché dire: “Ecco il difetto della ragazza: è piuttosto fumantina” non è mostrare, è raccontare, quindi al massimo sarebbe mostrare e poi raccontare qualcos’altro (ma anche qui non concordo, perché trovo che il carattere sia già stato mostrato chiaramente).

  • Mah, che vuoi che ti dica, Mauro? Non sono d’accordo. Trovo ancora che ci sia notevole differenza. Trovo che L’inciso nel caso Martina caratterizzi il narratore. Quello che ci viene mostrato è un’informazione addizionale: l’opinione del narratore su Martina. È un intervento del narratore, è vero, e sarei curiosa di sapere da che punto di vista è narrata la storia. Se si trattasse di Tony, come tendo ad assumere (meglio ancora se in prima persona) I stand my ground.
    Dopodiché non vado pazza per i dialoghi in cui la gente continua a chiamarsi per nome come nella sceneggiatura di una soap opera, ma questo è un altro discorso.
    La voce narrante nel caso Tom è palliduccia assai, e la ripetizione del concetto non aggiunge nulla e non caratterizza nessuno.
    Questo, ancor più della scorevolezza, è il concetto chiave per me: aggiunge qualcosa? Se sì, allora va bene; se no, allora non ci siamo.

  • L’errore, io credo, è considerare l’inciso dell’esempio due una ripetizione di una informazione già data.
    Quello è un mero accidente.
    In realtà si tratta di una informazione aggiuntiva, sul carattere e sull’atteggiamento del narratore – ed è una informazione mostrata, non raccontata (anche se sembra l’opposto).
    Per questo funziona.

  • [Davide:] In realtà si tratta di una informazione aggiuntiva, sul carattere e sull’atteggiamento del narratore – ed è una informazione mostrata, non raccontata (anche se sembra l’opposto) [fine citazione]

    A parte le questioni sull’autore fisico (che interesse ha, per la storia, il carattere di una persona estranea alla storia?), dire “è un difetto”, dire “è fumantina”, significa raccontare, non c’è nulla di mostrato (a differenza della frase di Martina, che mostra quel lato del suo carattere); se quelle frasi sono mostrate, l’equivalente raccontato come sarebbe?

  • Mauro, non si parla dell’autore fisico, ma della voce narrante, che è cosa ben diversa e per nulla estranea alla storia. E quello che secondo Davide e me è “mostrato” non ha nulla a che fare con la Martina, e tutto con la voce narrante.
    Se fossimo a teatro o al cinema parleremmo di pareti sfondate e roba del genere. È una tecnica narrativa vecchia come le colline e, se usata con deliberata competenza, può produrre ottimi effetti.
    Nell’esempio di Tom non c’è nulla del genere, solo una piatta ripetizione di cose già dette allo stesso modo – e qui comincio a sentirmi come la Didascalia Di Tom.
    Mi rendo conto che la questione è un nonnulla tecnica -e può sembrare di lana caprina – e mi rendo conto anche di un’altra cosa: la scrittura è molto come il diritto internazionale consuetudinario, nel quale ciò che funziona va bene, e ciò che non funziona non va affatto. Inclusa l’occasionale rottura di qualsiasi “regola”.

  • Mauro, quando fai così, mi viene voglia di farti il test Voight-Kampff… 😀

    Ha ragione la padrona di casa (come potrebbe essere diversamente?).
    Non parliamo dell’autore fisico, ma della sua voce narrate, che può essere (ed in questo caso è) un personaggio supplementare, e sì, si tratta di uno sfondamento della quarta parete.
    Ed è mostrato (fattene una ragione).

    Quella sul diritto internazionale consuetudinario me la segno perché è meravigliosa.

  • [Chiara:] non si parla dell’autore fisico, ma della voce narrante, che è cosa ben diversa e per nulla estranea alla storia [fine citazione]
    È per questo che ho detto “a parte”, senza addentrarmi: è la voce narrante, ma, se è estranea alla storia (nel senso che non è un personaggio che appare, non ha una parte nella storia: il fatto di star narrando una storia non implica che si sia non-estranei a essa), il suo parere è comunque il parere “di una persona [o personaggio] estranea alla storia”. È il cantastorie che la racconta un secolo dopo, non Watson che accompagna Sherlock Holmes.
    Però qui si entra nei discorsi su voce narrante, autore fisico, la differenza tra i due, ecc., per cui mi sono astenuto dall’addentrarmici, perché tanto il pezzo continua a essere un esempio negativo a prescindere da quei discorsi.

    E continuo a non capire in che modo quella frase mostrebbere, invece di raccontare: raccontare qualcosa sul personaggio o sul narratore, sempre raccontare è; perché sarebbe mostrato? come lo fa? in che modo è diverso dal raccontare?
    Non sto discutendo se il pezzo sia su Martina o sul narratore, sto chiedendo perché sarebbe mostrato e non raccontato, visto che “Era fumantina” ha tutto del raccontato e niente del mostrato.

    [Chiara:] la scrittura è molto come il diritto internazionale consuetudinario, nel quale ciò che funziona va bene, e ciò che non funziona non va affatto. Inclusa l’occasionale rottura di qualsiasi “regola” [fine citazione]

    Il punto è che l’esempio di Martina non funziona; e questo “Non funziona” ha un significato estremamente concreto: mi ha buttato di colpo fuori dalla storia, al punto che il libro, pur contenendo elementi di storia che mi sono piaciuti, nel complesso non mi ha preso (e infatti non ho ancora letto il seguito, né so se lo leggerò).

    [Davide:] Ed è mostrato (fattene una ragione) [fine citazione]

    Non basta dire che è mostrato per renderlo tale, ha lo stesso valore di dire: “Ed è raccontato (fattene una ragione)”, ossia nullo; continuo a pensare che sia raccontato, perché “è fumantina” non ha nessuna differenza da “era arrabbiato”, e scrivere “era arrabbiato” è raccontare: non mostra nulla, non visualizza una scena. Mostrare si basa su dettagli concreti: dove sono, in “era fumantina/arrabbiato”?

    «Luigi scagliò un vaso contro il muro. “Ma come ti permetti?”, urlò» è mostrato.
    «Luigi era arrabbiato» è raccontato.

    Stesso discorso per “è fumantina”.
    Continuo ad aspettare spiegazioni del perché sarebbe mostrato e non raccontato, e l’equivalente raccontato.

  • Mauro, desideri lanciarmi oggetti pesanti se sostengo che il tuo accostamento tra “Luigi era arrabbiato” e la Martina Fumantina è un po’ oranges-to-apples? Non è la stessa cosa, perché “Luigi era arrabbiato”, come “Tom non era certo della lealtà di Kit”, ri-descrive la specifica circostanza contenuta nella battuta.
    La Martina (e bada che non sto difendendo il libro – non l’avevo mai nemmeno sentito nominare prima che tu ne parlassi nell’altro post…), invece ne trae una generalizzazione che può essere accurata oppure no – ma nel suo insieme di scelte lessicali caratterizza il narratore: io “fumantina” non l’avevo mai sentito, sto pensando di adottarlo, e la scelta di un aggettivo del genere, insieme a questo modo di rivolgersi al lettore, “mostra” il narratore.
    Sul fatto che la voce narrante sia estranea alla storia temo di non essere affatto d’accordo. Il narratore-sfondatore di pareti è most definitely un personaggio supplementare – forse non della storia, ma del libro. Definiresti il narratore ottocentesco dei Promessi Sposi estraneo ai PS stessi?

  • Davide, ho tutto un piccolo repertorio di paralleli tra scrittura e diritto internazionale consuetudinario. Uscirà un po’ per volta… 😀

  • Nel mio esempio, “Luigi era arrabbiato” non è affiancato a una scena di mostrato, quindi non è lo stesso caso di Tom, perché aggiunge informazioni non date.
    Comunque, torno a dire che non sto contestando che caratterizzi il narratore, ho solo ripetuto alcune domande su un’altra questione, di cui m’interessa la risposta.

    [Chiara:] Il narratore-sfondatore di pareti è most definitely un personaggio supplementare – forse non della storia, ma del libro [fine]

    La stessa distinzione tra storia e libro implica la possibilità di essere estranei alla storia, ma non al libro: un autore – personaggio o persona che sia – che scriva una storia cui non ha preso parte è estraneo alla storia (non ci ha minimamente preso parte), ma non al libro (lo ha scritto). E io appunto ho parlato di estraneità alla storia.
    Quindi sí: definirei il narratore di “I Promessi Sposi” estraneo alla storia, perché non ne fa parte, ha lo stesso legame che potrei avere io nel narrare una vicenda sentita. È estraneo alla storia in quanto non l’ha vissuta in alcun modo.
    Nessuna necessità che ti trovi d’accordo con quella definizione del termine, ma stavo solo definendo cosa intendo con “estraneo alla storia” all’interno del mio discorso (il cantastorie rispetto a Watson); semplicemente, quando leggi “estraneo alla storia” nei miei commenti in questa sede dagli quel significato, altrimenti non leggi quello che intendevo.

  • E con questo è assodato che partiamo da definizioni diverse, perché sono abituata a distinguere ferreamente tra autore (la persona fisica che scrive la storia) e narratore (la voce narrante della storia), che può essere interno (Watson) o esterno (PS), ma non coincide con l’autore.
    Temo che non sia poi così secondario, però: è il fatto che il narratore sia o non sia un personaggio supplementare, in effetti, condiziona il carattere di detto o raccontato dell’inciso di Martina – hence il sugo di tutta questa discussione.

    A parte questo, a me sembra che “Tom non era certo della lealtà di Kit” sia raccontato esattamente come “Luigi era arrabbiato”, indipendentemente da dove si trova. Nel caso di Tom, per di più, ripete informazioni già mostrate, ma sarebbe raccontato anche se non lo facesse.
    In una III Singolare Limitata più stretta, si potrebbe rendere la didascalia un pezzo di caratterizzazione per Tom – promuovendola da telling a showing, ma così com’è non è possibile.

    Aiuto… stiamo virando sull’ostrotecnico? 🙂

  • Non volevo dire che il narratore coincide con l’autore, erano esempi per spiegarmi: Watson non è l’autore, cosí come il cantastorie non necessariamente lo è (possono cantare storie imparate da altri). Quello dell’autore era solo un esempio, stavo solo spiegando cosa intendo con “estraneo alla storia”.

    [Chiara:] a me sembra che “Tom non era certo della lealtà di Kit” sia raccontato esattamente come “Luigi era arrabbiato”, indipendentemente da dove si trova [fine]
    Su questo concordo, il punto è che non vedo particolari differenze nemmeno col caso di Martina: se la scelta di “fumantina” mostra l’autore, perché la scelta di “arrabbiato” (invece di incazzato, adirato, infuriato, ecc.) non farebbe la stessa cosa?

  • Be’, quando hai domandato a chi interessasse il carattere della persona fisica che ha scritto la storia, mi sono fatta l’impressione che tu identificassi autore e narratore. Sarei tentata di chiederti come consideri il Marlow conradiano all’interno di Lord Jim: conosce il protagonista di cui narra la storia, ma ha assistito solo a una piccola parte degli eventi che riferisce – gli altri li racconta di seconda, terza, addirittura quarta mano, e tutti sono abbondantemente conditi di speculazione personale, talvolta al limite dell’invenzione… E in più è un personaggio fortemente autobiografico. Hm.

    Per quanto riguarda la Martina, ho l’impressione di non spiegarmi bene, povera me. Riproviamo. A fare la differenza tra Tom e Martina è la generalizzazione che il narratore della Martina opera a partire da una battuta specifica.
    Non ci sta descrivendo la battuta, ci sta dando la sua opinione generale sul carattere della fanciulla. Non avendo letto altro che tre paragrafi, non sono in grado di dire se la fanciulla in questione sia davvero fumantina o se sia una deliberata distorsione ad opera del narratore, o se la narrazione sia dal punto di vista di Tony in questo momento – e farebbe molta differenza. Il fatto è che si tratta di uno sfondamento della quarta parete – e questo lo differenzia profondamente dalla Didascalia Di Tom – che non mi dispiace abbreviare henceforward in DDT.
    Ho detto che non si poteva promuovere la DDT, ma proviamo, così per gioco, supponendo che la narrazione sia in III Singolare Limitata – punto di vista di Tom con narratore esterno.

    “Posso fidarmi di te, Kit?” domandò Tom – come se avesse potuto credere a una sola parola di quello che Kit diceva.

    Ecco, qui la didascalia aggiunge l’informazione che la domanda è piuttosto accademica, perché – indipendentemente dalla specifica risposta – Tom non crede a Kit. Battuta e didascalia forniscono informazioni contrastanti, ciò che produce subtesto: Tom sta mettendo alla prova Kit, oppure Tom chiede solo di essere rassicurato, oppure… dipende dal contesto.

    Adesso, III Persona Onnisciente con narratore che sfonda la parete:

    “Posso fidarmi di te, Kit?” domandò Tom. Domanda idiota. Non c’era un’anima in Inghilterra, Scozia, Irlanda e Continente, Cattolico o Protestante, che potesse fidarsi davvero di Kit Marlowe.

    Generalizzazione lanciata al lettore – in questo caso iperbole narrativa con strizzatina d’occhio. Bruttina, lo riconosco – ma tanto per dare un’idea.

  • @laclarina
    Attendo con malcelata ansia il compendio sul diritto consuetudinario in letteratura.

    Per il resto, hai detto tutto tu, meglio e più estesamente di quanto avrei potuto fare io.
    Mi ritiro in buon’ordine.
    Domani, post sui libri ricevuti a Natale…