Giu 3, 2010 - grilloleggente    2 Comments

Pezzettini di Teschio: parte II – in cui, a fini scientifici, si svela il finale

Lunga e interessante conversazione post-prove con la regista e il primattore, ieri sera: una di quelle cose in cui si parla d’arte, vita e massimi sistemi. Tra l’altro, facevamo paralleli tra il modo in cui un musicista ascolta musica e il modo in cui uno scrittore affronta roba scritta: sempre con un lobo del cervello teso a catturare struttura, elementi, costruzione, sviluppo e ammenicoli vari.

 

Il che mi porta ad applicare al TdC una considerazione che ieri sera applicavamo ai gialli televisivi, ma che vale per qualsiasi storia abbia un colpevole da smascherare.

 

Prima, però, badate bene e ritenetevi avvertiti: se non volete sapere chi è il colpevole nel Teschio di Cristallo, non leggete questo post.

 

Se non v’interessa, o se v’interessa meno dell’ingegneria delle trame, tirem innanz.

 

Allora, quando in un giallo si può indovinare l’assassino sulla base della meccanica della trama, allora qualcosa non funziona. Non sto parlando di logica, ma di puro e semplice processo d’esclusione, in base al quale certi personaggi hanno una funzione così evidente (fornire informazioni al lettore, esprimere le convinzioni dell’autore…) che non possono essere il colpevole. Ora, non voglio negare che ci sia un certo grado di costruzione nel TdC, ma è quasi tutta nella sezione elisabettiana: il lettore sa fin dal primo capitolo che qualcuno è morto nella caverna dove è nascosta la pietra, e a un certo punto scopre che si tratta di Cedric Owen. Come ciò sia possibile, visto che tutti e ciascuno non fanno che ripetere come Owen sia morto e seppellito a Cambridge, rimane l’unico, e intendo davvero l’unico, elemento di dubbio.

 

Per quanto riguarda il giallo contemporaneo, temo che sia svolto in modo un nonnulla goffo. Per cominciare, c’è il modo in cui Stella va raccontando il suo grande “segreto” a chiunque le capiti a tiro. Ben prima della crisi finale, mezza Cambridge sa della Pietra Azzurra, e anche diversa gente ad Oxford. E se parte della comunità accademica inglese rimane all’oscuro, è solo grazie alla cautela del resto della combriccola, perché Stella proprio non sembra conoscere il significato della parola “discrezione”.

 

Ad ogni modo, la loquacità di Stella provvede il lettore di una teorica serie di possibili colpevoli (con il dubbio aggiuntivo che Kit possa essere in combutta con qualcuno di loro), ma quando il colpevole alla fine è rivelato, non è una sorpresa.

 

No, è piuttosto uno di quei momenti ‘Embè?’, non so se mi spiego. Se c’è un personaggio che non mostra mai un’ombra d’interesse a possedere la Pietra, e anzi ne ha paura, quello è proprio Fraser, l’allegro, amichevole, speleologico, saggio, scozzesissimo Fraser. E’ vero, ci viene detto che in realtà Fraser fingeva soltanto di temere la Pietra, ma il punto è proprio questo: ci viene detto, e mai mostrato, neppure obliquamente, neppure per finta. Così come ci viene detto che Fraser ha cercato disperatamente la Pietra per trent’anni, ma a quanto pare nessuno lo sapeva, e la cosa salta fuori dal nulla nella terz’ultima pagina, quando Fraser sta puntando una pistola alla tempia di Kit, e spiegando tutto a tutti quanti.

 

Della spiegazione, d’altra parte, c’è un gran bisogno, perché non c’erano indizi che conducessero a Fraser. Non aspettatevi di battervi la fronte ed esclamare almeno una volta ‘ah, ecco dove conduceva in realtà questo particolare che sembrava condurre altrove! A posteriori, è così chiaro!” No. Non è chiaro nemmeno a posteriori. Non ce lo saremmo potuti aspettare, semplicemente perché non c’era nulla da aspettarsi in proposito, e questo, a parer mio, si chiama barare. Peggio ancora, si chiama barare goffamente, perché in realtà, per il processo di esclusione di cui sopra, visto che quella di Antony Bookless è troppo ovviamente una falsa pista*, e ci è stato ripetuto fino alla nausea che Stella e la Pietra si fidano di Davy Law, l’assassino poteva essere soltanto il cugino Lawrence oppure Fraser. Dei due, l’uno. E quando Lawrence non compare sulla scena del climax finale (e che ne è di lui, a proposito? Vaporizzato nell’incendio della casa di Ursula?), rimane un solo sospettato. All’autrice piacerebbe che dubitassimo fino alla fine anche di Kit, ma siamo sinceri: quand’anche foste un malvagio in pelli d’agnello, se il vostro complice tentasse (con un certo grado di efficacia) di farvi fuori a pagina dieci, sareste ancora il suo complice a pagina duecentonovanta?

 

E qualora tutto ciò non bastasse, badate bene a questo: dopo che ci è stato ripetuto in ogni possibile salsa che la Pietra è la chiave per salvare il mondo, a Fraser non importa un bottone dell’armageddon impendente, del folklore maya e lappone, e di tutto l’alone mistico della faccenda. Lui vuole la Pietra perché è “uno dei più grossi zaffiri al mondo.” Ah.

 

Mi piacerebbe sperare che la conclusione voglia essere ironica, ma temo di no. Temo tanto che l’autrice stia predicando. Sarà un caso che il vilain della storia sia proprio l’unico cui importa molto meno dei poteri mistici della Pietra che del suo valore in denaro? Cattivo, Fraser! Cattivo!

 

Ma è pur vero che una tendenza alla predicazione permea tutto il libro, come si vedrà nel prossimo post.

 

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* Per indicare una falsa pista, un depistamento deliberato, l’Inglese ha questa bellissima espressione, a red herring, ovvero un’aringa rossa. A quanto pare, la locuzione origina nell’uso di trascinare un’aringa sul terreno per confondere l’olfatto dei segugi durante la caccia alla volpe. Certe volte, solo gl’Inglesi, vero?

Pezzettini di Teschio: parte II – in cui, a fini scientifici, si svela il finaleultima modifica: 2010-06-03T08:56:00+02:00da laclarina
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2 Commenti

  • La stessa sensazione l’ho provata leggendo 10 piccoli indiani: spiegazione finale indispensabile, indizi assenti durante la narrazione, impossibile per il lettore individuare l’assassino, per completa mancanza di elementi.
    Almeno la Christie non predica.

  • Sì, non ho mai capito perché 10PI debba essere l’opera più celebre della Christie. Di solito lei non bara con il lettore (o almeno lo fa in modo elegante e inedito, come ne L’Assassinio di Roger Ackroyd), e gli indizi ci sono, seppur ben nascosti… E invece 10PI è un po’ una presa in mezzo, una specie di partita a scacchi tutta costruita intorno a un’idea di fondo, i cui personaggi sono davvero soltanto pedoni spendibili. Però è vero: la zia Agatha non predica mai, ed è un enorme pregio 🙂