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Librettitudini Verdiane: I Vespri Siciliani (Parte II)

giuseppe verdi, vespri siciliani, eugène scribeRieccoci qui – appena in tempo per il levarsi del sipario sul…

Terzo Atto

E cominciamo con Monforte che, nel suo palazzo, si tormenta sulla crudeltà di una defunta amante recalcitrante, che per tre lustri gli ha nascosto di avere avuto da lui un figlio – salvo farglielo sapere (per iscritto) prima di morire.

Che dobbiamo dedurne? Che Arrigo ha quindici anni*? Che Monforte sapeva di avere un figlio illegittimo, ma poi se n’è scordato? O che quando il frugoletto aveva, diciamo, tra i tre e i dieci anni, la madre l’ha dato per morto? Vi dirò, son quei misteri che ciascuno si risolve a piacimento, mentre Monforte c’informa che adesso sì che la sua vita ha un senso, e che riconquisterà il figlio alienato, eccetera eccetera.

Anyway, Arrigo viene condotto in scena, perplesso e più petulante che battagliero**, e Monforte gli fa gl’indovinelli. Ma Arrigo non si è chiesto perché Monforte sia così indulgente nei suoi confronti? Non gli dice nulla l’alma? Che cosa crede che possa far lacrimare un cuore di pietra come Monforte?

E Arrigo rabbrividisce aside, ma non ci arriva. Bisogna che Monforte gli mostri la lettera della defunta madre, scatenando quest’epica reazione:

Gioia! e fia vero? sogno o son desto?
(Leggendo il foglio.)
Cifre materne!… qui sul mio cor!

O ciel! che scopro?… arcan funesto
(gettando un grido)
Mi si rivela… fremo d’orror!

E perché freme d’orror? Perché il detestato comandante angioino è sangue del suo sangue? Acqua. Perché ha giurato di uccidere quello che non sapeva essere suo padre? Acqua. Perché si ritrova assai meno siciliano di quanto credesse? Ma nemmeno per idea! Il principale, il solo problema per Arrigo è che Elena potrà soltanto odiare il figlio di Monforte.

Cosicché, quando poi respinge con sdegno le profferte d’affetto di Monforte, noi non è che prendiamo poi troppo sul serio la sua fierezza, o le lacrime sulle molte sofferenze della madre. Semmai troviamo che Monforte dia prova di una notevole tolleranza (o appiccicosità – la cosa è aperta a interpretazioni) di fronte agli insulti e alle tirate di Arrigo, che comunque poi se ne fugge sconvolto e inorridito – e tanto più perché, per un istante, ha avuto la tentazione di far pace con il babbo ritrovato.giuseppe verdi, eugène scribe, vespri siciliani

Oh well, spostiamoci in un’altra ala del palazzo, dove è in corso la famosa festa da ballo – quella cui Arrigo era stato “invitato”. Oh, guardate: è arrivato anche Monforte. Infelice e corrucciato quanto volete, ma non per questo si sottrae al balletto delle Stagioni, questo indispensabile accessorio da Grande Opéra. E d’altra parte, Monforte è francese, giusto? Oh, never mind. Mentre Arrigo vaga senza meta per la scena, gli si avvicinano due misteriosi festaioli mascherati. Festaioli un po’ lugubri, a dire il vero… E a dire il vero, chi altri userebbe mantelli neri e parole d’ordine e nastri di riconoscimento a una festa da ballo, se non dei cospiratori***? E difatti si tratta di Elena e Procida, venuti di persona a liberare Arrigo e, già che ci sono, uccidere Monforte. E volete una sorpresa? Arrigo ha delle remore. Così è timido e tremebondo e criptico con i suoi amici, e poi sussurra a Monforte di tagliare l’angolo fin che può… E allora Monforte esulta di questa parvenza d’affetto filiale, e chiede i nomi dei congiurati, e Arrigo rifiuta, e allora Monforte rifiuta di andarsene, e mentre bisticciano Elena e Procida si fanno avanti, pugnali alla mano e seguaci alle spalle.

Ma, come ognun sa, uomo avvisato è mezzo salvato, e Monforte fa il resto chiamandosi attorno i suoi armigeri, e quando Elena si fa avanti per vendicare di persona il fratello…**** ecco che Arrigo si mette di mezzo e fa scudo al padre.*****

Sensazione.

Tanto più che l’illeso Monforte ordina ai suoi di arrestare tutti quelli che portano il nastro di riconoscimento che Arrigo gli ha indicato, e ringrazia il leale nemico che gli ha svelato il tradimento.

Doppia sensazione.

Colpo orrendo, inaspettato!
Ei sì perfido, sì ingrato!
Gli sia pena il suo rossor!
Onta al vile, al traditor!

lamentano Elena, Procida e i Siciliani tutti. Arrigo si torce le mani, i Francesi gongolano, i neo-prigionieri la buttano sul patriottico, Arrigo supplica perdono, Elena e compagnia lo respingono con orrore e, quando tutti vengono portati via, il nostro giovanotto oppresso, annichilito, vacilla e cade nelle braccia di Monforte. Ed essendosi manifestato lo svenimento standard, possiamo calare il sipario e passare oltre.

Atto Quarto

giuseppe verdi, eugène scribe, vespri sicilianiCome ci si poteva aspettare, Arrigo è macerato dai sensi di colpa e va a visitare i suoi ex-amici in prigione. Elena arriva, e non è contenta. Arrigo tenta di spiegarle, cosa che richiede qualche sforzo, perché lei non ascolta. Quando finalmente Arrigo riesce a far passare il concetto, i nostri due danno in amorose escandescenze, si perdonano a vicenda, si giurano eterno amore – e odio a Monforte, che adesso Arrigo ha ripagato della vita che gli ha datto – e poi si congedano con affettuosa commozione. Ma aspettate, ecco arrivare Procida che, avendo buoni agganci, è riuscito a sapere che una nave aragonese arriva in soccorso – e loro non ci possono fare niente… Mentre si mangia le mani, Procida vede Arrigo. Che ci fa qui? Si pente, cinguetta Elena – e quando Procida la invita a svegliarsi un po’, la sua bruschezza sembra avvalorata dall’arrivo di Monforte con i suoi, pronti a passare a fil di spada i ribelli. E Arrigo supplica la grazia, e Procida la rifiuta sdegnosamente – e ancora non sa che Arrigo è figlio…

Da lor tanto oltraggio a te spettava,
Arrigo!… a te mio sangue!…

declama Monforte, con perfetto tempismo. Ecco, adesso Procida lo sa. E dà in ismanie, e Elena dà in ismanie un poco più gentili, e Arrigo dà in ismanie – e Monforte dà l’ordine di procedere. Quando Arrigo chiede di morire con Elena se non può ottenerle la grazia, Monforte coglie il destro per un po’ di sano ricatto. Vuole Arrigo che Elena, Procida e il coro siano risparmiati? Nulla di più facile: padre lo chiami, e salvi son.

Elena gli ordina di non farlo, se vuole che qualcuno creda almeno un po’ al suo pentimento. Arrigo esita e si mangia le unghie. Procida mugugna. Monforte alza la posta facendo entrare il carnefice… e indovinate un po’? Arrigo cede. Non l’avreste mai sospettato, vero?

O gioia! e fia pur vero?

giubila Monforte. E perbacco, sì: niente come una scure sospesa sul collo della fidanzata per risvegliare l’amor filiale… Ma Monforte è contento lo stesso. Tanto che non solo grazia tutti quelli che ha promesso di graziare, ma decreta seduta stante il matrimonio tra Arrigo ed Elena – che nutre qualche fugace remora a diventare la nuora del tiranno, ma Procida la incita a procedere e avere fiducia nella vendetta. Possiamo sposarci domani, babbo? chiede l’istantaneamente conquistato Arrigo.****** Ma oggi stesso! replica Monforte, in un impeto di benevolenza, mentre al carnefice si sostituiscono i coppieri e tutti, Angioini e Siciliani, brindano al futuro. Ed è uno di quei momenti in cui tutti cantano insieme, per cui forse Monforte e i suoi sono scusabili se non afferrano le truci minacce nel brindisi degli isolani? Ma questa è l’opera, o Lettori – e comunque sta calando il sipario.

Atto Quintogiuseppe verdi, eugène scribe, vespri siciliani

Ci spostiamo nei giardini del palazzo, dove il coro gorgheggia il suo entusiasmo per le nozze pacificatrici, ed Elena riceve omaggi di fiorellini dalle fanciulle – e da come si effonde sull’amor suo, non possiamo fare a meno di chiedercelo: possibile che abbia frainteso i livorosi sussurri di Procida all’atto quarto? E si direbbe di sì. Persino con Arrigo è tenera e gioiosa come se nessuna rivolta incombesse… Tant’è vero che, quando Arrigo si allontana e Procida arriva ad annunciarle angioinicidio diffuso e massacro indifferenziato al segnale del suo “sì” nuziale, lei spalanca gli occhioni e domanda a nessuno in particolare qual mai fato incomba su di lor.

Procida, uomo di scarsa pazienza, procede ad informare la nostra graziosa storditella che è tutto molto semplice: o lei tace e lascia che le cose seguano il loro sanguinoso corso, o è una traditrice di patria, amici e invendicato cenere fraterno.

Ops.

Questa volta, Elena afferra la natura del dilemma. Deve lasciar trucidare Arrigo? Deve tradire i suoi amici? O ciel, chi la consiglia? È, se ci badate, lo stesso dilemma di Arrigo all’atto terzo. Ma Elena è una donna. Quando Arrigo torna (così entusiasta del regal vessillo di Francia che non sembra nemmeno lui), si accorge che qualcosa non va e pur con il lugubre Procida che le borbotta accanto, la nostra ragazza ha un’illuminazione che salva capra e cavoli. Certo, Arrigo ci resta male nel sentirsi dire che dopo attenta considerazione Elena ha deciso di non poterlo sposare – ma almeno è vivo. Vivo e furibondo, visto che, di conserva con Procida, si getta con entusiasmo in quello sport tenorile – l’immeritata maledizione del soprano. La povera Elena, che fin qui tecnicamente non ha tradito nessuno, non ha l’aria di chi può tenere duro indefinitamente.

giuseppe verdi, eugène scribe, vespri sicilianiArrigo, da buon adolescente, corre a farsi consolare dal babbo e Monforte, sempre sbrigativo, non trova di meglio che affrettare le nozze. Poco importa che Elena resista – e qui si dimostra che non bisognerebbe mai forzare una donna a sposarsi contro la sua volontà. Considerazioni morali a parte, è chiaro che non porta bene: nel momento in cui il bronzo squilla annunciando l’avvenuta unione, Procida ed i Siciliani si scagliano su Monforte e sui Francesi, e cala la tela – ma non prima che Elena sia debitamente svenuta.

Fine. E se volete, qualche dubbio resta – per esempio, che ne è di Arrigo? Ora, dovete sapere che nel dramma di Casimir Delavigne a cui (benché se ne parli pochino) il libretto è ispirato, Lorédan, omologo di Arrigo, si uccide… sì, è vero, si uccide per il rimorso di avere ucciso Monfort… che comunque non è suo padre, ma il suo amico e fratello d’armi, nonché cavalleresco rivale per le attenzioni di una principessa sveva. E d’altra parte il padre di Lorédan è l’inflessibile Procida… giuseppe verdi, eugène scribe, vespri siciliani

Sì, d’accordo, non ci somiglia poi troppo. Però resta il fatto che il primo amoroso fa una pessima fine – cosa che si rispecchia in più d’una regia moderna, in cui Arrigo fa la stessa fine di Monforte. E in genere la fa in qualche tipo di uniforme risorgimentale, perché è pratica comune spostare il tutto all’Ottocento, provvedere gli Angioini di uniformi e bianchi mantelli asburgici e fare di Procida ed Elena due ardenti carbonari.

All’epoca, tuttavia, figurarsi! L’opera debuttò in Francia, ed ebbe successo, e tutto andò abbastanza bene. Quando arrivò in Italia, fu necessario provvedere libretti alternativi: una Giovanna di Guzman, una Batilde di Turenna… insomma, tutto sommato bastava spostare l’ambientazione dovunque fuorché in Italia, e in un secolo passato a piacere… non sono certissima che i censori ottocenteschi considerassero bene i tagli che imponevano e i placet che concedevano.

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* Yes well, nel primo atto è stato chiamato da Monforte “giovinetto” o qualcosa del genere – ma io ho quest’immagine di Chris Merrit che canta il ruolo attorno al 1990, e allora…

** E sì, dopo tutto forse ha davvero quindici anni.

*** Rivedremo tutto l’armamentario – nastri, maschere, parole d’ordine e compagnia cospirante. Lo rivedremo presto – e allora avremo un vago senso di déjà vu.

**** Questi puntini di sospensione altro scopo non hanno se non quello di preparare un colpo di scena particolarmente tosto.

***** E qui, nell’originario Duca d’Alba, l’Arrigo fiammingo a nome Marcello si mette parimenti di mezzo per salvare il terribile babbo eponimo, ma Amelia d’Egmont, l’omologa fiamminga di Elena, è un soprano ancor più tosto e dal polso più saldo, e l’incauto Marcello ci lascia le penne.

****** E a questo punto non ci sono più dubbi, credo: ha davvero quindici anni.

Librettitudini Verdiane: I Vespri Siciliani (Parte II)ultima modifica: 2013-10-07T08:05:00+02:00da laclarina
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