Nov 4, 2013 - Anno Verdiano    Commenti disabilitati su Librettitudini Verdiane: Don Carlo(s) – Parte I

Librettitudini Verdiane: Don Carlo(s) – Parte I

giuseppe verdi, friedrich schiller, don carloQuest’opera esiste in quattro e in cinque atti, in Italiano e in Francese, con i balletti, senza balletti e in ogni possibile combinazione delle precedenti, è stata scritta, potata, riscritta, rivista, tradotta e ritradotta, accorciata, modificata – ed è, in tutta probabilità, la mia opera preferita.

E naturalmente il fatto che  sia la mia opera preferita (di sicuro il mio Verdi preferito) non ha nulla a che fare con la sua genesi, né con granché d’altro, ma spiega in parte perché il post in proposito sarà diviso su due settimane. L’altro motivo è che, per non farci mancare nulla, il libretto lo racconteremo nella versione in cinque atti, con un certo numero di annessi e connessi che non si sono (quasi) mai rappresentati o che non si rappresentano (quasi) più, con l’occasionale riferimento al dramma di Schiller da cui l’opera è tratta, e con qualche considerazione storica a parte. Capite bene che la faccenda potrebbe essere lunghetta.

Ma andiamo a incominciar, volete?

Atto I

Siamo in Francia, nella foresta di Fontainebleau, nel cuore dell’inverno. C’è un coro di boscaioli che si lamenta del freddo, delle tasse, della guerra…giuseppe verdi, friedrich schiller, don carlo

E poi c’è un altro coro di cacciatori che scorta la nostra primadonna, la principessa Elisabetta di Valois, figlia del re e, c’informano i boscaioli, tanto buona quanto bella. Elisabetta entra e distribuisce elemosine, e rincuora il popolo afflitto: la guerra con la Spagna sta per finire, e proprio ora il re sta discutendo con gli inviati di Madrid i termini di una pace che prevede nozze reali tra Elisabetta stessa e l’Infante di Spagna.

Entusiasmo generale, gratitudine, felicitazioni, auguri reciproci, e poi Elisabetta e il suo seguito passano oltre… ma chi sarà il giovanotto che è apparso appena in tempo per bearsi della vista di Elisabetta?

È, naturalmente, il tenore eponimo, che si ferma sulla scena deserta ad informarci dettagliatamente su come abbia lasciato la Spagna di straforo contro il volere del padre Re Filippo, e si sia precipitato qui in incognito per dare un’occhiatina preliminare alla sua nobile fidanzata e, avendola vista per tutto un minuto, se ne sia innamorato giuseppe verdi, friedrich schiller, don carloperdutissimamente.

E la seguirebbe volentieri – non fosse che si è attardato un po’ troppo per metterci a parte, e ha perso di vista e d’udito la caccia… Ma niente paura: anche Elisabetta, si direbbe, ha perso di vista e d’udito la caccia, e torna in scena accompagnata da un paggio, stanca e infreddolita, e piuttosto incerta su come tornare a casa. Figurarsi se Carlo non si offre di fare da scorta e da compagnia alla principessa mentre il paggio torna a palazzo a procurare un mezzo di trasporto. 

E così i nostri due rimangono soli – tenore e soprano. Non è l’ultima volta che capita in quest’opera, e tanto vale che lo sappiate: la combinazione non prelude mai a nulla di buono. Oh, all’inizio pare di sì. Elisabetta e il misterioso Spagnolo fanno conversazione, lui accende un focherello millantando esperienze militari*, spiega che la pace è sul punto di essere firmata. È solo naturale che Elisabetta gli chieda del suo futuro sposo, non credete? E guarda caso, il misterioso giovanotto non solo è appassionatamente certo che l’Infante sia già innamorato della sua promessa francese, ma ha anche una miniatura da farle vedere. Lei prende il medaglione, lo apre, e… chi ci trova?

Estasi, gaudio, amore reciproco, aerei nonnulla – fino al colpo di cannone che segna la conclusione dei negoziati: la pace è stretta, il matrimonio deciso. Si può essere più felici di così?

Entra il paggio di Elisabetta, guidando un corteo con le fiaccole di cui fa parte il Conte di Lerma, ambasciatore di Re Filippo, e tutti quanti salutano Elisabetta… regina di Spagna!

Ops…

Il matrimonio è concluso eccome, ma si direbbe che, all’ultimo momento, Enrico di Valois sia riuscito a strappare un prezzo migliore in cambio della pace: sua figlia regina anziché infanta.

Catastrofe indicibile. Mentre il coro inneggia, Elisabetta e Carlo si guardano annichiliti e inorriditi. Ma… piano, forse c’è ancora uno spiraglio… Lerma, a quel che pare, ha istruzioni di chiedere anche il consenso della sposa: vuole Elisabetta sposare Re Filippo?

Elisabetta esita solo per il tempo che serve alla compagine femminile del coro per ricordarle che solo lei può porre fine alla guerra che infiniti lutti addusse ai Francesi.

“Sì,”** mormora la povera ragazza con un fil di voce.

Tutti festeggiano la pace raggiunta e la nuova sovrana – tranne i due poveri innamorati – ma che si può fare contro il destino crudele? Il corteo scorta Elisabetta offstage in un tripudio di torce e inni, e Carlo, rimasto solo in scena, può soltanto gemere e dolersi sulla sparizione del suo bel sogno, mentra cala la tela.

Atto Secondo

Siamo in Spagna, adesso – e ci resteremo. Per la precisione, siamo nel chiostro del convento di San Giusto, dove un cupo coro di frati, guidato da un ancor più cupo frate/corifeo, canta cupissime considerazioni sulla mortalità e pochezza umane – particolarmente del defunto Carlo V, che proprio qui è venuto a ritirarsi tra l’abdicazione e la morte.

Ora, dovete sapere, nella versione in quattro atti l’opera comincia qui, con Carlo che ci riassume in un’aria-bignami tutto quel che dobbiamo sapere dell’atto di Fontainebleau. Ma noi di atti ne abbiamo cinque, per cui Carlo non ha bisogno di riassumerci nulla. Arriva a San Giusto nel vano intento di trovar pace e dimenticare Elisabetta presso la tomba del suo grande nonno… peccato che il frate/corifeo torni alla carica con le cupissime (pur se pertinenti) considerazioni, e nella sua voce Carlo creda di riconoscere quella del defunto imperatore… giuseppe verdi, friedrich schiller, don carlo

Orror! Terror! Sul capo gli si rizza il crine, e starebbe per abbandonarsi al panico se, molto a proposito, non entrasse in scena Rodrigo, Marchese di Posa, tornato dopo lunga assenza. E Rodrigo è il grande amico di Carlo, un baritono, un Cavaliere di Malta e una specie di illuminista travestito da Grande di Spagna. Pur essendo un idealista di tre cotte, il nostro giovanotto ha una testa più salda di quella di Carlo… o forse dopotutto no, considerando che vuole che Carlo salvi le Fiandre. Perché le Fiandre, vedete, soffrono da matti sotto il gioco spagnolo, e Carlo, che è dopo tutto l’erede al trono, dovrebbe fare della loro salvezza la missione della sua vita.

“Ma io sono innamorato,” pigola Carlo.

Rodrigo accantona la questione.

“Ma io sono innamorato infelicemente!”

Rodrigo comincia a spazientirsi.

“Ma io sono innamorato infelicemente di Elisabetta!”

Ecco, questo cambia un pochino le cose: non è bello essere innamorati della propria matrigna, specie quando il babbo è il Re di Spagna, e un Re di Spagna geloso e tirannico come Filippo… ma Rodrigo ha in mente una soluzione. Indovinate quale? Ma le Fiandre, perbacco! Dandosi anima e corpo alla causa delle Fiandre, non avrà più tempo per sospirare e languire – che oltretutto sono attività inadatte a un futuro re.

Carlo si lascia trascinare con commovente facilità, e i due giovanotti si scambiano il tipo di eroico giuramento d’amicizia che all’opera tende a non promettere troppo bene. E in effetti, Carlo pare subito pronto a crollare, non appena le trombe annunciano l’ingresso di Filippo ed Elisabetta*** – ma Rodrigo è un rapido pensatore e lo trascina via prima che possa dare spettacolo di se stesso.

giuseppe verdi, friedrich schiller, don carloMa spostiamoci un istante qui fuori, nel giardino del convento dove, in una delle pochissime scene soleggiate di quest’opera, le dame della regina si annoiano a morte in attesa dei sovrani. A vivacizzare l’atmosfera pensano il paggio francese di Elisabetta e l’ardente (pur se monocola) Principessa di Eboli, che cantano una ballata saracena di sultani infedeli e mogli astute…

Li interrompe l’arrivo della regina, sempre malinconica da non dirsi, e poi del Marchese di Posa – venuto ostensibilmente a portare a Elisabetta una lettera della madre dalla Francia, e di fatto a consegnarle un bigliettino di Carlo che chiede un incontro.

Ma come? Non si proponeva di fargli dimenticare Elisabetta per le Fiandre? Magari Carlo ha posto questo incontro come condizione, o magari non c’è una buona ragione: preparatevi all’idea che quel che Rodrigo fa non è sempre terribilmente sensato. Ad ogni modo, Elisabetta legge mentre Rodrigo distrae la curiosissima Eboli con un po’ di gossip parigino e poi, invitato a chiedere una grazia alla regina, il nobile messaggero accetta e non per sé: il povero Carlo è così infelice, vorrebbe partire per le Fiandre, ma il Re non vuol sentirne parlare… Non vorrebbe Elisabetta intercedere? Elisabetta è lacerata tra amore e dovere, mentre la Eboli si domanda se Carlo non sia così infelice perché è innamorato proprio di lei – che sarebbe ben felice di ricambiarlo.

Alla fine Elisabetta cede: il figlio è pronta a riveder. Tutti si ritirano – seppur con qualche perplessità nel lasciare sola la regina in violazione del protocollo di corte – ed entra Carlo.

E Carlo non ci sta ad essere chiamato figlio, né è poi così interessato a partire come Rodrigo aveva suggerito. A lui interessava solo di rivedere la sua ex fidanzata, a dichiararle il suo amore ancora una volta, a rimproverarla perché vuole essere leale con il re, a farsi dire che lei lo ama ancora, a svenire ai suoi piedi, a delirare un pochino, a saltare adosso a una commossa Elisabetta… giuseppe verdi, friedrich schiller, don carlo

È proprio solo per merito di lei se la faccenda non trascende. Messo con qualche rudezza di fronte alla realtà dei fatti, Carlo inorridisce e fugge – appena in tempo per non essere colto in fallo dal Re che arriva con i suoi. Ma a Elisabetta, colta da sola, non va altrettanto bene. Per lo sconcerto generale, un furibondo Filippo bandisce dalla Spagna la dama d’onore francese che non avrebbe dovuto staccarsi dal fianco della Regina, e poi congeda la corte – tranne Rodrigo, con cui è curioso di scambiare qualche parola. 

Come mai, si chiede, questo viaggiatore e soldato di buona famiglia ha lasciato il servizio in Fiandra per tornarsene in Spagna? Con candore potenzialmente suicida, Rodrigo risponde che lui è, per l’appunto, un soldato e non un macellaio, e quel che si sta facendo nelle Fiandre è bassa macelleria. Filippo non è abituato a sentirsi parlare così, e s’indignerebbe molto volentieri, ma c’è qualcosa, nella passione e nella fierezza con cui Rodrigo perora la causa dei Fiamminghi, qualcosa che gli tocca il cuore. Ah, come vorrebbe che fosse questo suo figlio, invece dello squadrellato inaffidabile e inefficace che gli è toccato in sorte… in un inconsueto impulso di fiducia e simpatia, nomina Rodrigo suo consigliere, e lo incarica di sorvegliare la Regina e l’Infante, sui cui nutre seri dubbi. E ad essere sinceri, il modo in cui Rodrigo a questo punto gongola tra sé sull’insperata chance, non ce lo rende simpaticissimo. Mentre, al contrario, quasi ci commuoviamo quando Filippo, a titolo di congedo, raccomanda al suo nuovo giovane amico di guardarsi dall’Inquisizione.

E cala la tela sull’atto secondo, e noi per ora ci fermiamo.

Che ne sarà dei nostri eroi? Riuscirà Carlo a ricongiungersi con l’amata Elisabetta o si farà spedire nelle Fiandre? E che farà Rodrigo, preso tra l’amicizia per Carlos, la causa delle Fiandre e la fiducia del vecchio Re solitario? E Filippo? Ha finalmente trovato un amico leale? E potrà fidarsi del suo instabile figlio e della malinconica moglie? E come reagirà la bella Eboli scoprendo che Carlo è innamorato – ma non di lei? E soprattutto, sarà poi vero che nessuno si aspetta l’Inquisizione spagnola?

Per scoprirlo, non perdete il prossimo appassionante episodio delle Librettitudini Verdiane: Don Carlo(s), Parte II.

 

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* Allora, questa è una di quelle cose su cui si può discutere finché si vuole, ma se lo chiedete a me, nulla mi convincerà mai che Carletto abbia mai fatto vita al campo. Aspettate di conoscerlo meglio. Ne riparliamo fra un paio d’atti, e mi saprete dire. Oh, ed è inutile cercare soccorso nell’originale schilleriano, perché tutto quest’atto è un’aggiunta dei librettisti francesi Mery&Du Locle.

** Narrasi che alla prima parigina del 1867 il soprano Marie Sass, in un momento di distrazione, rispondesse “No”, per la comprensibile furia di Verdi e, immagino, lo sconcerto del pubblico…

*** Sì: per dimenticare Elisabetta si era precipitato nel posto in cui sapeva che suo padre avrebbe condotto la sua sposa. Tenori.

Librettitudini Verdiane: Don Carlo(s) – Parte Iultima modifica: 2013-11-04T08:07:00+01:00da laclarina
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