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Giu 25, 2018 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Piove Inchiostro

Piove Inchiostro

pioggia, dante, dickens, twilight, conrad, brontë, verlaine, snoopyDavvero non so immaginare che cosa mi abbia suggerito un argomento del genere – ma perché non parliamo di pioggia per iscritto?*

Perché la letteratura, a ben pensarci, è piena di pioggia. Nei libri piove, tira vento, si scatenano temporali, tempeste, nubifragi, fortunali, acquazzoni, scrosci e piovaschi, l’acqua scende a secchiate e infradicia protagonisti, malvagi, paesaggi e tutto quanto…

E se per iscritto piove così tanto, i motivi sono fondamentalmente due: il cattivo tempo offre conflitto, perché sotto l’acquazzone le navi naufragano, le dighe cedono, la gente si smarrisce, cade, si ammala… E poi c’è la fallacia sentimentale – o patetica, o antropomorfica – quella tentazione di far partecipare la natura ai patemi narrativi. Tentazione cui è così difficile resistere – perché onestamente, che c’è di meglio di un bell’acquazzone per sottolineare qualcosa di triste, di epocale, di tragico, di minaccioso o, al contrario, anche di particolarmente gioioso? Una bella pioggia è un accessorio utilissimo e duttile, buono per tutte le stagioni e per tutte le occasioni.

Così quando Snoopy inizia bulwer-lyttonianamente il suo eterno romanzo con “Era una notte buia e tempestosa…” possiamo ragionevolmente aspettarci che il suo protagonista, chiunque egli o ella sia, è nei guai o sta per mettercisi… E se, detto così, vi sembra poco piovoso, considerate che la notte buia & tempestosa originale, quella del Paul Clifford, prosegue con la pioggia che cadeva a torrenti… pioggia, dante, dickens, twilight, conrad, brontë, verlaine, snoopy

Per dire, avete mai badato al modo in cui piove sempre in Cime Tempestose? Piove e tira vento – il che non è sorprendente in un romanzo che porta un titolo del genere. Emily aveva una passione per il tempaccio, lo si nota anche nelle sue poesie. E la sua pioggia non è mai casuale: Heathcliff arriva con il vento e la pioggia, se ne va con il vento e la pioggia e muore con il vento e la pioggia… Ecco, Emily non era sempre sottile, però aveva il senso delle atmosfere.

Come, d’altronde, sua sorella Charlotte. Quando un temporale improvviso – con relativo scroscio di pioggia – interrompe un momento di tenerezza tra Jane Eyre e Mr. Rochester, costringendoli a correre al riparo e bagnandoli come pulcini, non siamo tentati nemmeno per un momento di pensare che sia una di quelle pioggerelle liete e promettenti…

pioggia, dante, dickens, twilight, conrad, brontë, verlaine, snoopyPer non parlare di Dickens, re della fallacia sentimentale. Per tutto il canone dickensiano, il tempo è sempre perfettamente intonato al momento drammatico. Piove a catinelle la notte in cui Magwitch ricompare a Londra, pronto a infrangere involontariamente le Grandi Speranze di Pip. E piove che Iddio la manda la notte in cui Bill Sykes trascina Oliver Twist a commettere il suo furto con scasso. E piove sempre in Casa Desolata – specie attorno a Lady Dedlock e al povero John Jarndyce. E piove spesso anche in David Copperfield: così, off the top of my head, mi vengono in mente le frequenti precipitazioni quando David è infelicissimo a scuola, e il fortunale che uccide Steerforth e il buon Ham…

Una variazione è Marianne Dashwood di Ragione & Sentimento, che dopo avere scoperto la mascalzonaggine di Willoughby (incidentalmente, incontrato durante un temporale…), si dà alle camminate all’aperto  – o ci si darebbe se, in tono con il suo umor cupo, non si mettesse a piovere forte. E Jane Austen essendo Jane Austen, veniamo informati che piove davvero troppo forte persino per la romanticamente scriteriata Marianne. Il che poi non le impedirà di camminare nell’erba bagnata e ammalarsi, ma questa è un’altra faccenda.

Anche in Stevenson piove piuttosto spesso, anche se la faccenda si giustifica col clima scozzese e tende ad avere anche funzioni abbondantemente pratiche. Piove a catinelle la prima notte che David passa a Shaws – consentendo allo zio di giocare sporco, e piove sempre – ma plausibilmente – sull’isoletta su, su al nord in cui David è tenuto prigioniero, e piove quando, dopo la disastrosa partita a carte con Cluny McPherson, David e Alan litigano più seriamente di quanto abbiano mai fatto e poi proprio la pioggia li spinge a far pace…

E se pensate che sia una faccenda confinata all’Ottocento e/o alla prosa, ebbene non è affatto così. In poesia c’è per esempio la pioggia incessante su Brest che, secondo Prevert, non promette bene per l’amore della povera, umida Barbara. E prima di quello, l’esplicitazione del legame tra pioggia e malinconia che Verlaine spiattella con Il pleut dans mon coeur. E vogliamo parlare della desolata pioggia dantesca, quella che bagna le ossa del povero e disseppellito Manfredi nel verso più triste di tutta la poesia di tutti i tempi? E in fatto di prosa, nel Novecento la narrativa di genere ha ereditato la pioggia. In abbondanza e in ogni genere di funzione decorativa, simbolica e/o pratica.  Non sempre poi l’eredità è usata bene – ma a volte sì – specialmente quando il maltempo prende il centro della scena. Se la pioggia continua di Twilight vorrebbe essere d’atmosfera e invece è di una platitudine sconsolante, la faccenda è ben diversa con l’acquazzone che lava il veliero diretto in Australia nel primo volume della Trilogia del Mare di Golding, e ancora di più con l’angosciante The Long Rain, di Ray Bradbury, ambientato su Venere, dove piove sempre – ma proprio sempre. E tanto da far perdere la trebisonda…

E non è l’unico caso in cui la pioggia è del tutto centrale alla trama. pioggia, dante, dickens, twilight, conrad, brontë, verlaine, snoopy

Penso a Tifone, in cui, con una combinazione di finezza psicologica e grandiosità descrittiva, Conrad mette in scena una lotta epica – e iniziatica – tra l’uomo e le intemperanze del meteo.

Penso a I Tamburi della pioggia di Ismail Kadare, dove la pioggia non si vede, ma ossessiona tutti, temuta e attesa. Attesa dagli Albanesi assediati a Kruja e privati dell’acqua, e temuta dall’assediante ottomano Tursun Pasha, perché l’arrivo delle piogge autunnali segnerà la fine dell’assedio – per questa volta.

E penso, a tutt’altro livello, a La grande pioggia, di Louis Bromfield**, in cui un triangolone… er, quadrangolone – o anche pentangolone, a ben pensarci – amoroso galleggia sulle piogge monsoniche in qualche parte dell’India. Per la cronaca, al diluvio si aggiungono un terremoto e un’epidemia, just because, e comunque da questo simbolico lavacro si suppone che emerga una nuova India.pioggia, dante, dickens, twilight, conrad, brontë, verlaine, snoopy

Oh sì, perché quando non sta a significare afflizione, tormento, minaccia, infelicità o punizione (come la pioggia “etterna, maladetta, fredda e greve” che tortura i golosi nell’Inferno dantesco), la pioggia assume connotazioni battesimali e purificatrici – a partire dal diluvio universale nella Bibbia, fino alla pioggia francescana che porta in ogni goccia anime di fonti chiare di Federico Garcia Lorca e, molto significativamente, la pioggia manzoniana che lava via la peste (e non solo) verso la fine dei Promessi Sposi.

Una pioggia lieta, finalmente. Come la dannunziana Pioggia nel pineto – fresca, ticchettante, viva…

Qualcosa da ricordare per risollevarsi l’animo in questa giornata bigia e freddina – che dovrebbe essere estiva e invece no.

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* Yes, well – invece lo so benissimo, visto che me l’ha suggerito M.

** In Italia forse è più noto il film che ne fu tratto, Le piogge di Ranchipur.

Mar 6, 2013 - anglomaniac, Poesia    2 Comments

Nuove-Vecchie Poesie (In Numero di Cinquanta)

rudyard kipling, thomas pinney, poesie ritrovate, letteratura ritrovataA volte si è fortunati.

A volte si crede di aver letto proprio tutto quello che c’era da leggere di un autore che si ama – il che magari dà anche un senso di compiutezza, ma è triste pensare di non avere più nulla da scoprire. E le riletture, ne avevamo parlato, pur avendo il loro genere di fascino e di gioie, sono un cavallo di tutt’altro colore.

Non ho bisogno di dirlo: è un problema che riguarda i lettori di poeti (e prosatori) estinti. O ritirati, perché ultimamente si sentono autori che si ritirano, sostenendo di avere scritto tutto quel che avevano da dire. O pubblicato tutto quel che avevano da pubblicare – cosa molto diversa. Epperò, finché l’autore è vivo, la speranza c’è: magari cambierà idea, magari ci ripenserà, magari, magari… È capitato.

Ma se l’autore è defunto?

Be’, ci sono sempre le trouvailles.

Come Menandro, che si credeva perduto, e invece ogni tanto riaffiora a bocconi e spizzichi. E a volte anche meglio di così: se ben ricordo il Dyskolos ricomparve più o meno intero alla fine degli anni Cinquanta – dopo quasi ventiquattro secoli di oblio.

O come i juvenilia dei fratelli Brontë, tutto un piccolo corpus narrativo e poetico, scritto in caratteri minuscoli su quadernini cuciti a mano o sparso in centinaia di lettere, riemerso dalle carte della parrocchia di Haworth – largely ad opera di Juliet Barker.

E non cominciamo nemmeno con il Cardenio – il supposto Shakespeare perduto, che è come l’araba fenice: che ci sia ciascuno lo dice, e ogni tanto qualcuno sostiene di averlo ritrovato. C’è stato Theobald nel Settecento, c’è stato un grafologo nei nostri anni Novanta – peccato che non siamo affatto certi che il perduto Cardenio fosse di Shakespeare affatto, perché tutto quel che abbiamo è un’inaffidabilissima attribuzione della metà del Seicento. E d’altra parte la storia delle supposte trouvailles shakespeariane è variegata, pittoresca e lastricata d’infondatezze.

Ma tutto ciò è per dire che a volte succede, a volte si è fortunati.

E anche straordinariamente pazienti, determinati e abili, come Thomas Pinney, uno studioso americano, specialista di Kipling. Per anni Pinney ha razzolato per archivi navali, carte di famiglia, pacchi di lettere ritrovati, of all places, in un appartamento di Manhattan in ristrutturazione… E ha raccolto cinquanta poesie inedite. Cinquanta.

Per lo più sono componimenti degli ultimi anni, amarissimi, tesi, pieni di rabbia e disillusione, mille miglia lontano dal britannicissimo idealismo di If, o dai crepuscoli di The Recall. Non che Kipling sia mai un poeta particolarmente gioioso, ma l’ultimo Kipling è – non c’è altra parola – aspro. 

Domani le poesie riscoperte vedono la luce nella nuova Cambridge Edition of the Poems of Rudyard Kipling, tre annotatissimi volumi illustrati, con copertina rigida. 

Alas, i tre tomi (quattro kg e un po’…) sono inavvicinabili. Posso solo aspettare che Pinney decida di pubblicare i cinquanta new-found ancient poems in qualche forma un po’ meno proibitiva. Ho fiducia: prima o poi capiterà.

Nel frattempo posso sbizzarrirmi a immaginare come debba essere cercare, cercare, cercare e alla fine mettere le mani su un inedito ritrovato. Non vorreste essere stati al posto di Pinney? Io tanto…

E posso anche continuare a considerarmi fortunata: credevo di avere finito con Kipling – e invece c’è ancora qualcosa da scoprire.