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Giu 23, 2017 - teatro, virgilitudini    Commenti disabilitati su Virgilio a Virgilio

Virgilio a Virgilio

O meglio – al Museo Virgiliano di Pietole di Borgo Virgilio…

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In qualche modo è giusto e confacente che Di Uomini e Poeti, ovvero Il Testamento di Virgilio, approdi proprio qui, grazie all’associazione Borgocultura e con il patrocinio del Comune di Borgo Virgilio.

Già Dante identificava Pietole con l’antica Andes, luogo natale del poeta – e, benché ci siano altri contendenti per la distinzione, è in tutta probabilità una di quelle cose che non sappiamo più con certezza, o forse che non sappiamo ancora… Ad ogni modo, la tradizione è lunga e accuratamente coltivata negli sforzi archeologici, nelle leggende e nella toponomastica locale, e a Pietole c’è questo piccolo e grazioso museo.

E il museo ha un giardino, ed è lì che venerdì 3o, alle ore 21, l’Accademia Campogalliani metterà in scena il mio atto unico, che evoca il poeta in persona, gli amici che gli sopravvivono e i personaggi dell’Eneide per interrogarsi su eternità della poesia e umana fragilità.

Con la regia di Maria Grazia Bettini e le musiche originali del recentemente scomparso compositore Stefano Gueresi, Il Testamento di Virgilio offre un punto di vista diverso e molte domande sul “nostro” poeta antico e sulla sua opera più celebre.

Se siete da queste parti, e se vi va, vi aspettiamo al Museo Virgiliano – venerdì 30 alle ore 21.

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Set 28, 2016 - teatro, virgilitudini    Commenti disabilitati su Sbirciatina Virgiliana

Sbirciatina Virgiliana

E siccome sabato si avvicina – e con sabato Il Testamento di Virgilio – lasciatemi recuperare qualche immagine del debutto al Bibiena, back in the day, quando si chiamava ancora Di Uomini e Poeti.

Vario (Diego Fusari) e Clito (Andrea Flora)

Vario (Diego Fusari) e Clito (Andrea Flora)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le Ombre

Le Ombre

 

 

 

 

 

 

 

 

Creusa (Rossella Avanzi), Lavinia (Valentina Durantini) e Amata (Francesca Campogalliani)

Creusa (Rossella Avanzi), Lavinia (Valentina Durantini) e Amata (Francesca Campogalliani)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vario e le Ombre

Vario e le Ombre

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Amata e Virgilio (Adolfo Vaini)

Amata e Virgilio (Adolfo Vaini)

 

 

 

 

 

 

 

 

Quasi tutti

Quasi tutti

 

 

 

 

 

 

 

 

E poi un po’ di prove, ieri sera, fotografate da Maria Grazia Bettini

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E per finire, la bellissima sala della Biblioteca Teresiana in cui si terrà la rappresentazione:

Teresiana

 

 

 

 

 

 

 

 

Nice, isn’t it? E se tutto questo vi facesse pungere vaghezza di venire a vederci, vi ricordo che lo spettacolo è gratuito, ma i posti sono limitati, ed è prudente prenotare al numero 0376 338450.

Vi aspetto in biblioteca?

Sul Crinale Tra Due Lingue

LocVirgdArco12Quando ho letto questo post su Karavansara, mi sono ricordata della prima, infelicissima stesura di Di Uomini E Poeti.

Sapevo che genere di storia stavo scrivendo, sapevo dove volevo andare a parare, e avevo le idee chiare sul tipo di tono che mi serviva. Solo che non funzionava, non funzionava e non funzionava a nessun patto. La storia più o meno c’era, ma i dialoghi… oh, i dialoghi. Gonfi, rigidi, un tantino arcaici- e così maledettamente seri…

Li provavo ad alta voce, e mi veniva da piangere. Li immaginavo con le voci degli attori, ed era una cosa da sbattere la testa contro il muro.

Infelicità completa.

Anche perché non è come se, in teatro, i dialoghi fossero qualcosa su cui si può sorvolare. Eppure, lo ripeto: avevo perfettamente chiaro il tono che ci voleva – a mezza via tra Robert Bolt e George Bernard Shaw, quella specie di naturalezza amarognola, con le voci ben distinte e, qua e là un lampo di ironia…

E dunque immaginate la Clarina che fissa corrucciata lo schermo, si morde il labbro inferiore e comincia a pensare di avere commesso un errore maiuscolo nell’accettare questa commissione – finché…

Folgorazione!

“E se lo scrivessi in Inglese?”

E adesso figuratevi la Clarina che scrive indefessa e sollevata. Nel giro di un giorno e una notte, la prima stesura era finita – e funzionava molto, molto, molto meglio, e i dialoghi scorrevano, e le voci, e il tono, e tutto era come doveva essere.

Peccato che per metà fosse nella lingua sbagliata, e peccato ancor più maiuscolo che a funzionare fosse soltanto la metà scritta nella lingua sbagliata. Cominciava proprio a sembrare che la mia folgorazione non fosse stata poi delle più brillanti… Ma alla fin fine non c’era molto da fare, se non ricominciare daccapo e riscrivere anche la prima parte – in Inglese. Non tradurre, badate, ma riscrivere – col risultato di ritrovarsi con una stesura e mezza, tutta nella lingua sbagliata. E poi la traduzione, perché non incomprensibilmente committente e compagnia si aspettavano un atto unico in Italiano. E poi le stesure successive. E poi le prove, e poi il debutto, e poi la pubblicazione, e poi il resto più o meno lo sapete.

E però…

Nonostante tutto, il finale di questa storia non è, temo, terribilmente incoraggiante. Almeno da un punto di vista linguistico. Perché resta il fatto che la versione inglese continua a piacermi più di quella tradotta, e il tono che andava così bene in originale, nella traduzione ha perso smalto. I dialoghi son tornati a irrigidirsi un po’, l’ironia è evaporata un nonnulla… è come se non riuscissi a scrivere di Virgilio e di Eneide in Italiano senza ritrovarmi addosso una patina di arcaismo e seriosità.

Scrivere il play in Inglese è stato di qualche soddisfazione. Scriverlo in Inglese e poi tradurlo in Italiano è stato un esercizio un nonnulla frustrante e, in definitiva, di incompleta utilità. Certo, le cose sono migliorate attraverso i passaggi – ma non quanto avrei voluto, e comunque ho mandato in scena una traduzione.

Che devo dire? Da un lato, non è da oggi che voglio rimettere mano a Di Uomini E Poeti – e presto o tardi lo farò. Dall’altro, comincio a pensare che abitare writing-wise sul crinale tra due lingue non sia la più confortevole né la meno frustrante delle soluzioni.

 

 

 

 

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Feb 20, 2012 - teatro, virgilitudini    5 Comments

Ricapitolando

E così, con oggi pomeriggio, è finito il mio primo run ufficiale: cinque repliche di Di Uomini E Poeti.

Cinque, non sei, perché la prima è stata cancellata per una combinazione di neve e influenza, ma lo sapete – oh, se lo sapete. A dire il vero non ne potete più di sentirmi parlare di Di Uomini E Poeti, ma portate pazienza ancora per oggi, mentre rimugino di teatro, di scrittura e di massimi sistemi applicati.

Cominciamo col dire che, contrariamente, alle mie pessimistiche previsioni, sono sopravvissuta al run e non sto scrivendo dall’oltretomba. Per questa volta, niente sincopi e niente fama postuma. Ci sono stati brevi momenti di sconforto, si sono intrattenuti fuggevoli pensieri di emigrazione a St. Helena*, si è invocata, senza considerarla seriamente, l’ipotesi di fare harakiri con una matita HB, ma si è trattato di piccoli cedimenti dovuti al meteo e alla proverbiale instabilità degli artisti.

C’è stato il fatto che le prime sono sempre prime, che nevicava e i marciapiedi cittadini parevano fatti di vetro insaponato, che il teatro era mezzo pieno – ma al momento sembrava proprio mezzo vuoto. Nonostante questo, il primo quarto d’ora della prima è stato un quarto d’ora di beatitudine – poi la compagnia si è fatta prendere da un filino di Empty House Syndrome… C’è stata una certa quantità di smagliature, e alla fine non è che il mio primo vero pubblico pagante sia stato calorosissimo.

Dopodiché le cose sono andate germogliando e fiorendo di volta in volta, e i piccoli incidenti come il telefonino dimenticato acceso in tasca da un attore, e la bizzarra non-recensione sulla stampa locale sono stati piccoli incidenti pittoreschi. È stato affascinante sedere in mezzo al pubblico per cinque volte di fila, dividendo la mia attenzione tra quel che succedeva sul palco, le reazioni del pubblico e gli appunti per la riscrittura.

E allora andiamo con ordine.

Come ho detto e detto e detto ancora, questo era il mio primo run. La prima volta che vedevo uno spettacolo – mio o altrui – per cinque volte in dieci giorni. Sapevo in teoria che in teatro mai nulla succede due volte allo stesso modo, ma constatare la pratica, per così dire, sulla mia pelle, è stata un’esperienza elettrizzante. Ad ogni replica si produceva una diversa qualità di tensione e di fluidità, un ritmo diverso, un diverso colore complessivo… “Non ti stufi di vederlo tutte le sere?” mi ha chiesto la bambina di un’amica, sentendomi raccontare della mia avventura. “Oltretutto, lo sai a memoria…” Ebbene, posso confessare che potrei continuare a lungo? Non foss’altro che per vedere in quanti altri modi ogni singolo attore può affrontare ogni singola battuta. Non sempre ho condiviso tutto, non tuttissimo mi è piaciuto ogni volta, ma le possibilità, le possibilità, le possibilità

Il pubblico, dopo la prima è diventato più caloroso. Immagino che avere sfidato la tormenta per andare a teatro renda esigentissimi e freddini all’applauso**? E comunque, l’ho già detto, la prima non è stata affatto la migliore delle serate – come è collaudata tradizione in teatro. Che posso dire? Son cose che si prendono con più filosofia quando capitano a qualche altro autore. Epperò, la cosa che ho notato di più fin dalla prima sera, è stato il silenzio. DUeP non è il genere di lavoro che ecciti risate o reazioni facilmente registrabili a sipario aperto – ma c’era (caramelle a parte) quel silenzio immobile che significa attenzione. Oppure sonno profondo – ma se non altro nessuno ha russato. E poi, all’uscita, o via mail, o riferiti, o attraverso Twitter, arrivavano i complimenti. So di gente che si è commossa, di gente che è tornata una seconda volta, di gente che ha deciso di rileggere l’Eneide, di gente che era partita prevenuta e poi ha apprezzato… Non è solo merito mio – in teatro non è mai merito di una persona sola e la compagnia ha fatto un lavoro favoloso (con menzione speciale alla regia di Maria Grazia Bettini e al Vario di Diego Fusari) – ma lasciate che mi ci crogioli un pochino. Dopo tutto era la prima volta. E oggi pomeriggio, a teatro finalmente pieno, mi è spiaciuto pensare che era l’ultima volta, che dovrà passare del tempo prima che possa sedermi di nuovo in mezzo a un pubblico silenzioso e immobile – catturato dalle mie parole.

Adesso inizia la riscrittura. Non ho mai assistito alle prove, e quindi non ho mai avuto modo di lavorare insieme alla compagnia. Così ho usato le repliche come workshop, annotando le rigidità e le manchevolezze di cui sulla carta non mi ero accorta, e interrogando gli attori su quel che li rendeva infelici nel testo. Non ho ancora finito con loro, ma ho tutte le intenzioni di farli parlare. E poi riscriverò, allungherò e renderò più liscio l’insieme. Per la prima versione la committenza aveva fissato una durata massima di un’ora, cosa che mi aveva costretta a prendere degli angoli un po’ stretti, qua e là… E se sulla carta era tutto perfettamente logico, una volta in scena ogni spigolo, ogni scorciatoia, ogni semplificazione, tutto è emerso, evidente come una fila di coni segnaletici. Adesso posso sciogliere nodi, sfumare passaggi, sviluppare accenni, e sistemare tutto quello che ho sentito piatto, lacunoso o acerbo nel corso di queste repliche. “Tu sei matta,” mi ha detto D. – che probabilmente non ne può più di Virgilio e compagnia. “Ma allora quand’è che consideri definitivo un testo?” mi ha domandato P. con un’ombra di sconcerto, rigirandosi tra le mani la versione pubblicata di DUeP. “E però, nel frattempo, ci scrivi anche qualcosa di nuovo, vero?” hanno chiesto regista e diversi attori.

E le risposte sono, rispettivamente, che sono matta da legare, che non c’è ancora nulla che abbia scritto e/o pubblicato e sia disposta a considerare definitivo, e che sono tanto, tanto, tanto sollevata e lieta che la compagnia non ne abbia avuto abbastanza di me.

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* O altro luogo isolato e privo di teatri.

** Devo riferire un particolare un nonnulla eerie. Nel mio primo e fallito tentativo di romanzo, c’era un debutto – una prima teatrale in una sera di neve, con il teatro semivuoto, la compagnia di malumore e il pubblico maldisposto, e un mangiatore di caramelle in prima fila. Sapeste com’è strano ritrovarsi nel bel mezzo di un proprio romanzo… C’era persino la signora con le caramelle.

Feb 1, 2012 - teatro    Commenti disabilitati su Di Uomini E Poeti – Le Foto

Di Uomini E Poeti – Le Foto

Qualche immagine di Di Uomini E Poeti, tratta dalle riprese del debutto al Bibiena, il 14 Ottobre 2011.

Con Andrea Flora (Clito), Diego Fusari (Lucio Vario Rufo), Rossella Avanzi (Creusa), Francesco Farinato (Turno), Francesca Campogalliani (Amata), Adolfo Vaini (Virgilio), Stefano Bonisoli (Enea), Valentina Durantini (Lavinia), nonché Anna Bianchi, Matteo Bertoni, Giulia Cavicchini, Alessandra Mattioli e Annalaura Melotti (Le Ombre).

Di Uomini E Poeti – ovvero Il Testamento di Virgilio, per la splendida regia di Maria Grazia Bettini e con le musiche originali di Stefano Gueresi, torna in scena al Teatrino di Palazzo D’Arco (Mantova) dal 9 al 19 febbraio. Informazioni e prenotazioni qui.

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Gen 31, 2012 - Digitalia, pennivendolerie, teatro, virgilitudini    Commenti disabilitati su Al Volo

Al Volo

Posterellino indebito per due piiiiiiccole comunicazioni:

1) Su Plutonia Esperiment, il blog di Alessandro Girola, è uscita oggi questa recensione de L’Itala Giuditta. Mi piace particolarmente perchè spiega come la Giudi possa piacere almeno un po’ anche agli steamers duri e puri – categoria cui non appartengo e per la quale non ho scritto. La mia idea era di mescolare gli elementi base del genere con il linguaggio dei libretti d’opera… A quanto pare, avrei potuto fare di peggio.

2) Oggi pomeriggio alle 17.00, presso l’Università della III Età (Via Mazzini, 28 – Mantova), presentazione di Di Uomini E Poeti. Presenta Mario Artioli (who happens to be both man and poet), e intervengono Francesca Campogalliani (la Regina Amata) e l’autrice, di cui al momento mi sfugge il nome…

Fine del posterellino.

Ott 10, 2011 - teatro    2 Comments

Di Uomini E Poeti – Il Debutto

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Tradizione vuole che, in punto di morte, Virgilio abbia chiesto con insistenza la distruzione della sua opera incompiuta, il poema epico che ancora non si chiamava Eneide. Ma il poema era una straordinaria celebrazione – e ancor più un’edificazione del mito di Roma, bella nella sua incompiutezza: Vario Rufo, poeta a sua volta e amico di Virgilio, non ebbe cuore di obbedire alla richiesta e in seguito ebbe da Augusto l’incarico di curare la pubblicazione dell’Eneide così come Virgilio l’aveva lasciata.

È per una disobbedienza alla volontà di un amico defunto che il poema è giunto a noi attraverso venti secoli, con l’occasionale verso imperfetto, con qualche incoerenza, con le sue asimmetrie narrative e con un eroe cui forse – forse! – l’autore non ha fatto in tempo a instillare, a completamento delle virtù romane, la scintilla vitale.

I latinisti si sono interrogati a non finire sul brusco finale del Libro XII, e innumerevoli generazioni di studenti ginnasiali, me compresa, hanno storto il naso davanti al Pio Enea, più paradigma di obbedienza e abnegazione che essere umano. Rileggendo il poema con occhi adulti, e con la libertà e il gusto di cui non avevo beneficiato sui banchi di scuola, mi sono trovata a meditare, più che sulle vicende di Enea e dei suoi, su ciò che Virgilio non ebbe tempo di compiere prima di morire. La tentazione di considerare la gelida caratterizzazione di Enea un difetto da prima stesura era irresistibile – e non ho resistito. Il mio Virgilio, che torna nei sogni di Vario Rufo per deciderlo a bruciare il manoscritto incompiuto, non si preoccupa tanto dell’imperfezione dei versi, quanto di non avere avuto il tempo di tratteggiare compiutamente i significati e i messaggi che voleva nella sua opera.

Ma a complicare il dilemma di Vario, lacerato tra la lealtà all’amico e l’ammirazione per il poema, irrompono nel sogno i personaggi dell’Eneide – non l’eroe eponimo e vincitore, ma gli sconfitti: Creusa, Turno, Amata, colmi di risentimento e certi che solo la distruzione del manoscritto li libererà dalla sorte cui Virgilio li ha condannati. Ed ecco che la lotta per il rogo dell’Eneide diventa una metafora per l’intrecciarsi di arte e vita, dovere e istinti primari, libero arbitrio e destino, amore, sconfitta, giustizia e memoria – in una parola, l’umanità.

Difficilmente la questione di che cosa davvero mancasse al compimento dell’Eneide troverà una risposta inoppugnabile. Dove storiografia e filologia non possono giungere, tuttavia, al teatro è consentito tessere, con le incertezze di Virgilio e il rifiuto di Vario, una riflessione sul rapporto tra l’autore e la sua opera.

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Di Uomini E Poeti – ovvero Il Testamento di Virgilio – debutta venerdì 14 ottobre alle ore 21 al Teatro Bibiena di Mantova.

Ingresso gratuito e niente prenotazioni – a quanto pare, l’unica è non arrivare troppo tardi…

E se non potete venire, wish me luck! (ma non in questi termini!!)