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Lug 27, 2015 - bizzarrie letterarie    2 Comments

Il Corvo e la Scrivania

3092487_5807113_lzChe cos’hanno in comune un corvo e una scrivania?

È l’indovinello che il Cappellaio Matto propone ad Alice durante il suo bizzarro tè in giardino. E Alice non è ancora ben pratica del Paese delle Meraviglie, e comunque ha ancora l’età in cui ci si aspetta che ogni indovinello abbia una risposta – e dunque cerca la soluzione con qualche impegno. Quando non riesce a trovarla la chiede al Cappellaio, e il Cappellaio ammette di non averne la più pallida idea. “Chiedevo per sapere,” dice scrollando le spalle. Alice ribatte severamente che non si dovrebbe far perdere tempo alla gente con indovinelli senza risposta.

Tutto qui? Ebbene no, perché l’umanità leggente è come Alice, e preferisce che gli indovinelli abbiano una risposta. Lewis Carroll cominciò presto a trovarsi sommerso di richieste in proposito. Lettere a centinaia che chiedevano che cosa diamine hanno in comune un corvo e una scrivania. Qualcuno proponeva soluzioni, altri, come il Cappellaio, chiedevano per sapere.

Carroll non se l’era aspettato. Il Paese delle Meraviglie funziona secondo una sua incantevole non-logica, in cui un indovinello che non è un indovinello affatto ha perfettamente senso – anzi, non-senso – ma l’Umanità Leggente è fatta per cercare risposte, conclusioni e punti d’appoggio. L’Umanità Leggente voleva sapere: perché, perché, oh perché un corvo è come una scrivania?

Lewis CarrollE allora, nella prefazione all’edizione 1896 di Alice, Carroll ammise, come il Cappellaio, che in realtà non c’era risposta. Non c’era mai stata. Non si era mai supposto che dovesse esserci. Non era un indovinello per davvero… E tuttavia, se proprio l’Umanità Leggente voleva una caramella, poteva avere questa: un corvo è come una scrivania perché entrambi, si sa, producono qualche nota – in genre molto piatta.

Yes, well.

Oppure, in alternativa, perchè nessuno dei due si mette mai al contrario.

E in realtà, nella versione originale, la seconda risposta doveva essere impreziosita da un giochetto di parole tra Never, mai, e Nevar – ovvero Raven (corvo) scritto al contrario… Che il gioco sia andato perduto per troppo zelo di un correttore di bozze è un dettaglio deliziosamente assurdo e del tutto in keeping con l’atmosfera generale. Nondimeno, potremmo azzardarci a dire che dal creatore di Alice ci saremmo aspettati qualcosa di meglio…

Non solo noi, si direbbe, perché l’Umanità Leggente seguitò a cimentarsi – e tutt’ora si cimenta – a cercare altre risposte. A me piace molto quella del romanziere Aldous Huxley, secondo cui un corvo è come una scrivania perché c’è una b in entrambi e due n in nessuno dei due.* Ammettiamolo: è più nonsense. E a pari merito con Huxley trovo che si classifichi l’enigmista Sam Lloyd: Che cos’hanno in comune un corvo e una scrivania? Be’, Poe ha scritto su entrambi.

C’è poi chi sostiene che sia tutta una piccola satira ai danni di matematici e pensatori che procedono esclusivamente per paradossi – ma suona più che altro come un modo di menare il corvo attorno alla scrivania, nevvero? Per cui, nello spirito del Cappellaio Matto, giochiamo, o Lettori. Non ne ho la più pallida idea e chiedo per sapere: che cos’hanno in comune una scrivania e un corvo?

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* In originale: “Because there’s a ‘b’ in both, and an ‘n’ in neither.”  Chiaramente nella traduzione non poteva funzionare allo stesso modo.

 

Lug 4, 2014 - gente che scrive    2 Comments

L’Uzzolo Di Far (Di)Segni

DaneCoward

Noel Coward secondo Clemence Dane

Non solo disegni, in realtà – per dire, a Clemence Dane piaceva scolpire – ma quando John Updike dice che

L’uzzolo di far segni neri sulla carta è comune a molti scrittori,

si direbbe che non abbia tutti i torti, considerando quanti scrittori disegnassero.

Ed è vero, nell’Ottocento inglese chiunque avesse un’educazione sapeva disegnare con qualche grado di competenza, se non sempre di abilità, talento o gusto*.

Victor_Hugo-Bridge

Victor Hugo

Poi però si vedono cose come i disegni di Victor Hugo, che Delacroix, nientemeno, riteneva capace di diventare uno dei grandi pittori del suo tempo, se solo ci si fosse dedicato, e in effetti… Poi non è come se non ci si dedicasse per nulla, considerando che in vita sua produsse varie migliaia di disegni – e fu anche un precursore del metodo Betty Edwards: disegnava con la mano sinistra per entrare in contatto con il suo subconscio.

Emilyfir tree

Emily B.

In casa Brontë si disegnava parecchio, fin da bambini. Come voleva il costume dell’epoca, per le ragazze era un grazioso passatempo, e l’unico cui fosse permesso di aspirare a una professione artistica era Branwell, l’unico figlio maschio. Charlotte, adolescente, avrebbe dato parecchio per poter studiare pittura, ma il Reverendo Brontë non ne volle sapere. Branwell fu messo a bottega da un pittore – e non andò bene. Tentò la sorte alla Royal Academy – e andò peggio. Aprì un suo studio di ritrattista – e non parliamone nemmeno. E intanto le sue sorelle scrivevano di nascosto… Alla fin fine, però, la più notevole con una matita in mano era Emily, cui non interessava nulla se non di scrivere le sue poesie in gran segreto, per cui…

Lewis Carrol in origine, si illustrò Alice da sé – pieno d’immaginazione, competente quanto basta, notevole a suo modo – ma non abbastanza, così che per la prima edizione  del 1865 MacMillan 220px-Alice's_Adventures_Under_Ground_-_Lewis_Carroll_-_British_Library_Add_MS_46700_f45vcommissionò 42 illustrazioni a John Tenniel, con rigorose istruzioni di ispirarsi a quelle di Carrol.

Ma in realtà, i produttori di segnetti sulla carta sono tanti, compresi i miei beneamati Conrad e Kipling, Sylvia Plath, Edgar Allan Poe, Elizabeth Barret Browning, Dylan Thomas e una quantità di altri che potete trovare a questo bellissimo link. E anche questo con gli scarabocchi non è affatto male…

Non trovo che tutto ciò sia straordinariamente sorprendente. Meraviglioso, sì, ma non soprendente. A volte un tipo solo di segni sulla carta non basta. Una forma sola non basta. Si desidera parecchio dare ai propri personaggi, alle proprie idee, alle proprie storie qualche altro tipo di presenza concreta. O quanto meno, io lo desidero tutto il tempo, ma non so fare una o con il bicchiere – e mi confesso piena di ammirata invidia per chi sa disegnare.

 

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* E qui non so trattenermi dal citare la spassosa scena di The Talisman Ring in cui i cospiratori scoprono che Sarah Thane non sa, ma proprio non sa disegnare – e le reazioni vanno dall’incredulo al semi-disgustato.