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Lug 29, 2010 - libri, libri e libri    6 Comments

Di Steampunk E Altre (più o meno) Gradevoli Follie

steampunk-landscape.jpgUltimamente la mia attenzione è stata richiamata sullo Steampunk, un sottogenere letterario che mescola romanzo storico, fantascienza e fantasy. Sottogenere ibrido, pieno di suggestioni, riferimenti e citazioni, si presta a giochi narrativi deliziosi (e a trasposizioni cinematografiche notevoli, almeno dal punto di vista visivo). In genere tende a speculare universi alternativi in cui il periodo tra il Congresso di Vienna e la Prima Guerra Mondiale conosce sviluppi tecnologici immaginari – o meglio, applicazioni immaginarie della tecnologia dell’epoca (le macchine volanti sono un esempio consueto) e spesso un’atmosfera distopica.

Quello che colpisce e diverte è come lo SP sia solo uno dei numerosi sottogeneri di narrativa speculativa a sfondo tecnologico. Vediamo un po’…

Capostipite del genere è la cosiddetta narrativa Cyberpunk, nata all’inizio degli Anni Ottanta per preconizzare cupi futuri distopici, dominati da un’onnipresente e oppressiva tecnologia dell’informazione. L’infodittatura tende ad andare sottobraccio con modifiche invasiva del corpo umano, e gli eroi tendono ad essere emarginati in (vana) lotta contro l’andazzo. Pensate all’allegerrimo Philip K. Dick, per capirci, oppure a Jeanette Winterson, anche se credo che il nonno di tutti gli autori cyberpunk possa considerarsi l’Orwell di 1984.

Il Postcyberpunk è un’evoluzione che abbandona l’elemento distopico. Conserva la rivoluzione tecno-informatica, ma le assegna conseguenze positive, o quanto meno innocue e ricreative. Bruce Sterling e Neal Stephenson sono esempi del genere.

Da questo ceppo si sono dipartite due correnti principali di sottogeneri, una retrofuturistica, l’altra futuristica tout court, cui vanno aggiunti alcuni germogli in fieri.

Sul versante futuristico, il Biopunk sposta la sua attenzione dalla tecnologia dell’informazione alla biogenetica. Le traversie di un’umanità biologicamente modificata si svolgono di nuovo nel quadro di regimi totalitari (statali o corporativi, a scelta), e torniamo agli scenari distopici quando non postapocalittici. Credo che non leggerei volentieri del Biopunk, ma gente che ne capisce mi cita William Gibson come il dio del genere. Ci crediate o no, dal Biopunk si sta evolvendo un ulteriore sottogenere, il Nanopunk, parimenti distopico e incentrato – ça va sans dire – sulle nanotecnologie dopo l’abbandono o la proibizione delle biotecnologie.

Le cose si fanno un po’ meno truci dal lato retrofuturistico, con lo Steampunk di cui si diceva, nato a sua volta distopico, per poi virare su atmosfere più leggere – talvolta anche parodistiche. Una versione particolarmente filosofica della faccenda è la Trilogia delle Materie Oscure di Philip Pullman, anche se forse in Italia la fortuna dello Steampunk si deve principalmente al fumetto di Alan Moore, La Lega degli Uomini Straordinari, con conseguente adattamento cinematografico. E naturalmente non si può non citare il capostipite ignaro dello SP, Jules Verne.Il Clockpunk è quasi un sotto-sottogenere che applica le convenzioni dello SP a qualche epoca preindustriale, con molle e ruote dentate al posto della tecnologia a vapore. Da noi non è particolarmente diffuso, e mi domando se Alessandro Forlani, col suo BaroquePunk, non possa diventarne l’alfiere italiano. Discorso abbastanza simile per il Dieselpunk, che sposta il gioco tra le Due Guerre, e l’Atompunk con il suo repertorio di Guerra Fredda, corsa allo spazio, USA-URSS e compagnia cantante. Un fantasy storico leggermente meno tecnologico, più nostalgico e sempre incentrato su figure rimarchevoli dei primi decenni del Novecento è poi il Gaslight Romance.

E poi ci sono, come dicevo prima, sotto-sottogeneri in fieri, come l’Elfpunk, che trapianta elfi, nani e altre creature fantasy in contesti urbani contemporanei, Mythpunk, che lavora a partire da folklore e mitologia, e Splatterpunk, che sembra distinguersi dall’horror solo perché ancora più grafico e violento nelle sue descrizioni di mutilazioni e carneficine. Ugh. Pare esistere anche una cosa chiamata Nowpunk, apparentemente narrativa di ambientazione contemporanea in cui la tecnologia gioca un ruolo centrale – in pratica Cyberpunk ai giorni nostri, e forse non è un caso che a coniare il termine sia stato Bruce Sterling, prominente autore postcyberpunk.*

Poi, come sempre accade e per fortuna, il confine tra generi e sottogeneri è tutto fuorché solido. Per dire, come definire un arnese come la trilogia Anno Dracula, di Kim Newman, che combina steampunk, gaslight romance, vampiri, ucronia, modificazioni genetiche, una discreta dose di splatter e una rete di riferimenti storici tanto fitta da far girare la testa? Voglio dire, nel secondo volume c’è il Barone Rosso a capo di una squadriglia di ubervampiri volanti, for crying out loud! Classificatelo, se siete capaci.

Come dicevo: per fortuna! Una segmentazione dei generi narrativi a tenuta stagna sarebbe una camicia di forza. Finché tutto resta ragionevolmente fluido, invece, non c’è limite alle strade aperte alla fantasia e alla creatività degli scrittori.

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* E non sarebbe ancora finita, se si considera l’abitudine di coniare definizioni derivate come stonepunk, bronzepunk, sandalpunk, candlepunk, transistorpunk… Non sono davvero altrettanti generi, spesso solo la definizione – più o meno ironica – che un singolo autore dà dei propri libri.  

Mar 17, 2010 - pennivendolerie    5 Comments

Qualcosa di Contemporaneo

van-eyck-ritratto-di-giovanni-arnolfini-con-la-mogliea.jpgHo presentato il libro tre volte in cinque giorni.

No, veramente stasera non si parlava solo del Somnium, ma di tutti e tre i miei libri, il che è stato divertente: erano secoli che non tiravo in ballo Strada Nuova o Lo Specchio. Ho persino riesumato le diapositive del Ritratto Arnolfini per la bisogna, e c’erano gli Histriones a farmi il reading. Mi è piaciuto.

Comunque la costante, la domanda che tutte le volte arriva, anche se non sempre in pubblico, è: perché non provi a cimentarti con qualcosa di contemporaneo? E quando ho l’aria di implicare che ciò avvenga solo in occasione delle presentazioni, sto dando un’impressione fasulla. Ho perso il conto delle persone che leggono qualcosa di mio e poi mi dicono che dovrei scrivere qualcosa di contemporaneo…

E il bello è che, per lo più, lo dicono come se fosse un complimento.

Come se scrivere historicals fosse una specie di ripiego, un genere minore, una specie di apprendistato dal quale, prima o poi, mi dovrò pur emancipare. Oh, che bel libro! Adesso sei pronta, bambina: puoi passare a scrivere cose serie.

 Ed è perfettamente inutile dire che sto già scrivendo quello che voglio scrivere, grazie. Che la gente più contemporanea che ho scritto (i venti lettori de Gl’Insorti di Strada Nuova), è stata una faccenda faticosa e di limitata soddisfazione. Non perché i venti lettori siano venuti male, ma perché non mi è piaciuto granché scriverli.

In fondo, c’è un motivo se mi occupo di storia. Più di un motivo, a dire la verità: l’inafferrabilità degli eventi passati, il fascino di quello che non sappiamo più, il modo in cui, per gradi e per strati, si formano leggende e luoghi comuni -e letteratura, – l’evolversi della lingua e dei linguaggi, il sovrapporsi e contraddirsi dei punti di vista, le menzogne che durano secoli, la tensione fra resa antiquaria e reinterpretazione… flora e fauna che si coltivano assai meglio nei romanzi storici, con l’occasionale scampagnata in terreno metaletterario.

Quindi, mi sembra di avere le idee abbastanza chiare su quello che faccio e sul perché lo faccio… ma no: perché non scrivo nulla di contemporaneo? Non saprei… perché non mi viene bene? Perché non ho granché da dire in materia? Perché ci sono altre cose che so fare meglio? Perché non m’interessa terribilmente? E sia chiaro: non sono mai contraria a sperimentare generi nuovi, ma appunto: sperimentare. Buttare giù qualche pagina per provare un punto di vista, una tecnica, una voce, un soggetto. Esercitarmi. Vedere come funziona. Ma questo è un altro conto, e non è quel che intendono le anime benintenzionate secondo cui dovrei scrivere qualcosa di contemporaneo.

Non dico che non lo farò mai, perché si cambia. Magari verrà il giorno in cui vorrò provarci, per un motivo o per l’altro, ma per il momento va benissimo così, grazie.

Niente di contemporaneo. O il meno possibile. E senza zucchero.