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Lug 15, 2011 - grillopensante, libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Se

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kipling, il libro della jungla, toomai degli elefantiE’ ufficiale: sto invecchiando.

Stamattina mi sono svegliata con Toomai Of The Elephants in testa, e non c’è stato verso: era questione di rileggerlo o pensarci per tutta la giornata.

TOTE è uno dei racconti del Libro Della Jungla, ma viene spesso pubblicato per conto suo. E’ la storia di un ragazzino indiano che vuole diventare un mahout e della sua straordinaria iniziazione, ma è soprattutto una storia di elefanti, dei loro riti e delle loro menti un pochino umane e molto misteriose.

TOTE è anche la porta attraverso cui, più o meno trentacinque anni fa, mi sono avvicinata a Kipling. Ho ricordi di mia madre che mi legge questa storia in una sera d’estate, della potenza delle immagini, e più di tutto della danza degli elefanti, selvaggia e solenne nel cuore della foresta buia. Sono certa che la radice prima della mia predilezione per gli elefanti è proprio lì.

E quindi per prima cosa stamattina ho cercato Toomai Degli Elefanti e l’ho riletto kipling, il libro della jungla, toomai degli elefantidopo decenni. Non nella versione di allora, ma in originale. E, come vi dicevo, sono giunta alla conclusione che sto invecchiando, perché mentre leggevo mi sono commossa… 

No, non sui ricordi d’infanzia – non sono ancora a questo punto – ma sulla storia in sé. Mi sono commossa sul mahout che chiama il suo elefante “mio signore”,  su Petersen Sahib che sa di non poter capire molte, molte cose, su Kala Nag, l’elefante più amato in tutto il Servizio, sul piccolo Toomai, sfrontato, timido e fiducioso come i bambini veri, sugli elefanti selvaggi e domestici che si danno convegno e poi tornano al loro posto – e sul finale. No, non vi dico nulla del finale, andate a leggerlo qui – in Inglese*.

E, una volta di più, non capirò mai il modo in cui è sottovalutato Kipling, con la sua scrittura vivida e potente, con le sue caratterizzazioni finissime e così umane, con la sua curiosità intellettuale e con la sua vena epica…

kipling, il libro della jungla, toomai degli elefantiSe uno scrittore è stato capace di segnarmi con una storia quando ero bambina, e poi a decenni di distanza è ancora capace di farmi svegliare con una nostalgia improvvisa di quella storia; se alla rilettura è capace di commuovermi e sorprendermi ancora, perché invece di trovarci meno di quanto ricordavo, ci trovo tanto di più; se è capace di emozionare la donna come allora aveva saputo emozionare la bambina; ebbene o miei lettori, allora quello scrittore è uno Scrittore.

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* O, se preferite, qui in Italiano – ma vi avverto: la traduzione è tutt’altro che male, ma in caratteri da lasciarci una diottria ogni tre righe e  in una formattazione tanto irritante quanto incomprensibile… Basta vedere come hanno trattato le due poesie all’inizio e alla fine.

Ott 21, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su A’ Chacun Son Métier

A’ Chacun Son Métier

Qualche tempo fa me l’ero presa con Judith Cook e il suo romanzo The Slicing Edge of Death. Ricordate?

Adesso sento di dover riparare in parte a ciò che ho scritto allora. O meglio: sono ancora convinta che TSEoD sia un romanzo molto mediocre, ma sto leggendo un altro libro della Cook sullo stesso argomento, solo che questa volta si tratta di divulgazione storica, ed è tutto un altro mondo. The Roaring Boys è una specie di biografia collettiva di Shakespeare, Marlowe, Greene, Jonson, Kyd, Nashe, Dekker e compagnia. La Londra elisabettiana, i suoi protagonisti e la sua atmosfera sono ricostruiti con una vividezza, un’energia e un’efficacia favolose. Qua e là forse Cook sposa delle datazioni un po’ eccentriche, ma di sicuro la qualità della scrittura è stratosferica.

E allora? E allora, la signora Cook era un’ottima divulgatrice alla quale, nel quarto centenario della morte di Marlowe, un editore ha proposto: perché, Judy, non provi a scriverci un romanzo? Con la tua conoscenza del periodo e dei fatti, che ci vuole? E lei purtroppo ha accettato, senza considerare che ci voleva la tecnica del romanziere – che lei non possedeva. E non c’è nulla di male.

Oddìo, di male, se vogliamo, c’è questo: che se avessi letto TSEoD prima di ordinare TRB, non avrei sfiorato TRB nemmeno con l’orlo della veste, avrei archiviato Cook come una romanziera da dimenticare e non avrei mai scoperto l’eccellente divulgatrice.

Quello che voglio dire è che, per la maggior parte, gli scrittori non sono universalmente eclettici: hanno campi di preferenza, generi ideali e terreni che farebbero meglio ad evitare. Per quanto adori Kipling, temo che i romanzi lunghi non fossero la sua produzione migliore – e a maggior ragione trovo terribilmente ingiusto che sia conosciuto più per Kim e per i Libri della Jungla che per i suoi meravigliosi racconti e ancora più meravigliose poesie.

Tolstoj, al contrario, mi travolge nei romanzi e non mi convince affatto nei racconti: è come se la costrizione del formato ridotto non gli consentisse di spiegare per bene le ali. Non è del tutto sorprendente, se si considera che stiamo parlando dell’uomo che ha scritto Guerra e Pace – un mondo intero chiuso tra due copertine. Leggete un Padre Sergio, e ditemi se non ci sentite un certo qual senso di soffocamento.

Per Conrad la faccenda era diversa. Conrad ha scritto capolavori (per conto suo) e libri singolarmente brutti (spesso in collaborazione con Ford Madox Ford), ma una cosa è certa: con pochissime eccezioni, appena una storia d’amore occupava la scena Conrad cominciava ad inciampare. Se ne accorgeva anche lui, se lo diceva da solo: in una letttera descriveva l’amore come il suo uncongenial theme, un tema con cui si ritrovava. Provate a confrontare le vertiginose caratterizzazioni di Lord Jim o di Kurtz con l’improbabile melodramma di Vittoria o La Freccia d’Oro.

Marlowe, per parte sua, non aveva una gran mano nel caratterizzare i suoi personaggi femminili. Zenocrate, Olimpia, Zabina, Abigail e Bellamira, le regine francesi – sono tutte personaggi piatti, poco più che funzioni narrative senza troppa personalità. Isabella, regina d’Inghilterra nell’Edoardo II, comincia allo stesso modo e poi si trasforma (senza transizione!) in una completa arpia. Elena di Troia nel Doctor Faustus è una specie di comparsa. Niente da fare: i contrasti, i chiaroscuri violenti, la grandiosità, l’afflato poetico, la profondità, Marlowe li teneva tutti per i suoi protagonisti maschili.

Il che non toglie che questi signori fossero grandi, grandissimi scrittori – ciascuno con i suoi cavalli di battaglia, ciascuno con i suoi punti deboli. Tito Livio diceva (per bocca di Maarbale) che a nessuno gli dei hanno dato troppo. Probabilmente è vero – è solo che bisogna scrivere molto e in molte direzioni, prima di scoprire che cosa gli dei hanno dato e cosa no.

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