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Lug 8, 2015 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Alice 150

Alice 150

Alice1Il 4 luglio del 1862, durante una scampagnata lungo il Tamigi, il giovane Charles Dodgson cominciò a raccontare una storia alle tre sorelline Liddell. La storia di una bambina di nome Alice, che in un pomeriggio pigro e dorato vede un curioso coniglio bianco con tanto di orologio e, seguendolo, cade in un mondo regolato solo dal nonsense…

Tre anni più tardi – e centocinquant’anni orsono – quella storia inventata per passare il tempo in un pomeriggio di vacanza diventerà un libro illustrato di enorme e duraturo successo. Tant’è che, qualsiasi cosa pensiamo del raconteur – e non è che noi XXI Secolo ne pensiamo benissimo – siamo qui a celebrare il frutto della sua immaginazione sfrenata, bizzarra e più che un pochino inquietante.Alice4

Oh, andiamo: chi non ha letto Alice? Pur molto inglese in impianto e in humour, il Paese delle Meraviglie ha decisamente valicato tutti i confini – croce e delizia di generazioni di traduttori – e personaggi come il Cappellaio Matto, la Lepre Marzolina, il Coniglio Bianco e il Gatto del Cheshire sono universalmente noti ben al di là del mondo anglosassone – complice Disney, prima con il film d’animazione e poi con la cupa fantasia di Tim Burton…

Ma in realtà non vi fate idea di quanti adattamenti teatrali e cinematografici, balletti, musical, videogiochi, fumetti, rinarrazioni e riproposizioni abbia conosciuto questa storia negli ultimi centocinquant’anni… Segno evidente del fatto che Alice, i suoi animali parlanti, le sue regine sanguinarie e buffe, i suoi biscotti pericolosi e le sue carte da gioco che verniciano le rose continuano ad esercitare la duplice attrazione dell’immaginazione senza freni e della distorsione della realtà.

Alice2Noi festeggiamo Alice con un paio di link: uno al sito del Centocinquantesimo, bellissimo a vedersi, colmo di illustrazioni, articoli, curiose informazioni e idee*; e uno a questa bellissima mostra dello Harry Ransome Center ad Austin, Texas, che racconta non solo le origini della storia – ma anche ciò che ne è stato in questi centocinquant’anni. Guardate le illustrazioni per la non-proprio-traduzione russa di Nabokov, per esempio, oppure le illustrazioni di Picasso… E già che ci siete, date un’occhiata ai video che raccontano la filosofia della mostra e il processo di conservazione. E poi seguite il link Related Material per leggere gli articoli sulle meravigliose attività collaterali e didattiche… Si vede molto che ultimamente sto sviluppando un’ammirazione e un’invidia senza limiti per come funzionano e lavorano i musei anglosassoni? Ma mi accorgo che sto scivolando giù per buchi non del tutto pertinenti e, se non sto attenta, mi ritroverò a giocare a croquet a rischio della testa…

Alice, dicevamo – e, a titolo di conclusione, e considerando che questo potrà essere il centocinquantesimo della pubblicazione, ma Alice è nata in quel pomeriggio dorato del 1862, degli auguri di Non-Compleanno mi sembrano singolarmente appropriati:

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* All’improvviso ho voglia di invitare un po’ di amici per un tè alicesco…

Stati Di Scarsa Realtà

Plan.jpgQuesta cosa mi torna in mente dopo aver sentito gente che cercava disperatamente di piazzare la Ruritania nella geografia pre-bellica… Purtroppo non ho sentito la fine della discussione, ma non può essere andata molto bene, perché in realtà la Ruritania non esiste.

È uno staterello immaginario, di cui non si capisce mai se sia piccolo o grande, i cui abitanti e luoghi hanno nomi tra il tedesco e l’operettistico. Non dev’essere lontano dalla Germania, perché c’è un treno che, diretto a Dresda (partendo da non si sa bene dove), ferma a Zenda. O forse a Strelsau. O in entrambi i posti, a dire il vero. Comunque, uno stato mitteleuropeo con due sole città importanti non può essere enorme.

Sono certa che Anthony Hope si è divertito un mondo a creare la Ruritania, e con lui tutti i suoi imitatori ed epigoni. E predecessori, se vogliamo, perché quello di creare stati immaginari è uno sport vecchiotto. Vogliamo citare Utopia di More, che prima di significare quello che intendiamo adesso era un posto immaginario? Vogliamo citare Lilliput, Brobdingnag, Laputa* e Houyhnhnms? Ah sì, e c’è anche Lindalino. Swift faceva della satira, e More… dite quello che volete, io sulla santità, e le intenzioni, e la santità delle intenzioni di Thomas More non finirò mai di avere dei dubbi. Comunque anche lui si era inventato il suo stato immaginario.

Altro caso famoso: Charlotte, Emily, Branwell e Anne Bronte, da piccoli si erano inventati due stati, Angria e Gondal – più o meno colonie inglesi angria.jpgin un’Africa immaginaria, in cui ambientavano ogni genere di avventure. Ciascuno aveva i suoi personaggi, e c’erano guerre, esplorazioni, colpi di stato, matrimoni dinastici, elezioni, missioni diplomatiche… La cosa curiosa (e poco risaputa) è che tutta la poesia di Emily, e molti personaggi della produzione adulta di tutte le sorelle, originano da questi giochi. Ancora più bizzarro e incantevole è l’episodio di un viaggio in treno a York, nel corso del quale una Emily ventisettenne e una Anne venticinquenne giocano ad essere due principesse di Gondal in fuga da una rivoluzione… 

Poi mi viene in mente un giallo di Mary Roberts Rinehart (l’Agatha Christie americana, secondo alcuni…), chiamato Lunga vita al Re!, con tanto di punto esclamativo: stato simil-tedesco con elementi slavi, erede al trono di otto anni, congiure, matrimoni dinastici e tutto, ma proprio tutto, il repertorio. 

Ancora: non ricordo più chi fosse, purtroppo, ma ricordo di avere letto nelle memorie di uno scrittore (direi un Francese, ma non posso giurare…) che da piccolo disegnava francobolli di stati immaginari. Ne aveva un’intera collezione, album su album. E siccome i francobolli commemoravano eventi storici, annessioni, incoronazioni, guerre, vittorie, trattati di pace, nascite e morti di personaggi illustri, scoperte scientifiche e via dicendo, in definitiva che cosa aveva creato questo ragazzino (e futuro scrittore), se non una serie di stati immaginari?

aigle.jpgL’Aquila a Due Teste, di Jean Cocteau, si svolge in una pseudo-Austria immaginaria e piccina, dove una Regina (à la Sissi), vedovata per mano degli anarchici, s’innamora di un giovane rivoluzionario che poi l’accoltella e si accoltella… Personalmente ho sempre trovato Jean Marais in calzoncini di camoscio lievemente ridicolo, ma non è questo il punto. Il punto è che Jean Cocteau non era al di sopra di un po’ di Ruritania glorificata in salsa tragica.

E se è per questo, nemmeno Nabokov lo era del tutto: il suo non notissimo Pale Fire ha un protagonista che si crede (?) il re in esilio di un regno lontano, là su nel nord, detronizzato da una rivoluzione sovieticheggiante…

E se volessimo continuare, potremmo citare parecchi autori dallo specializzato (come G. B. McCutcheon) all’improbabile (Andre Norton), passando per Frances H. Burnett. E potremmo citare anche parodie come Le Armi E L’Uomo di Shaw**, Topolino Sosia di Re Sorcio o vari film di Peter Sellers, primo tra tutti Il Ruggito Del Topo.

La scoperta recente, invece, è che il genere è tutt’altro che defunto. È appena uscito in Australia un romanzo per ragazzi intitolato A brief history of Montmaray, in cui Montmaray è un minuscolo regno immaginario, su un’isola posizionata in modo tale da poter risentire degli effetti delle due guerre mondiali. Non ne so molto di più, se non che i protagonisti sono principi e principesse della casa regnante, e quindi siamo in pieno ruritarian romance.

Senz’ombra di dubbio, l’ambientazione immaginaria permette una maggiore libertà sotto molti punti di vista. The sainted More (come lo chiama con un filo di sarcasmo Josephine Tey, nel suo bellissimo Figlia del Tempo), faceva di Utopia una critica molto amara dello stato delle cose al suo tempo; Swift, si è già detto, faceva della satira; i piccoli Bronte potevano far vivere ai loro eroi ogni genere di avventura negli spazi sconfinati di Angria e Gondal; Nabokov esplorava il labile confine tra capacità d’ingannarsi e incapacità di distinguere realtà e immaginazione. Hope, Stevenson, Mary Rinehart, e tutti i Ruritaniani di ogni epoca potevano ambientare in questi staterelli vicende pittoresche e romantiche e allegramente anacronistiche. Ma non credo che sia tutto qui.

817220.jpg J.R.R. Tolkien, che di stati immaginari sapeva qualcosa (della sua Terra di Mezzo aveva calcolato persino le fasi lunari…) definiva questa tendenza di tanti scrittori come “complesso della subcreazione”. Lo scrittore, in definitiva, è un creatore di mondi in seconda. Non è proprio come Dio, all’interno delle sue creazioni, perché lo scrittore è limitato dalle leggi interne di coerenza narrativa del mondo che ha creato, ma ci va vicino. E più la creazione è dettagliata e precisa, maggiore è la soddisfazione del creatore. Maggiore è il suo senso di onnipotenza, immagino. E questo mi porta a citare un caso cinematografico tratto da una storia vera: la Borovnia dell’inquietante Creature del Cielo, di Peter Jackson, che parrebbe mostrare come immaginare staterelli non sia sempre il più sano dei passatempi.

Ciò detto (e forse non sarebbe il paragrafo migliore per ammetterlo), confession time: ce l’ho anch’io, il mio stato immaginario. Oh, va bene, ne ho più d’uno, tutti con i loro guai, ma il mio prediletto, quello che per parte della sua storia è stato anche in Europa ed è dunque più ruritaniano di altri, è il Bishopstein. “Per parte della sua storia”, e non parte della sua Storia, perché tecnicamente ci sono due Bishopstein, quello che sta da un’altra parte, e quello mitteleuropeo, evolutosi dai territori di un Principe Vescovo (ma va’?), ingranditosi e rimpicciolitosi, passato da marca a signoria, a granducato, a repubblica, a regno, a repubblica ancora e poi sparito con la I Guerra Mondiale… Giusto perché si sappia quanto sono malata, dirò anche che il Bishopstein ha avuto sovrani di ben tre dinastie diverse, ha un secolare conflitto interno tra elemento tedesco ed elemento slavo, e persino un inno nazionale, composto nel 1848***.

E perché ho creato il Bishopstein? Perché potevo ambientarci qualsiasi cosa mi passasse per la testa, perché potevo manipolare la storia e servirmene a fini narrativi, perché potevo avere colpi di stato e rivoluzioni to my heart’s content, perché potevo passare pomeriggi interi a redigere cronologie di sovrani, pessimi versi per l’inno, rapporti diplomatici di ambasciatori di varia provenienza… potevo fare tutto questo invece di studiare Diritto Pubblico Comparato, ed era glorioso!

 E quindi posso dirlo con cognizione di causa: la Ruritanite è una malattia certificabile, cronica e invalidante.

Chiudo con un link del tutto dissennato. Non avevo idea che ci fosse gente che passa il suo tempo a censire stati immaginari in letteratura, e a ordinarli alfabeticamente, ma ho come l’impressione che non dovrei stupirmene troppissimo…

E voi? Suvvia, non siate timidi: sono certa che qualcuno, prima o poi, ha scritto, disegnato o altrimenti messo insieme qualche stato immaginario. And, failing that, quali sono i vostri stati immaginari prediletti in letteratura?

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* Er… sì. E no, non lo so.

** Arms And The Man, in realtà, è ambientato in Bulgaria – e quindi tecnicamente non sarebbe ruritania – ma anche la lettura più distratta basta a notare che si tratta di una Bulgaria largamente immaginaria. Aggiungete poi l’irriverente rilettura dell’Eneide che fa da ossatura al tutto, e saremo tutti d’accordo che non occorre prendere l’ambientazione troppo sul serio.

*** Per essere del tutto sinceri, la musica è una lieve variazione di un tema preso da “La Peregrina”, il ballettone Grand-Opéra del Don Carlos di Verdi, ma tanto fa lo stesso, perché nessuno esegue mai La Peregrina…

Libri Che Non Ci Sono I

Di Libri Che Non Ci Sono ne esistono parecchi tipi – uno tra tutti sono i libri fittizi citati in altri libri. Gli scrittori si divertono un mondo a fare queste cose: creare intere biblioteche inesistenti non per beffa o per divertimento, ma a scopi narrativi di vario genere.

Elizabeth Kostova e Rodney Bolt, per citarne un paio, hanno creato per i loro libri interi apparati bibliografici. O forse non proprio interi, perché parte delle fonti citate sono reali, cosicché quando leggerete di un Sisyphus di San Tommaso d’Aquino o de La Tortura Disposta dall’Imperatore per il Bene del Popolo di Anna Comnena, resterete abbastanza a lungo a domandarvi se questo sia vero… L’intento della Kostova era quello di creare questo genere d’incertezza nel lettore, mentre Bolt intendeva parodiare la prosa accademica e al tempo stesso scrivere un romanzo marloviano da non prendersi troppo sul serio.

Parlando di parodie, l’elenco dei libri dell’Abbazia di S.Vittore di Rabélais (padre del genere) e le letture del Tristram Shandy di Sterne satireggiano chiaramente l’erudizione delle rispettive epoche. Come altro considerare A Treatise on Midwifery del Dr. Slop o i Dramatic Sermons attribuiti a tale Parson Yorick? Ma non è soltanto il mondo accademico a fare da bersaglio a questo genere di strali – basta pensare a The Almshouse, che Trollope attribuisce a Mr. Popular Sentiment, acida caricatura di Dickens in The Warden.

Altri autori creano letterature, mitologie e manuali scientifici per dare profondità e spessore ai mondi che creano. E’ il caso di Tolkien e dei complicatissimi miti della Terra di Mezzo; è il caso della biblioteca di Tumnus ne Le Cronache di Narnia; è il caso dell’Encyclopedia Galactica citata da Aasimov nella serie della Fondazione; è e non è il caso con i libri citati nella Guida alla Galassia per Autostoppisti, i cui titoli sono decisamente più tongue-in-cheek  (Altre Cinquantatre Cose da Fare a Gravità Zero), ad eccezione di un’altra Encyclopedia Galactica, citazione aasimoviana.

Una variante di questo è costituita dal caso Dune, in cui si citano opere che in parte ricoprono lo stesso ruolo di metalegittimazione culturale nella finzione (orrore orror!), e in parte sono scritte da personaggi della storia. La Principessa Irulan sembra essere un’autrice particolarmente prolifica. Rientrano sotto questa categoria anche i libri scritti da Thursday Next e dal Gatto dell’ex-Cheshire secondo Jasper fforde. Qualcosa del genere – ma sottilmente diverso – fa A.S. Byatt in Possession: i libri, le poesie e le lettere di Ash e Christabel servono da due lati come espediente narrativo (narrano la vicenda ottocentesca e collegano i due piani temporali), e da un terzo lato stabiliscono entrambi i personaggi come intellettuali e poeti vittoriani – autori fittizi in un mondo reale, ciascuno provvisto del proprio corpus di opere.

Il che ci porta a un’altra funzione ancora dei libri fittizi: una carriera per il personaggio-scrittore. Evadne Oliver nei romanzi di Agatha Christie (e, sorridete pure, Mrs. Oliver ha scritto anche Assassinio sull’Orient Express); il Professor Humbert in Lolita, o Hodinski/Hodyna inel semi-ruritaniano Pale Fire; Stephen Maturin nei romanzi di O’Brian; e lo sapevate che sia Holmes che Watson erano autori pluripubblicati?

In altri casi il libro fittizio, più che con i suoi personaggi, ha a che fare con il libro reale, di cui diventa struttura e ragione narrativa. Ficciones, di Borges, è una raccolta di racconti, alcuni dei quali sono recensioni di libri inesistenti, mentre Inkheart, di Cornelia Funke, è incentrato completamente sull’eponimo romanzo fantasy di un autore italiano che non è Beppe Fenoglio. The Shape of Things to Come, di Orwell, finge di essere un libro di testo del 2106, con tanto di note, parte reali e parte fittizie. E qui mi ci metto anch’io, perché il mio Gl’Insorti di Strada Nuova è un metaromanzo di questo tipo, in cui ogni capitolo è costituito dalle reazioni di un lettore diverso alla lettura di un capitolo di un romanzo storico fittizio… lo so, ho una mente contorta – ma vedete bene che sono in buona compagnia.