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Il Risorgimento Narrato Ai Fanciulli

ts954v5-101.jpg“Hai qualche romanzo per ragazzi sul Risorgimento da consigliarmi per la prole?” mi domanda D., la cui prole, dopo una visita al Museo del Risorgimento di Torino, ha manifestato la lodevole intenzione di leggere in proposito durante l’estate…

E io rimugino, e vado a ripescare letture d’infanzia e bibliografie di vecchi progetti, e constato che in effetti c’è una certa quantità di narrativa storica per fanciulli a sfondo risorgimentale, romanzi e non romanzi che, a partire dal famigerato Cuore fino alla (in realtà limitata) recrudescenza anniversaria del 2011, si preoccupano di narrare ai pargoli l’intera epoca o un fatto particolare in termini accattivanti. E proprio questo è il punto – accattivanti: è evidentissimo che, nel corso degli anni, ciò che è cambiato è il concetto di quale particolare ingrediente dovesse rendere la storia appetibile per i lettori implumi.Cuore

Partiamo da De Amicis, che nel 1889 inserisce nella sua cronaca di un anno scolastico una serie di “racconti mensili”, storie edificanti da cui ci si aspetta che il fanciullo tragga esempio. Personalmente trovo che Cuore sia il genere di letteratura che andrebbe proibito ai diabetici per eccesso di zucchero – e davvero non lo consiglio alla prole di D. – ma non posso negare che le due figure risorgimentali presenti, il Tamburino Sardo e, ancor di più, la Piccola Vedetta Lombarda, siano entrati nell’immaginario popolare con la prepotenza dell’oleografia ben riuscita. O almeno ci erano entrati e ci sono saldamente rimasti per generazioni, incollati lì con il ricatto sentimental-emotivo, che in queste cose è molto più efficace del bostik. Si parla di ragazzini semplici e coraggiosi, vivaci, svegli, di buon cuore. Sono patriottici per sentimento e per istinto, perché sentono nel loro cuore che l’Italia è cosa buona e giusta. Vale la pena di lasciarci le penne anche a non sapere troppo bene che cosa sia.

51swy6IrQgLI bambini di Olga Visentini, diversi decenni più tardi, sono piccoli patrioti più consapevoli, si direbbe: per sentimento, per tradizione famigliare e per melassa, sembrano tutti possedere una preternaturale lungimiranza storica. Detestano i Tedeschi oppressori e combattono perché vogliono l’Italia unita… La Visentini, prolificissima autrice per bambini, per il Centenario del 1961 produsse tutta una serie di storie, libri e racconti accomunati da una visione edulcorata e favolistica dei fatti risorgimentali. Ragazzi del Risorgimento è una raccolta di bozzetti biografici di piccoli eroi più o meno conosciuti. Si va dall’infanzia di Mazzini e Garibaldi ai Martinitt delle Cinque Giornate, dalla figlioletta di Finzi al piccolo amico muto di Pellico allo Spielberg, passando per i tamburini di Garibaldi e una piccola straccivendola mantovana. Tutti questi bambini sono buonissimi, coraggiosissimi, fierissimi, prontissimi al sacrificio – e sempre bellissimi. Notatelo questo. Anche la PVL di De Amicis era un bellissimo bambino, ma qui la faccenda si fa più evidente, perché di bambini ne vediamo tanti, e tanto quelli quanto i cospiratori son sempre bella gente dai grandi occhi luminosi e ispirati, volti angelici, portamento fiero, voce musicale… In un tripudio di kaloskaiagathos, se c’è qualcuno di brutto state pur certo che è un bieco oppressore! Le cose vanno, se possibile, ancor peggio con Chiardiluna, romanzo in cui due fratellini brianzoli, figli di un medico cospiratore, fuggono a Milano giusto in tempo per le Cinque Giornate, incocciando in una rete di cospiratori, in una contessina paralitica che, pur figlia di un segretario dell’Arciduca Ranieri, dirige di nascosto una specie di rete di soccorso per i patrioti incarcerati. E’ una di quelle storie in cui i salvataggi avvengono all’ultimo minuto, i contatti si prendono ai balli mascherati, i messaggi sono nascosti sotto piccoli paesaggi dipinti da sciogliere con l’acido e nessuno capisce bene come succedano le cose… Anche qui i Buoni sono angelicamente generosi, coraggiosi e belli, mentre i Malvagi sono proprio malvagissimi, oltre che brutti. Ma la cosa peggiore, forse, è che il romanzo finisce con il Tricolore issato sul Duomo, le campane che suonano a festa e Milano liberata. Non è proprio così che finisce la storia? Gli Austriaci tornano in forze e Radetzky reprime con una certa qual energia? Fa niente, o Fanciulli: di quello non occorre che vi preoccupiate.Angelo Nero

Un po’ meglio va con Maria Rosaria Berardi che, nel 1968, pubblica Angelo Nero, altro romanzo milanese, ma ambientato nel 1820. Gabriele, piccolo spazzacamino giunto dal Lago di Como, mentre cerca notizie di suo padre si ritrova nel bel mezzo della cospirazione dei Federati di Confalonieri, Porro e compagnia. Diventerà la loro staffetta, ritroverà il babbo e tornerà a casa. Qui a essere bellissimi non sono tanto i bambini, quanto i cospiratori, presentati come esseri meravigliosi e nobilissimi, e se gli oppressori sono malvagi, c’è tuttavia tra loro qualche genere di distinzione. Ci sono guardie bonarie anche tra gli Austriaci, il padrone milanese di Gabriele è crudele senza essere un amico degli Austriaci, e il governatore Conte di Strassoldo è disgustato dai metodi dell’Attuario di Polizia Bolza. Tra l’altro, non tutto va a finire in gloria: Gabriele torna a casa maturato dalle sue avventure, e dalla consapevolezza che i suoi amici sono finiti per lo più in carcere.

"Stai barando, Clarina?" Essì. Non trovo una singola immagine della copertina...

“Stai barando, Clarina?” Essì. Non trovo una singola immagine della copertina…

Le cose paiono continuare ad evolversi con gli Anni Ottanta. I Cannoni di Venezia, di Lino Piccolboni, racconta l’assedio e la caduta di Venezia del 1849 in tono molto più disincantato. Vero, il protagonista Marco Oliboni è più adulto e più consapevole, ma l’autore non risparmia a lui e ai lettori nulla delle tragedie e delle amarezze della sconfitta. Marco parte per un’avventura e torna avendo visto cadere la città, morire il suo migliore amico e appassire molti ideali. Piccolboni canta con molto affetto l’eroismo dei Veneziani, dei Napoletani e dei Piemontesi che difendono una causa già perduta, ma non rifugge dalle realtà più dure della vicenda.Venezia 1849

Qualche anno più tardi, Laura Guidi riprende essenzialmente la stessa storia in Venezia 1849, incentrando però la trama su due protagonisti dodicenni, il nobile Marco e il popolano Zuanin, che iniziano la loro avventura al servizio della Serenissima con l’incoscienza dell’infanzia, ma maturano di fronte al pericolo e alla sofferenza. Come Piccolboni, la Guidi scrive per i ragazzini delle scuole medie e, come lui, sembra avere cambiato radicalmente atteggiamento rispetto a una Olga Visentini: nessuno dei due cerca più di contrabbandare ai giovanissimi lettori il Risorgimento per la favola che non fu.

LeviEra una buona e lodevole evoluzione, ma nel 2002 troviamo una specie d’inversione – almeno parziale – con il pur grazioso Un Garibaldino di nome Chiara, di Lia Levi. E’ chiaro che il politically correct si è fatto strada nel frattempo, e bisogna dare spazio alle bambine. E non basta più nemmeno, come faceva la Visentini, metterle a ricamare, dolci e coraggiose, o a dipingere o ad assistere trepidanti mentre i ragazzini combattevano. La mia omonima del titolo, a undici anni, si aggrega ai Mille, vestita da maschio ma neppure troppo di nascosto, visto che è il padre capitano dei Cacciatori a portarsela dietro. Chiara/Corrado non combatte veramente (la Levi affida il punto di vista delle battaglie al quattordicenne Simone mentre la fanciullina resta nelle retrovie), ma resta un personaggio anacronistico sotto l’egida dell’anticonvenzionalità – sua e della famiglia – questo orribile esantema che sembra risparmiare ormai ben poca narrativa per fanciulli.

Insomma, non è che non si trovino buoni libri in materia, ma bisogna cercare con cura, in uno slalom faticoso tra retorica, zucchero, melassa e anacronismi psicologici. E non sono affatto sicura che le buone intenzioni degli Anni Ottanta siano state raccolte in tempi più recenti, alas.

Lord Jim Propinato Ai Fanciulli

lord jim,fabbri,narrativa per ragazzi,joseph conradQuando ho scoperto che c’era questa edizione italiana di Lord Jim in una collana per ragazzi – età consigliata dai dieci anni in su, non ho avuto pace finché non ci ho messo sopra le mani.

Ma come, dieci anni? mi domandavo incredula. Dieci? E me lo domandavo perché, leggendolo per la prima volta alla più matura età di sedici, l’avevo trovato duro. Me ne sono anche innamorata, ed è stata una lettura fondamentale, ma benedetto cielo quanto ci sono stata male. E questi, mi chiedevo, lo propongono agl’implumi decenni?

Sarà abbreviato, mi dicevo, mentre esaminavo gli scaffali della sala-fanciulli alla biblioteca Baratta. Sarà abbreviato, tagliuzzato, sfrondato, sanitizzato… E rabbrividivo un po’, e ci ho anche messo il mio tempo, perché cercavo un libretto alto un dito, due dita – che poteva essere, per farlo leggere ai decenni?

E invece poi l’occhio mi è caduto su un tomo spesso tre dita. Possibile?

Joseph Conrad. Lord Jim. Fabbri – I Delfini. Classici. Da dieci anni.

Sarà stampato in grande, mi son detta, estraendo il libro dallo scaffale. E avrà un sacco di apparato, di note, di…

E invece è stampato a caratteri del tutto normali, e di apparato non c’è nemmeno l’ombra. Non una nota, non un’introduzione, non una prefazione. Ci sono, è vero, la celebre Nota dell’Autore all’edizione 1917 e, in fondo, quattro paginette di postfazione in corsivo, di Antonio Faeti, ma… possibile?

Eppure, così a prima vista, la traduzione di Alessandro Gallone sembrava proprio integrale. Possibile?

Sconcertata anzichenò, me ne sono tornata in zona adulti con il mio ritrovamento, e mi sono messa a leggere. La Nota dell’Autore la conosco pressoché a memoria – e francamente, con la sardonica risposta alle accuse d’implausibilità e la discussione su che cosa sia o non sia morboso, non mi pare nulla che possa attrarre un bambino di dieci anni. Così ho cominciato dalla postfazione di Faeti, l’unica parte di questo volume che potesse davvero essere diretta a un pubblico decenne.

E Faeti apre le danze spiegandoci come, a chi consideri l’avventura semplicistica o diseducativa, si possa rispondere citando il nome di Joseph Conrad, nei cui romanzi “esistenze tormentate e contraddittorie si trascinano entro scenari che sono attraversati da brividi e lambiti da delizie.” Hm. Poi prosegue con le “fangose stradine dell’abiezione”, i “porti ove si compiono nequizie” e ci promette un “tortuoso, affascinante percorso” in un racconto che “si frammenta, si colloca nell’oralità appassionata di Marlow, si nutre di tracce, si specifica secondo linee molto intricate.” Dite la verità: se aveste dieci anni, non vedreste l’ora, vero? Per fortuna è una postfazione…

E a dire il vero, qualche obiezione alla postfazione ce l’ho anche da adulta, per la patina di politically correct e per una certa confusa altisonanza*, ma in tutta probabilità si tratta di peeves personali. Forse la postfazione non avrebbe poi troppo di male, se non fosse affissa, come unico scampolo di apparato, a un’edizione per ragazzini…

Ma il fatto è che ho serie obiezioni a tutta l’operazione, compresa la traduzione di Alessandro Gallone. Confesso di non averne letto granché, ma aprire a pagina 568 in cerca del finale, e scoprire che Doramin spara e colpisce “in pieno petto il figlio dell’amico morto”, non me ne ha fatto concepire un’opinione straordinariamente elevata. Magari questa non è colpa di Gallone, magari è un altro dei (non infrequentissimi) errori di stumpa, ma resta il fatto che Jim è l’amico del figlio morto di Doramin – not the other way round.

D’altronde, non credo che molti dieci- undici- o dodicenni arriveranno a pagina 568, quelli che ci arriveranno saranno troppo confusi e annoiati per preoccuparsi davvero di chi sia figlio o amico di chi. Confusi e annoiati, perché Marlow narra nella meno lineare delle maniere, divaga, considera, specula e rimugina e rimescola le carte in continuazione. Perché il linguaggio è una rete di complessità stratificate. Perché l’amarezza disperata della storia Perché l’avventura vera e propria, quella di Patusan, arriva dopo trecento pagine di tormenti, inchieste, divagazioni sulla natura umana, nottate di attesa, ripensamenti e dubbi. Perché, sperabilmente, pochi bambini sanno identificarsi con questo rimorso angoscioso e questa ossessione di riscatto – per non parlare dell’amarissimo finale. 

E allora, che avrebbe dovuto fare Fabbri? Abbreviare, tagliuzzare, sfrondare, sanitizzare? Perish the thought. Quanta gente conoscete che, venti, trenta, quarant’anni dopo avere letto un adattamento siffatto, è ancora convinta di avere letto il libro in questione? Quante volte avete concepito un’avversione per un autore sulla base di un adattamento siffatto?

Perché, credo, ci si deve arrendere all’idea che ci sono libri del tutto inadatti ai bambini – anche se sono classici, anche se ci sono le navi e la jungla e i pirati. Volendo far leggere Lord Jim a un implume preadolescente, le possibilità sono due soltanto: propinargli una versione annacquata e predigerita, spogliata dell’angoscia e della vertiginosa complessità narrativa, oppure accollargli un’infelicità di noia e incomprensione. Nel primo caso si perderà tutta la bellezza del romanzo (o, quanto meno, la possibilità di trovarci della bellezza), e nel secondo è estremamente probabile che concepisca un’avversione per il libro e per il suo autore. Nella peggiore delle ipotesi, con l’aiuto della prefazione, potrebbe persino giungere alla conclusione che, quando è ricca, complessa e profonda, l’avventura sia pallosissima. E non so a voi, ma a me pare che nulla di tutto ciò prometta bene per il futuro di lettore del fanciullo.

E allora, che avrebbe dovuto fare Fabbri con LJ? If you ask me, assolutamente nulla. Avrebbe dovuto lasciare che i bambini crescessero con Salgari, e conservare Conrad per gli adulti – o almeno per gli adolescenti – equipaggiati per apprezzare una storia così intensa, desolata e complessa.

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* Non conoscessi bene la trama, dalla postfazione mi farei l’idea che qualcuno chiami Jim con la versione inglese ed eponima del suo aristocratico sobriquet prima di Patusan – mentre la faccenda è significativamente diversa.