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Mar 2, 2016 - Vitarelle e Rotelle    2 Comments

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Ho fatto leggere il mio romanzo a un’amica, e lei mi ha detto, in mezzo ad altre cose, che parla di una cosa sola. Ok, le ho detto, è una cosa buona. Invece salta fuori che lei non voleva lodare la mia bella storia coerente, ma dire che è un po’ smunta, un po’ pochina. Io le ho tirato dietro un cuscino, però adesso mi viene da pensare, perché mi sono sforzata proprio tanto di tenere la mia storia lineare, di focalizzarmi sulla mia trama, di non confondere il lettore, e invece sta’ a vedere che ho sbagliato tutto?

Onegin1Well… Dipende. Dipende da un sacco di cose – tra cui le dimensioni della storia. In un racconto, soprattutto un racconto breve, concentrare tutto attorno a un’idea tende ad essere una scelta saggia. Ma qui parliamo di un romanzo, giusto? E allora forse per un romanzo una singola idea rischia di avere il fiato corto. Il che non significa assolutamente confondere il lettore, ammassare temi e sottotrame come se piovesse, infilarci dentro tutto tranne il secchiaio di cucina…

Quel che intendo è diverso – e mi viene in mente in proposito una discussione, tanto tempo fa, a proposito dell’Evgeni Onegin. Si usciva da un teatro dopo avere visto l’opera di Tchaikovskji d’après Pushkin, e si discuteva se si tratti o meno di una storia di presunzione punita.

Sì, naturalmente, perché Evgeni – per ennui o poco meglio – rifiuta con supponenza l’amore della giovane e ingenua Tatjana quando la conosce in campagna, ma poi, ritrovandola maturata, raffinata e principessa a Mosca, è lui a innamorarsi e lei a rifiutarlo. Evgeni capisce troppo tardi che sono proprio le qualità della ragazzina di campagna a fargli amare la principessa, ma lei adesso è la moglie leale di un altro uomo. Per cui sì: lui si credeva molto dappiù, ed è punito proprio quando si rende conto del suo errore.

E tuttavia l’Onegin è anche una storia d’amore, anzi, più d’una considerando anche Olga e Lenskij; ed è anche una storia di amicizia (Evgeni e Lenskij), di rimorso, di peso delle convenzioni sociali, di rinuncia, di maturazione, di occasioni perdute…

Le buone storie tendono a non essere mai storie di una cosa sola. La complessità che fa di una storia un piccolo mondo nasce dalla stratificazione di temi diversi e correlati, dall’incrociarsi e intralciarsi – vicendevole e più o meno volontario – degli scopi contrastanti di diversi personaggi, e dal modo in cui ciascun aspetto illumina o modifica parzialmente gli altri.Onegin3

Il povero Lenskij è un poeta e sogna un idillio campagnolo con Olga, la sorella allegra di Tatjana. Nel primo atto Evgeni non sa troppo bene che cosa vuole, ma la sua annoiata vaghezza di propositi finirà per scontrarsi tragicamente con il sogno di Lenskij. Tatjana, considerata una specie d’intellettuale da amici e vicini, appare ad Evgeni come il prototipo della piccola provinciale cresciuta a romanzi. Il fatto che Evgeni incarni l’uomo ideale che Tatjana ha atteso e sognato rende ancora più amaro il gelido rifiuto di lui… E via dicendo, in un continuo intersecarsi di prospettive. Ed è questo che fa dell’Onegin una buona, soddisfacente, ricca e commovente storia.

Non tutte le storie complesse sono necessariamente belle, ma di sicuro una storia di cui, alla domanda “di che cosa parla?” si può rispondere con una parola soltanto, faticherà molto di più a catturare il cuore del lettore – e a tenerlo prigioniero per due o trecento pagine.

Gen 10, 2011 - libri, libri e libri    11 Comments

In Guardia, Signore!

In questo articolo Duncan Noble fa dello spirito, ma in realtà il duello è un pittoresco e usatissimo device – non solo nei romanzi storici, e per ottimi motivi. Il duello non è soltanto un sistema di violenza ritualizzata – de facto una forma socialmente accettabile (o quanto meno tollerata) di omicidio – ma è anche inquadrato in una serie di convenzioni che rendono praticamente impossibile sottrarvisi, perché lo stigma sociale associato al disonore è più forte di quello associato all’omicidio. Non c’è che dire, una struttura del genere offre possibilità narrative illimitate.Scaramouche.jpg

Lo sapeva bene Rafael Sabatini, che di duelli ne metteva ovunque e in abbondanza… certo, scrivendo cappa&spada un’abbondante dose di singolar tenzoni è de rigueur, ma scriverne così tanti con qualche parvenza di varietà è già di per sé una piccola impresa. Scaramouche, forse il più conosciuto dei suoi (numerosissimi) romanzi è l’esempio tipico dello schema descritto da Noble: il Protagonista si trova a malpartito duellando goffamente con l’abilissimo e titolato Malvagio; tra un’avventura e l’altra il protagonista prende lezioni di scherma dall’equivalente tardo-settecentesco di un maestro jedi; il protagonista affronta il malvagio in un nuovo duello e, forte della sua nuova superiorità, lo sconfigge – vendicando nel contempo il suo fraterno amico, slealmente ucciso dal Malvagio a pag. 12. Il fatto che il secondo duello si concluda con un’agnizione non disturba affatto nel rendere Scaramouche un classico del suo genere.

RupertVSRassendyll.jpgChe i duelli, come le disgrazie, non vengano mai da soli è una costante: guardate Clarissa, tragico romanzone settecentesco di Richardson, la cui trama viene messa in moto dallo scosiderato duello tra il fratello della protagonista e il malvagio e fascinoso Lovelace, e si conclude con un (insolito) suicidio per mezzo di duello, in cui Lovelace, pentito e in cerca di espiazione, si fa deliberatamente uccidere dal suo avversario. Oppure considerate Il Prigioniero di Zenda, in cui il buon Rudolph e il malvagio Rupert duellano ripetutamente, a parole e in punta di spada, fino all’incontro fatale nel penultimo capitolo del seguito. Ne I Fratelli Corsi, Lucien piomba a Parigi per battersi e vendicare il fratello ucciso in duello, e le due occasioni incorniciano una storia turistico-goticheggiante, che spazia tra la Corsica selvaggia e il preternaturale legame tra gemelli. Versioni meno drastiche si trovano ad ogni passo in Georgette Heyer – per esempio in Patch and Powder, i cui due duelli parentetici inquadrano la trasformazione del giovane Philip da ragazzotto di campagna a gentiluomo di mondo. Anche per D’Artagnan, ne I Tre Moschettieri, si può dire che i duelli siano una prova iniziatica, visto che in una mattinata riesce a raccogliere una sfida da ciascuno dei suoi futuri inseparabili amici – e risolverà l’impasse da conflitto d’interessi unendosi al terzetto in una sorta di duello collettivo contro le guardie del Cardinale. La dimensione iperbolica e la moltiplicazione al cubo sono così tipicamente, allegramente dumasiane che quasi non vale la pena di parlarne, ma si può confrontare con The Jewel di Thomas Urquhart, il cui protagonista Crichtoun comincia la sua carriera italiana liberando Venezia da un micidiale duellatore di professione, e la conclude – o meglio se la trova drasticamente conclusa – in un improbabile duello uno-contro-dieci in un vicolo buio a Mantova.

Non è poi detto che i duelli debbano essere due: Sigognac, ovvero Capitan Fracassa, diventa uno spadaccino formidabile perché non ha altro da fare che allenarsi, e la sua abilità gli salva la vita numerose volte nel corso del romanzo. I protagonisti de Il Duello di Conrad, addirittura passano le rispettive carriere napoleoniche e post-napoleoniche a duellare ogni volta che le loro strade s’incrociano, ma Conrad essendo Conrad, lo schema è molto diverso.

dickensduel.jpgLa costante è meno certa al di fuori del romanzo di genere, se vogliamo. Il Barry Lindon di Thackeray inizia le sue vicissitudini con un duello, mentre i fratelli Durie concludono in punta di spada la loro ventennale discordia nell’ultimo capitolo de Il Signore di Ballantrae, così come Sir John Chester e Sir William Haredale in Barnaby Rudge. In Ragione e Sentimento si duella offstage, ma non c’è nulla di romantico o pittoresco: quando il Colonnello Brandon sfida Willoughby non è per amore di Marianne ma per un’altra faccenda più sordida, e le Dashwood reagiscono con inorridito sconcerto.

Gente come Alan Breck Stewart e Cyrano de Bergerac, duella serialmente e con ppassione, ma qui occorre forse distinguere fra agguati e battaglie da una parte, e dall’altra il duello propriamente detto e fortemente ritualizzato: tutti conosciamo particolari come il guanto di sfida, la convocazione dei secondi, la scelta delle armi che spetta all’offeso, la presenza del chirurgo, l’incontro all’alba in luogo deserto, l’offerta di riconciliazione, i dieci passi… L’intera faccenda era minutissimamente regolata da codici scritti e usanze non scritte: ci si uccideva in buona forma, e non rispettare le regole era disdicevole quanto non onorare una sfida.

Chi sembra ossessionato dai duelli, e non certo con la pittoresca allegria di un Dumas o di uno Hope,Onegin_by_Repin.jpg sono i Russi. In Guerra e Pace Pierre duella con Dolokhov, in Padri e Figli ci sono Kirsanov e Bazarov (e Turgenev ha al suo attivo anche il racconto I Duellanti), ne Il Duello di Chekhov Laevskij e Von Koren ne fanno un pasticcio, mentre Evgeni Onegin uccide in un duello alla pistola il suo amico Lenskij… Pushkin, d’altronde, infila duelli un po’ ovunque: La Figlia del Capitano, Il Prigioniero del Caucaso, Lo Sparo, Il Convitato di Pietra… nessuno si stupì troppo quando lui stesso morì in duello*.

Il che ci porta a distinguere rapidamente tra duello all’arma bianca (al primo o all’ultimo sangue) e duello alla pistola, nel quale ogni tanto qualcuno scarica nobilmente in aria – a volte con risultati imprevisti: l’eponimo Flashman ottiene del tutto immeritatamente** la stima del Duca di Wellington, mentre ne La Montagna Incantata Settembrini ottiene solo di farsi dare del codardo dall’avversario risparmiato – che comunque procede a suicidarsi. MacDonald Fraser e Thomas Mann erano due scrittori molto diversi.

Tybalt&Romeo.jpgA teatro si duella abbastanza: se gli attori sanno quel che fanno, un po’ di scherma in scena è bella a vedersi, oltre che altamente drammatica. Shakespeare ci dava dentro – citiamo soltanto Amleto e Romeo e Giulietta (che ha a sua volta due duelli focali in rapidissima successione), e in Zastrozzi The Master of Discipline, di Walker, si duella talmente tanto che nei teatri piccoli chiedono al pubblico di non alzarsi mai durante lo spettacolo: si vede che lo spettatore decapitato è cattiva pubblicità***… Però ci vuole cautela: poche cose sono buffe come vedere gente che mena goffamente spade di latta, e un duello mal coreografato può assassinare uno spettacolo. Più sicuri sono i duelli offstage: uno contro cento alla Torre di Nesle, nel Cyrano, Ruy Blas che si libera di Don Sallustio nella stanza accanto per non impressionare troppo la Regina, o il minacciato duello tra Gerald Arbuthnot e Lord Illingworth, scongiurato dalla madre di Gerald che si getta tra i due gridando “Gerald, no: è tuo padre!!!”***

Credo che chiuderò citando anomalie come il duello al coltello di Cavalleria Rusticana, e i maestri d’armi, categoria professionale di riguardo**** cui sono stati dedicati almeno due romanzi – uno di Dumas e uno di Perez Reverte, il cui Capitano Alatriste, d’altronde, è uno spadaccino a pagamento.

Insomma, un buon duello offre ogni genere di possibilità: azione, scontro climatico, un pittoresco sistema di smaltimento personaggi, lutti misti assortiti, compimento di vendetta, motivazione di vendetta, caratterizzazione, sfoggio di dettagliata conoscenza storica in fatto di armi, uso delle stesse, regole, codici d’onore, social mores, eccetera, fattori catalitici o scatenanti, svolte della trama, rivelazioni e agnizioni… Che cosa non si può fare con un duello, accessorio versatile e buono per tutte le stagioni?

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* Capitava: Tolstoj ebbe le sue (non letali) disavventure in materia, così come Mark Twain…

** Flashman non è un bravo ragazzo: paga profumatamente l’armiere per far inceppare la pistola del suo (molto più abile e giustamente offeso) avversario, e quando “scarica in aria” colpisce per caso il tappo di una bottiglia: il Duca ne deduce, sbagliando, che Flashman avrebbe potuto uccidere facilmente il suo aversario e non l’ha fatto.

*** Dunque, Wilde aveva detto (tra molte altre cose) che occorre avere un cuore di pietra per non ridere sulla morte della Piccola Nell dickensiana. Aveva ragione, a mio parere. Tuttavia, dopo la prima di Una Donna Senza Imprtanza, un critico di cui mi sfugge il nome disse che la scena “No, Gerald!” meritava di essere immortalata in litografia a colori a tiratura altissima, ed affissa in ogni angolo di Londra a imperituro ludibrio del suo autore. Aveva ragione anche lui.

**** In Francia, ancora nel Settecento, vent’anni di attività come maestro d’armi conducevano a un titolo nobiliare…