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Dieci Libri Sopravvalutati

In questo post Brian Klems dice che tutti, prima o poi, leggiamo un libro perché amici, famigliari, parenti, stampa and world at large ne parlano con incontenibile entusiasmo. Così leggiamo e… “tutto qui?”

A titolo autobiografico, Klems cita Il Grande Gatsby, cui riconosce a monumental place in the history of American literature – solo che a lui non è piaciuto. Lo giudica inferiore ad altri libri che cita, incluso Il Signore Delle Mosche.

E un po’ più sotto, nei commenti, un lettore confessa di avere avuto un’esperienza simile proprio con Il Signore Delle Mosche: sarà pure un pilastro della letteratura contemporanea, ma a lui non è piaciuto. Dove si vede che il concetto di “libro sopravvalutato” non è meno personale di quello di “brutto libro”. Si può credere di avere treni merci di inoppugnabili ragioni estetiche e tecniche per la propria delusione/disapprovazione, ma ci sarà sempre qualcuno pronto a indignarsi: “ma scherzi? È* un libro bellissimo!”

A parte le disparità di gusto, trovo che intervenga un altro fattore. Chiamatela diffidenza, chiamatelo spirito di contraddizione, chiamatelo scetticismo, ma esiste questo meccanismo di difesa che ci conduce a dubitare – a ragione o a torto – di ciò che ci viene decantato con troppo zelo. L’ultima volta che mi ci sono imbattuta è stato la settimana scorsa, e non si trattava di me. Durante una sessione antelucana di NW cercavo di convincere F. a leggere Lord Jim, e lei mi ha detto che raramente legge qualcosa che le viene suggerito col trasporto che ci stavo mettendo, perché ha imparato che la gente persa come me dietro un libro raramente è obbiettiva nel giudizio. E naturalmente mi sarei morsa la lingua, ma devo ammettere che F. ha ragione e anch’io reagisco come lei: rifiuto pervicacemente e, anche quando cedo, parto così prevenuta che di rado apprezzo – specie se c’è hype mediatica all’opera. E se non c’è hype, ma parto con aspettative troppo alte sulla base del luccichio negli occhi del consigliatore, è ancora peggio. 

Per dire:

1) Il Ritratto Di Dorian Gray. Sì, lo so, è grave – tanto che per anni non ho avuto il coraggio di confessarlo. Ma, giacché ne parliamo, non è che non mi sia piaciuto del tutto, solo che mi aspettavo di esserne impressionata di più. Molto di più. Tipico caso in cui troppe aspettative hanno giocato a sfavore del libro.

2) Siddharta. Letto da giovinetta, cedendo all’entusiasmo delle compagne di liceo. E per fortuna non era il mio primo Hesse, o mi sarei scoraggiata subito, perdendomi romanzi che invece ho amato, come Narciso e Boccadoro, Il Giuoco Delle Perle Di Vetro, L’Ultima Estate Di Klingsor, Demian, Gertrud… Quindi spiegatemi: perché Hesse deve essere identificato automaticamente con una delle sue opere più modeste?

3) Il Vecchio E Il Mare. Non ditemi che non è vero: Hemingway era insuperabile nel costruire romanzi con niente. Niente storia, quasi niente caratterizzazione, niente dialogo, niente ricchezza linguistica… Posso apprezzare the technical feat, ma francamente lo apprezzo di più quando si esaurisce in 6 parole anziché in un libro intero.

4) La Guerra Dei Bottoni. Louis Pérgaud, avete presente? Era uno dei libri prediletti di mio padre, che non ebbe pace finché non riuscì a farmelo leggere. Solo che LGDB a lui ricordava tanto la sua infanzia, e a me no. Noia mortale.

5) Dersu Uzala. Idem come sopra, salvo i ricordi d’infanzia. “È così poetico…” *Yawn*.

6) Barnabo Delle Montagne. E sia ben chiaro: a me Buzzati piace – ma se c’è Il Deserto Dei Tartari, a che serve Barnabo?

7) Il Gabbiano Jonathan Livingstone. Probabilmente I’m even mispelling the name. E non andrò nemmeno a controllare per correggerlo. Gabbianastro. Storia banale fino alle lacrime, grondante saccarina e scritta in modo indifferente. Qualcuno mi spiega perché deve essere considerata una lettura irrinunciabile?

8) Il Piccolo Principe. Chi mi legge da un po’ si stava chiedendo: “e come mai non ci ha ancora messo il PP?” Eccolo qui. Idem come sopra – anche se forse è scritto meglio. Un pochino meglio.

9) Ulisse. I’m of two minds here. Come Klems per Fitzgerald, riconosco lo status di monumento letterario, e in più ammiro la sperimentazione tecnica. Detto questo, non sono riuscita a finirlo, perché mi annoiavo oltre ogni dire. Una volta apprezzata l’originalità, nel giro di una cinquantina di pagine, ero satolla. Non ne volevo più. Non ne potevo più. Credo di aver tirato pagina 100 con le unghie e con i denti, prima di decidere che avevo sparso abbastanza lacrime, sudore e acido gastrico per la causa del flusso di coscienza.

10) Il Pendolo Di Foucault**. Sono certa che Eco si diverte un mondo a scrivere quei ciclopici tomi che traboccano erudizione… ma siamo sinceri: quanti apprezzano davvero Il Pendolo di Foucault? Quanti l’hanno letto davvero tutto senza saltare nemmeno un paragrafo***? E senza chiedersi mai nemmeno una volta quanto ne manca ancora?

E qui mi dovrei fermare ma non posso fare a meno di infilare di soppiatto un numero: 11) tutto Baricco. Baricco non narra nulla. Affastella periodi turgidi e fioriti, tratta il lettore con condiscendenza e, al tempo stesso, gli strizza l’occhio: non siamo gente raffinata e piena d’immaginazione tu e io, O Lettore? Ecco, no.

Quindi direi che per me si tratta di un misto di aspettative troppo elevate, eccesso di zelo altrui e sinceri dubbi di suggestione collettiva.

E voi? Quali libri vi hanno lasciato a chiedervi “tutto qui?” E soprattutto: perché?

 

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* Renzo, se stai leggendo: sei fiero di me? Tutte le È maiuscole accentate giuste, adesso. Ti sarò grata in eterno.

** E qui francamente potete sostituire a piacere con L’Isola Del Giorno Dopo o Baudolino

*** Questo, in realtà, potrebbe valere anche per Il Nome Della Rosa, che non è davvero sopravvalutato, solo implausibilmente popolare.

Gen 4, 2010 - libri, libri e libri    6 Comments

I Terribili Dieci

“Qual è il libro più brutto che hai letto?” chiede F.

La domanda non mi prende tanto alla sprovvista da non poter rispondere, perché ho il vivido ricordo della tormentosa lettura in questione, ma è inconsueta. Di solito la gente ti chiede qual è il tuo libro preferito, non il più brutto che hai letto. Però la faccenda aveva il suo fascino, e ci ho rimuginato su. Per cui, o F., pur essendo passati diversi mesi dalla fatale conversazione, ecco una risposta più ragionata e meno lapidaria: non tanto i più brutti (perché tutto è relativo, anche se credo che un libro brutto sia un libro brutto), ma quelli che ho detestato con maggiore passione.

1. The Admirable Crichton, di W.H. Ainsworth. Qui è dettagliatamente spiegato perché. Adesso mi limiterò a dire che raramente mi è capitato di leggere una simile accozzaglia di incidenti gratuiti e di personaggi privi di qualsiasi personalità. Come facesse a suo tempo Ainsworth a rivaleggiare con Dickens, non lo capirò mai…

2. La Bambinaia Francese, di Bianca Pitzorno. Che posso dire? Gli anacronismi e il politically correct sono due tra le mie allergie più violente, e questo libro è farcito di atroci anacronismi per amore del politically correct… I’ll leave the math to you. Per di più ha la pretesa di bistrattare Jane Eyre.

3. Il Soccombente, di Thomas Bernhard. L’esempio classico di qualcosa che non è un romanzo. E insisto: a pagina 5 sappiamo perché il Soccombente si è suicidato, dopodiché Bernhard si gira attorno senza sosta e senza costrutto visibile… E’ possibile che io sia ossessionata dalla fabula, ma mi piace che i romanzi vadano da qualche parte, grazie.

4. Il Piccolo Principe, di A. de Saint-Exupéry. Sì, lo so: questa è un’eresia grossa, e mi attira sempre occhiate colme di orrore. “Ma cooooome? Non ti piace il Piccolo Principeeeee?” Ebbene, no. Non mi piace, ed è una vita che ne sono perseguitata, a partire da uno dei primi libri illustrati avuti in regalo da piccina, per proseguire per un intero campo scuola dell’Azione Cattolica Ragazzi (15 dannati giorni!!), e tutto un quadrimestre della IV Ginnasio… Personalmente lo trovo la fiera della più zuccherosa ovvietà. “Per favore, addomesticami! Ci guadagno il colore del grano…! *Rolls eyes*

5. Il Gabbiano Jonathan Livingstone, di Richard Bach, a cui si potrebbe aggiungere anche Uno, dello stesso autore. Stesso motivo del n° 5: Pace! Amore! Gioia! Oh umanità, vola più alto! Sigh. E non sono nemmeno scritti bene!!

6. Dersu Uzala, di Vladimir K. Arsenev. Questo la maggior parte della gente se lo becca sotto forma di film (A. Kurosawa), ed è già noioso la sua parte. Io ho avuto la fortunaccia di leggere anche il libro da cui il film è tratto: le memorie di un ufficiale russo alle prese con questo Uiguro o Calmucco, o qualunque cosa fosse, che vaga nella tajga e sforna perle di saggezza all’infinito. Nel duplice senso che sembra non esserci limite alle perle stesse, e che Dersu parla come gli Indiani nei film d’un tempo, tipo “adesso Dersu cucinare pesce”.

7. L’Eneide, di Publio Virgilio Marone. Ho un’incapacità congenita di simpatizzare con il pio Enea, che ops… dimentica provvidenzialmente la moglie a Troia, abbandona Didone, si lascia proteggere dalla mammina dea in battaglia al punto che il duello con Turno è al limite dell’omicidio! E tutto con quel fare lesso…

8. Cristoforo Colombo, di Gianni Granzotto. Considerando che il meraviglioso Annibale dello stesso autore è invece uno dei miei livres de chevet, posso solo immaginare che si sia trattato d’incauta esposizione. In fondo, avevo solo dodici anni, e oltre a leggerlo, mi toccava anche fare terrificanti esercizi come “confronta l’atteggiamento della Regina Isabella e di Colombo nel dialogo a pagina 37, ed elenca in due colonne distinte le reazioni positive e negative di ciascuno dei due.” A volte mi chiedo se l’ora di Narrativa non faccia più danni che benefici.

9. Verdi Colline d’Africa, di E. Hemingway. [Ma tanto Addio alle Armi quanto Il Vecchio e il Mare farebbero al caso: H. non è il mio scrittore…] Ne ricordo solo interminabili scene di caccia descritte con sadica indifferenza e altrettanto interminabili dialoghi con il boy africano, il cui sugo era “no, non lo voglio, il maledetto ciai!” Non ho intenzione di rileggere per sincerarmi se ci fosse altro.

10. Il Cavaliere Inesistente, di I. Calvino. Posto che anche Marcovaldo troverebbe posto nella lista, se andassi avanti, devo confessare che in gioventù il mio sense of humour era limitato: quando ho letto questo libro ero in piena medievite, e non l’ho presa bene…

E so che ho detto Dieci, ma posso citare un undicesimo titolo che non appartiene in pieno alla lista? Revolt in the Desert di T.E. Lawrence è davvero un caso di amore/odio. Adoro la storia (un arruffapopoli che si trascina dietro una guerriglia improbabile e compie imprese inaudite), ma detesto di cuore l’egocentrico, presuntuoso, autocelebrativo Lawrence.

Ecco qui. Non sono tanto fortunata da avere detestato solo dieci libri in vita mia, ma questi sono quelli che salgono alla mente per primi. Evidentemente quelli a cui porto più rancore…