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Nov 20, 2009 - fenomenologia dello sbregaverze    Commenti disabilitati su Quando si dice i Posteri

Quando si dice i Posteri

Per quanto ne so, non ci sono film sull’Ammirabile Critonio. A dire il vero c’è una commedia di J.M. Barrie (sì, quello di Peter Pan) chiamata The Admirable Crichton, dalla quale sono stati tratti diversi film*, ma…

Ricordate il sobriquet di Madame Sans-Gêne? Che non era affatto suo, ma era stato sottratto ad un’altra e reso celebre per lei? Ebbene, qui abbiamo il caso opposto. L’Ammirabile Crichton di Barrie è un maggiordomo inglese che, alla fine del XIX Secolo, fa naufragio con i suoi padroni su un’isola deserta… Quindi, vedete, non c’entra assolutamente nulla. Però a Barrie piaceva il nome: lo ha sottratto senza remore, e il suo maggiordomo (almeno nei paesi anglosassoni) è più celebre del suo namesake rinascimentale. Cose che capitano: è successo alla povera Thérèse comesichiamava, la MSG originale, ed è successo a James Crichton. Che volete farci? Gli scrittori sono gente senza coscienza, e il furto di un nome per loro è come bere un bicchier d’acqua fresca.

lapide.jpgSempre per quanto ne so, non ci sono nemmeno statue. C’è questa lapide bilingue**, fatta apporre da un discendente nella chiesa di S.Simone a Mantova nel 1914, e c’è una targa nella chiesa di Sanquhar, in Scozia. Della lapide scozzese non ho trovato un’immagine, ma quella mantovana mi dà l’occasione di dire un paio di cose sulla morte del Critonio storico. Vi sareste aspettati (o almeno, io mi sarei aspettata) funerali solenni per il favorito del Duca di Mantova. Ma c’era il piccolo particolare che il favorito in questione era stato ucciso dall’erede del Ducato in circostanze che era caritatevole definire poco chiare… morale: lo Scozzese fu sepolto nella chiesa di S.Simone, in tutta semplicità perché non c’erano soldi, e con il suo servo per tutto corteo funebre. Altro che i dieci giorni di lutto cittadino descritti da Sir Thomas: pieno di debiti, sepolto in imbarazzata fretta, e dimenticato alla velocità del lampo***!

 Quindi, in realtà, le sue tristezze il Critonio le avrebbe avute. Una delle linee narrative nello Specchio Convesso è che il giovanotto non fosse affatto contento di sé: con la sua nascita e le sue qualità avrebbe potuto aspirare a molto di più, e molto di meglio, delle dispute pubbliche, le giostre e una precaria posizione di favorito in una corte minore come Mantova… Il mio Giacomo Critonio non ha una buona opinione di se stesso. Un’altra linea narrativa è che sia una spia al soldo di Venezia, un’altra ancora è che non possa tornare a casa in Scozia… Insomma, ci ho strologato su, ho amplificato certi aspetti, ne ho omessi ben pochi, ma ho messo tutto nella luce che preferivo… alla fin fine, mi sa di avere sbregaverzizzato non poco a mia volta.

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* Fatterello bizzarro: secondo IMDb, le due versioni di Travolti da un insolito destino… sarebbero altrettanti adattamenti di The Admirable Crichton. Mai visto nessuna delle due, quindi non posso pronunciarmi.

** Mi si fa notare che la Fenomenologia sta assumendo un carattere lievemente cimiteriale, con tutte queste lapidi. Vero, ma che posso farci se tutti gli Sbregaverze sono ampiamenti passati a miglior vita?

*** Con l’eccezione di Aldo Manuzio il Giovane, che dedicò alla sua memoria un’edizione del De Amicitia di Cicerone. Oh, e poi ci sono generazioni di biografi scozzesi, che suonerebbero più attendibili se non si limitassero a ripetere ciascuno i propri predecessori, e tutti, alla fin fine, Manuzio stesso.

 

L’Ammirabile Critonio: Lo Sbregaverze Mal Riuscito

James_Crichton_1.jpgNon tutti gli Sbregaverze riescono col buco, e questo è il solo punto di contatto che veda tra gli Sbregaverze e le ciambelle. Forse bisognerebbe qualificare, perché di James Crichton letterari ne contiamo almeno due*, ma mostreremo perché, a dispetto delle apparenze, Sir Thomas Urquhart non sia affatto il nonno di tutti gli sbregaverzizzatori; e perché William Ainsworth, con uno Sbregaverze al suo attivo, è un autore completamente dimenticato.

Prima, però, tanto per sapere di cosa (e di chi) parliamo, cominciamo con un po’ di storia.

James Crichton of Eliock and Cluny era nato nel 1560, figlio del Lord Avvocato di Scozia e di una Stewart di sangue reale**. Siccome il ragazzino pareva promettere assai bene, fu spedito giovanissimo all’università di St.Andrews, dove si laureò alla matura età di tredici anni, e fu licenziato Master of Arts a quattordici. Poi, come un antesignano del Progetto Erasmus, passò in Francia per completare la sua educazione. Dopo di questo, le notizie diventano un po’ vaghe. Potrebbe avere servito per due anni come cavaliere nelle truppe del Re di Francia senza ricoprire alcun grado di rilievo, oppure no. Potrebbe avere lasciato una profonda impressione di sé a corte e negli ambienti accademici parigini, oppure no, checché ne dicano gli adoranti biografi scozzesi, contemporanei e posteri. Next we know, il giovanotto riemerge a Genova nel 1579, e lo sappiamo per certo perché c’è un’orazione di Giacomo Critonio, Scoto rivolta alla Repubblica di Genova. Non un successo travolgente, se dobbiamo giudicare dal fatto che l’anno successivo il Critonio era già a Venezia. Lì andò meglio: i patrizi, gli eruditi e i professori di Padova erano impressionati: Aldo Manuzio il giovane c’informa che il suo scozzese parlava dieci o undici lingue, disputava di filosofia, teologia, araldica, matematica, musica, politica e chi più ne ha più ne metta; tirava di scherma, danzava, cavalcava, saltava (!)… ed era pure bello. Pur avendo incontrato tanto entusiasmo, il giovane Giacomo passò a Mantova in tempo per il Carnevale del 1582, e lì divenne, alla velocità del fulmine, il favorito del gobbo, cinico e sospettosissimo Duca Guglielmo Gonzaga. “Come diavolo avrà fatto?” si domandavano tutti, per primo il figlio del Duca, il brillante, irresponsabile, bel Don Vincenzo, cui in vent’anni non era mai riuscito d’andar d’accordo con il padre… A parte il Duca e le dame di corte, però, Mantova si mostrò meno entusiastica di Venezia. Meno felice di tutti era Don Vincenzo, cui non piaceva vedersi capitare tra i piedi un rivale in tutti i campi. Come fu, come non fu, la parabola mantovana del Critonio durò fino ai primi di luglio, quando ebbe la cattiva sorte d’incontrare Piccoli Duchi Crescono in una stradina buia. Uno spintone, un insulto o due, le staffe perdute, i pugnali sguainati… ben presto sul terreno restò un amico di Don Vincenzo, mentre il nostro Scozzese, ferito al fianco, correva via in cerca di soccorso. Arrivò a una bottega di speziale giusto in tempo per morirci. Aveva ventidue anni. Forse era stato un prodigio di erudizione multiforme, forse un millantatore intrigante. Non lo sappiamo per certo, perché le fonti sono dubbie. Forse non lo sapremo mai.

Chi credeva di avere le idee chiarissime in proposito era Sir Thomas Urquhart. Ho già accennato a lui, ThomasUrquhart.pngqualche post fa: un altro erudito scozzese, viaggiatore, scrittore, traduttore di Rabelais, inventore di lingue universali… bel soggetto. Nel 1652, Sir Thomas dedicò alle prodezze di James Crichton, che era il suo idolo e modello, la maggior parte del suo Exkybalauron, ovvero La Scoperta di un Meraviglioso Gioiello, singolarissimo trattato sul carattere nazionale scozzese, che sovrasta, lo si capisce bene, il carattere nazionale di qualsiasi altro popolo. Sir Tom era fatto così, e anche il suo Crichton era fatto così: un eroe senza macchia e senza paura, ineffabile nella sua spavalderia e presunzione, che attraversa l’Europa vendicando torti altrui per pura magnanimità, riducendo al più umiliato silenzio gli eruditi di tutte le università, battendo in duello chiunque gli si pari davanti, e ovunque ottenendo il plauso e l’ammirazione degli ottimati, l’amore delle donne e la grata adorazione del popolo. Unica eccezione, naturalmente, Mantova, dove il malvagio, invidioso Don Vincenzo va in giro con dieci compagni armati fino ai denti. E lo stesso, riesce a battere “Crichtoun” solo con l’inganno: riconoscendo il suo augusto avversario, lo Scozzese si ferma, s’inginocchia e porge la spada… e Vincenzo prende l’arma e trapassa l’avversario disarmato! Non so se mi spiego. Comunque, non siamo davanti a uno Sbregaverze. Sir Tom fa sul serio, sul serissimo: non considera la sua improbabilissima storia un romanzo, ma un’opera storica, una biografia e un trattato tutto assieme. E’ fermamente convinto di non avere esagerato nemmeno un pochino, e gli attributi sbregaverzeschi di Crichtoun sono del tutto involontari. Poco importa che sconfigga spadaccini seriali per sport, che sia sopraffinamente geloso del suo onore, che faccia fuori da solo tutti e dieci i compagni di Don Vincenzo, spacciandolo in altrettanti modi diversi, tutti “scientifici”… Resta il fatto che a Sir Tom, gentiluomo barocco e scozzese, non sembra di avere ritoccato la verità***… E la creazione di uno Sbregaverze deve essere deliberata. Peccato, vero?

Ma non è finita qui.

180px-William_Harrison_Ainsworth_-_Project_Gutenberg_eText_12369.pngLasciamo passare un altro paio di secoli, e scendiamo dalla Scozia a Londra. Enter William Harrison Ainsworth. “E chi era costui?” vi chiedete voi. Ebbene, WHA era un romanziere storico, un contemporaneo di Dickens, autore di una quarantina di romanzi storici, tra cui The Admirable Crichton. Vale la pena di ricordare che per un certo numero di anni Ainsworth fu considerato al pari, se non più di Dickens, che ebbe il suo periodico, che i suoi lavori venivano adattati per il teatro… come ciò sia possibile non mi è del tutto chiaro. E’ vero, di suo ho letto solo TAC, che non è il suo capolavoro, ma credetemi: è uno dei libri più brutti che abbia mai letto. Che cos’ha che non va? Voglio dire, Sir Thomas o no, a prima vista, il Critonio ha tutto quello che serve per un eroe da romanzo vittoriano: nobile, bello, giovane, avventuroso, diseredato o qualcosa di simile, un duellatore di prima forza… andiamo! Che si può volere di più? Ma Ainsworth, no. Non contento delle pittoresche (pur se dubbie) fonti a disposizione, va a scegliere il periodo più oscuro della vita del Critonio, quello di cui non sappiamo praticamente un bottone: gli anni francesi! Be’, avrà voluto lasciarsi margine di manovra, pensa il lettore ottimista. Sssì… e per cosa lo usa, questo margine? Per la più improbabile storia di congiure, alchimia e veleni che si possa immaginare. Oh, l’intenzione sbregaverzesca questa volta c’è: di Sir Tom, Ainsworth conserva una cosa sola, ed è l’aura da Sette Ammazzai Tutti d’Un Colpo di Crichton, solo che non siamo più nel XVII Secolo. Per cui, ecco la facile suscettibilità, ecco la professione delle armi (gentiluomo povero con precedenti in cavalleria), ecco lo sprezzo incosciente del pericolo, ecco la straordinaria abilità con la spada, ecco la condizione di outsider (un Inglese alla corte di Enrico III…), ecco l’irresistibile impulso a difendere le cause perdute (l’impossibilmente piatta principessa Esclairmonde), ecco l’amata poco significativa (vedi sopra), ecco una specie di sideckick (lo studente inglese Simon Blount), ecco… ecco. Basta. Crichton non invecchia per rimpiangere la sua giovinezza turbolenta e felice, ma non muore nemmeno. Anziché far morire Crichton pugnalato o altrimenti, a Mantova**** o altrove, Ainsworth gli fa sventare non uno, ma due attentati alla vita del Re nel giro di venti pagine. Seguono matrimonio con la principessa e concessione di una paria. Oh gaudio! Oh tripudio! Ne viene che Crichton non ha tristezze di sorta. Ma d’altra parte, non ha mai nemmeno dubbi, né incertezze, né rimpianti, nulla di nulla: è sempre perfetto, sicuro, cavalleresco ed efficace. Difficile affezionarsi a uno così. Eppure, ci dice Ainsworth, tutti adorano Crichton! Reali, nobili e popolani, uomini e donne, buoni e malvagi non meschini, tutti cantano in coro le sue lodi. In coro con l’autore, intendo. Perché, come dicevo prima, tutto questo non è che lo vediamo: ce lo dice Ainsworth. E ce lo ripete. E ce lo ripete ancora. E ancora. E ancora, tante volte che a pagina 18 noi lo detestiamo già cordialmente, ‘sto Ammirabile Crichton. E quanto più Ainsworth insiste, tanto più lo prendiamo in antipatia. Ricordate quando dicevamo che gli Sbregaverze traboccano di fascino? Be’, ecco a voi il motivo per cui non avete mai sentito parlare di Ainsworth: non è capace di mostrarci un singolo motivo per cui dovremmo essere affascinati da James Crichton, ma spera tanto che, se continua a ripetercelo, finiremo col crederci*****.

Insomma, la morale di questa settimana è che non bastano una spada e un ego delle dimensioni di un melone per fare uno Sbregaverze. Bisogna che l’autore sappia quello che fa. Che riconosca nel suo personaggio uno Sbregaverze, e che sappia dargli una personalità, delle malinconie, delle debolezze, delle nostalgie, dei momenti di furia, delle giornate storte, delle idee irragionevoli, delle aspirazioni inappagate, delle testardaggini. Tutte quelle irritanti, adorabili, umanissime ombre che fanno dello Sbregaverze una persona vera, e non una figurina di cartone colorato.

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* Oddìo, se fossi in vena di autopromozione, potrei dire che ce ne sono tre: c’è anche il mio “Lo Specchio Convesso”…

** Sì, sì, sì: un nome da Re, come Alan. Ma, credetemi, le somiglianze finiscono qui.

*** Per qualche motivo, il Chrictoun di Sir Tom ha una trentina d’anni, anziché poco più che venti. Non sono mai riuscita ad accertare se si trattasse di una svista o di una scelta deliberata. E nel secondo caso, perché mai? Un ragazzino ventenne non gli sarebbe parso all’altezza di tante qualità?

**** Mantova compare solo di straforo, nella persona di Don Vincenzo Gonzaga, vilain occasionale, malvagio, meschino e inefficace.

***** Eppure qualcuno dovette cascarci. Non ricordo chi fosse il recensore secondo cui The Admirable Crichton stava “solo e irraggiungibile alla testa di tutti i romanzi inglesi di ogni tempo”!

Nov 10, 2009 - fenomenologia dello sbregaverze    Commenti disabilitati su Madame Sans-Gêne, lo Sbregaverze in gonnella

Madame Sans-Gêne, lo Sbregaverze in gonnella

ptlavandiere_aa.jpgEbbene sì, ci sono anche le Sbregaverzesse. Quanto meno ce n’è una, e parliamo di Catherine Lefebvre, nata Huebscher, Marescialla di Francia, Duchessa di Danzica, meglio conosciuta come Madame Sans-Gêne.

Ora forse, bisognerebbe chiarire che MSG è esistita veramente, ma non si chiamava affatto così. La vera MSG era una sua contemporanea, una donna che si era arruolata in abiti maschili sotto il comando di Napoleone*, e che ha finito con l’essere quasi dimenticata, perché Sardou e Moreau hanno sottratto il sobriquet e l’hanno usato per il loro personaggio, che era ricalcato su Catherine Lefebvre. Morale, ci sono una vera-vera MSG e una falsa-vera MSG, e a noi interessa la seconda. Chiaro?

Comunque, sempre in era napoleonica siamo, e sempre in uniforme: Catherine, che faceva la lavandaia a Parigi (e a quanto pare aveva tra i suoi clienti uno squattrinatissimo tenentino còrso, tale Napoleone Buonaparte), sposò François Lefebvre, un bel sergente delle Guardie, e lo seguì al campo come vivandiera. Erano i tempi in cui un giovanotto cominciava con i galloni da sergente, e finiva con un bastone da Maresciallo, per non parlare di una corona ducale. Il tenentino còrso, che aveva fatto buona carriera a sua volta, e aveva la mania di distribuire titoli nobiliari, si tirò Lefebvre a corte, con la consorte al seguito. Ma, a differenza del resto della nuova nobiltà napoleonica, Catherine non aveva nessuna intenzione di fingersi diversa da quella che era: intelligente, sboccata, pronta di lingua e più franca di quanto fosse salutare, l’ex lavandaia non la mandava a dire a nessuno, men che mai alle sorelle dell’Imperatore, ed era una costante fonte d’imbarazzo per il marito, che tuttavia non volle mai sentir parlare di divorzio. Catherine aveva  a corte nemici (prime fra tutti Paolina ed Elisa, nées Bonaparte), estimatori (Tayllerand pare si divertisse moltissimo ad ingaggiare schermaglie verbali con l’abrasiva Duchessa) ed amici, il più importante dei quali era Napoleone in persona. Madame Sans-Gêne ripagò l’appoggio dell’Imperatore con una fedeltà a tutta prova, fino ai Cento Giorni, fino a Waterloo, e anche dopo.

marechale01.jpgFin qui la storia, e non è che Sardou e Moreau, una volta perpetrato il furto del nome, abbiano aggiunto granché. C’è un’amicizia con il Conte di Neipperg (ancor lungi dall’essere il secondo marito di Maria Luisa), le cui peripezie forniscono l’intrigo centrale della commedia**, insieme alle macchinazioni delle soeurs Bonaparte per imporre il divorzio al buon Lefebvre. La commedia è deliziosa, frizzante, vivace, e Catherine tiene sempre il centro della scena, prima lavandaia e poi duchessa, circondata da un profluvio di coprotagonisti, antagonisti e comprimari: l’elenco dei personaggi ne conta la bellezza di quarantotto, chi più chi meno vero. Napoleone è irritabile ma giusti; Paolina ed Elisa sono meschine; Lefebvre è coraggioso, geloso e un po’ ingenuo; Neipperg è del tutto privo di buon senso; Fouché è soave e sarcastico; Savary un idiota; Catherine è generosa, Catherine è imprudente, Catherine è sveglia, onesta nel profondo, leale e linguacciuta. Ed è una Sbregaverze. Appartiene alla varietà femminile della specie, e quindi non è del tutto identica ai suoi colleghi maschi, ma non c’è da sbagliarsi, cosa che ora procederò, siore e siori, a dimostrare scientificamente.

Ricordate quando abbiamo elencato in via preliminare le caratteristiche salienti dello Sbregaverze qui? Ebbene, ripercorriamole una ad una, per vedere come si applicano a Madame Sans-Gêne.

* Lo Sbregaverze svolge una professione di tipo guerresco. Ebbene, l’abbiamo detto: Catherine fa la vivandiera. Check.

* Lo Sbregaverze prospera in tempo di guerra, rivoluzione, rivolta, instabilità sociale. A parte la promozione a Duchessa, dovreste vederla, nel prologo, affrontare senza paura il tumulto delle strade parigine il giorno della presa delle Tuileries, e tenere testa alle guardie nazionali che vogliono frugarle casa e bottega! Così si fa, ragazza!

* Lo Sbregaverze è realmente esistito, e ha giocato ruoli marginali nella storia del suo tempo. Già detto. Sardou e Moreau ne fanno una specie di amica di gioventù di Napoleone, ma è probabile che fosse un po’ lo spaventapasseri della corte.

* Lo Sbregaverze è abbastanza competente nel badare a se stesso e ad eventuali altri, ma mostra una spiccata tendenza a cacciarsi in guai della più diversa natura. Catherine deve i suoi guai principalmente a due fonti: la sua boccaccia e il suo buon cuore. Rispondere a tono alle Bonaparte non è una buona idea; dare asilo a giovani aristocratici feriti nemmeno; difendere amici in disgrazia, idem come sopra. E tuttavia, Catherine è furba e coraggiosa a sufficienza da togliersi per lo più da sola dai guai in cui si caccia. O in alternativa, è talmente in buona fede che chi dovrebbe/potrebbe punirla ci rinuncia.

* Lo Sbregaverze mostra un carattere complesso. Per dirla tutta, Catherine è molto più straightforward dei suoi colleghi maschi. Non rimugina, non alambicca, non strologa, non cerca vie traverse. Vuole qualcosa? Agisce per averla. Non vuole qualcos’altro? Si batte per evitarla. Qualcuno le sta sul gozzo? Lo dice candidamente (e pittorescamente). Also, Catherine non si fa vanto della sua neo-nobiltà, e non finge di disprezzare i titoli: essere duchessa le sta sul gozzo, piuttosto che altrimenti, proprio come lo strascico degli abiti da corte. E’ il sincero fastidio che si ha per un intralcio, non snobismo. Tutto molto, molto più semplice.

tomba-madame-sans-gene-.jpg* Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, lo Sbregaverze non è predestinato a una fine precoce. La Catherine storica ebbe quattordici figli, raggiunse la matura età di 83 anni ed è sepolta nel cimitero del Père Lachaise***. La Catherine della commedia è (prologo a parte) una donna matura che ricorda con nostalgia i tempi fiammeggianti della Rivoluzione e delle campagne militari, che rimpiange la sua lavanderia e il suo carro di vivandiera.

* Se c’è qualcosa a cui uno Sbregaverze non può resistere, è una causa perduta. Che cosa fa la fidanzata di un sanculotto, quando si vede piombare in bottega un contino austriaco ferito e braccato dagli amici del sanculotto stesso? Provate a indovinare. E quando lo stesso Austriaco, vent’anni dopo, ha di nuovo bisogno d’aiuto? Appunto.

* Lo Sbregaverze è sempre un outsider, in un modo o nell’altro. Una volta a Corte, Catherine è una outsider in tutti i modi possibili, e lo è con gran gusto e allegria. Bisogna vederla dare la baia ai maestri di etichetta, alle principesse e ai duchi, compreso suo marito.

* Lo Sbregaverze si offende con estrema facilità, vede insulti in ogni dove ed è pericolosamente pronto ad esigere riparazione. No, questo no. Catherine s’infiamma quando le circostanze lo richiedono, e allora risponde per le rime, e si difende quando l’attacco merita risposta. Sennò fa allegramente spallucce. Se c’è qualcosa che Catherine non ha, sono i complessi. Il nome di Madame Sans-Gêne non sarà suo, ma le sta a pennello.

* Con rarissime eccezioni, lo Sbregaverze ha un amico/assistente/compagno di qualche tipo, quello che in Inglese si chiamerebbe sidekick. lefebvre-2.jpgL’unico personaggio che potremmo considerare sidekick di Catherine è suo marito, il bravo, geloso, affezionato Lefebvre, ma ci discostiamo non poco dai canoni. Lefebvre non è un sottoposto adorante, però talvolta è la voce della ragione, e cerca di mediare tra Catherine e la corte. E’ anche, giusto per complicare un po’ le cose, l’oggetto dell’amore di Catherine. Oggetto ottenuto: a differenza dei suoi colleghi maschi, Catherine ottiene quel che vuole, anzi: ce l’ha fin dall’inizio.

* Lo Sbregaverze trabocca di fascino. E sì, suvvia: buona, generosa, coraggiosa, astuta, piena di risorse, onesta, spiritosa, gaffeuse irreprimibile, retta e leale… come si fa a non voler bene a Catherine Lefebvre, duchessa-lavandaia?

Morale? Direi che ci siamo. Catherine fits the bill sotto la maggior parte degli aspetti, discostandosi dal canone solo là dove è una questione di pragmatismo: quando si viene al dunque, le donne sono più pragmatiche degli uomini, e questo è quanto. 🙂 E non è nemmeno bella. Sì, a teatro è stata incarnata da Réjane, al cinema dalla Loren, ma lei… visto il ritratto in cima al post? Ecco. Ci si può chiedere dove sia la malinconia di Madame Sans-Gêne . Non è triste, lei? Non ha aspirazioni inappagabili? Ne ha, ne ha… Ho detto, poco più sopra, che Catherine ottiene quel che vuole, ma forse sarebbe meglio dire che all’inizio ha quello vuole. Poi lo perde. A lei piace fare la lavandaia, ama il suo sergente così com’è, e se segue l’Armée è per restargli accanto. Non ha chiesto di diventare Duchessa, e certo non le piacciono le conseguenze. Rimpiange il mondo più semplice e più diretto in cui stirava camicie (senza farsi pagare dai tenentini còrsi), o distribuiva gamelle di zuppa tra le cannonate, e poteva dire quel che le pareva senza che nessuno la guardasse storto. Nella Rue Sainte Anne, Catherine è popolare ed apprezzata proprio per la sua franchezza e il suo candido coraggio. Non la vediamo sui campi di battaglia, ma possiamo scommettere che è la beniamina di tutti i soldati. Una volta a Corte, ogni gesto e ogni parola di Catherine sono intrisi di nostalgia per la semplicità e la libertà della sua giovinezza, libertà e semplicità che, e lo sa bene, non riavrà mai più. Catherine potrebbe essere un simbolo della Rivoluzione: la lavandaia diventata Duchessa. E non è felice. Ecco, quindi, la malinconia di Madame Sans-Gêne, che talora, quasi controvoglia, il Napoleone di Sardou mostra di condividere: bisognerebbe essere cauti con i sogni di gloria e le ambizioni. Una volta afferrato il premio, è tutto finito. Tranne, s’intende, la nostalgia, i rimpianti e la disillusione.

Volete vedere che, alla fin fine, è più fortunato chi il premio non lo afferra?

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* Capitava. Anche al di fuori dai romanzi. Si arruolavano facendosi passare per maschi, e alle volte mi domando dove avessero gli occhi i reclutatori… Ma è pur vero che quando c’è bisogno di gente non si va per il sottile. Lasciatemi citare, benché c’entri fino a un certo punto, Renée Bordereau, detta Langevin, soldato nell’Armata Cattolica e Reale di Vandea, di cui tutte le fonti, per qualche motivo, si affrettano sempre a dire che era brutta.

** Personalmente ho un’edizione BUR del 1961, quando ancora si italianizzavano i nomi di autori (Vittoriano Sardou ed Emilio Moreau) e personaggi (Caterina, Giuseppe e via dicendo). Traduzione vivace di Giacomo Falco. Il libro, trovato alla già citata Libreria Parnaso di Pavia, ha un ex-libris che recita così: Scampato all’alluvione del Ticino 7 novembre 1994.

*** Prima che qualcuno chieda: no, non ci sono statue. C’è solo la lapide riprodotta lì sopra.

Nov 1, 2009 - fenomenologia dello sbregaverze    Commenti disabilitati su Chi l’avrebbe mai detto?

Chi l’avrebbe mai detto?

Considerando l’appeal generale della saga dei Moschettieri, e il suo enorme influsso sulla cultura pop, immagino che non dovrei stupirmene… eppure sono sinceramente basita.

 

Siete basiti anche voi, eh?

Mica solo io…

E torniamo ad occuparci di Sbregaverze, dopo questa piccola vacanza impromptu. Ricominciamo segnalando un sito, a dimostrazione del fatto che non sono l’unica a soffrire di questa malattia.

graphics%20web%20page%20art%203.jpgLa gente di questo sito, The Swashbuckling Press, ha una sua idea di Sbregaverze (decisamente più ampia della mia), e fa le cose in grande stile. C’è di tutto un po’, ed è divertente bighellonare di link in link.

Non per caso sulla loro homepage c’è l’immagine che vedete qui a sinistra. E il sottotitolo del sito è tutto un programma: “Questo è il solo modo in cui la storia dovrebbe essere raccontata!”

Ci sono, oltre al resto, varie pagine dedicate a Dumas, ai Moschettieri e al vero D’Artagnan e ci sono indici di libri e di autori di genere più o meno sbregaverzesco. Come molte risorse amatoriali in rete, mescola allegramente lampi di accuratezza storica, speculazioni selvagge, generalizzazioni, costumi in vendita e bizzarrie varie assortite, ma è molto colorato e pieno zeppo di immagini.

Per i finesettimana piovosi e le notti insonni, insieme a una tazza di cioccolata calda e qualche biscotto.

Ott 22, 2009 - fenomenologia dello sbregaverze    Commenti disabilitati su Guilty as charged

Guilty as charged

Mi si fa notare che ho postato la foto del monumento ad Alan (in realtà sono le statue di Alan e David sullo Stevenson Monument a Corstorphine, Edimburgo), e non ho fatto nulla del genere per D’Artagnan.

Mi si fa notare che la mia spudorata predilezione per Alan non deve interferire con la completezza iconografica della Fenomenologia dello Sbregaverze.

Che posso fare? Arrossisco fino alle orecchie e corro ai ripari. Tanto più che si dà il caso che di statue, D’Artagnan ne abbia più d’una. Per la precisione, ne ha almeno tre:

Maastricht.jpgIl D’Artagnan storico a Maastricht (dove, molto prima di fare trattati, si fece un assedio sanguinoso…)

 

 

 

 

 

 

 

Auch.jpgUn D’Artagnan a scelta a Auch, in Guascogna

 

 

 

 

 

 

 

dartagnan-paris.jpgE il D’Artagnan del romanzo sul monumento a Dumas, a Parigi.

 

 

 

 

 

 

 

Ecco, queste sono le statue di D’Artagnan di cui sono a conoscenza. Qualcuno ne conosce altre? Per quanto ne so, sono tutte posteriori alla pubblicazione del romanzo, per cui è legittimo dubitare: qualcuno si sarebbe disturbato ad innalzare statue al moschettiere, se Dumas non lo avesse immortalato (e sbregaverzizzato) nelle sue opere?

Ott 20, 2009 - fenomenologia dello sbregaverze    Commenti disabilitati su D’Artagnan: Lo Sbregaverze Soldato

D’Artagnan: Lo Sbregaverze Soldato

Volete la prova inconfutabile che D’Artagnan è uno sbregaverze? Guardatelo diciottenne, in viaggio verso Parigi, nel primo capitolo de I Tre Moschettieri:

Arrivée.jpgDon Chisciotte pigliava i mulini a vento per giganti e i montoni per eserciti, D’Artagnan prese ogni sorriso per un insulto e ogni sguardo per una provocazione. E così fu ch’egli ebbe sempre il pugno chiuso da Tarbes a Meung e che dieci volte a giorno portò la mano al pomo della spada; tuttavia il pugno non si abbatté su nessuna mascella e la spada non uscì dal fodero. Non che la vista del malavventurato giallo ronzino non facesse spuntare più di un sorriso sul volto dei passanti; ma siccome sopra la rozza tintinnava una spada di misura rispettabile e al di sopra di questa spada fiammeggiava un occhio più feroce  che altero, i passanti reprimevano la loro ilarità o, se l’ilarità aveva il sopravvento sulla prudenza, si sforzavano almeno di ridere da una parte sola, come le maschere antiche. D’Artagnan rimase dunque maestoso e intatto nella propria suscettibilità fino a quella disgraziata città di Meung.*

Visto? C’è proprio tutto: il raffronto con Don Chisciotte, la facilità ad offendersi, la scarsa pecunia**… E anche l’inclinazione a mettersi nei guai: nel paragrafo successivo a quello citato, il nostro giovanotto è già occupato ad accapigliarsi (del tutto per caso) con il malvagio Rochefort; nel corso di una pagina o due è già nei pasticci su vasta scala… e non siamo ancora a metà del I Capitolo.

Quello che succederà dopo lo sappiamo tutti: l’arrivo a Parigi, il colloquio con il signor de Tréville, la triplice sfida a duello… Non è un caso che sia una combinazione di atti di scarsissimo buon senso a procurare a D’Artagnan i suoi tre grandi amici. I quali, a loro volta – ma di questo parliamo poi.

Per ora cominciamo dal fatto che quando Dumas père trovò i settecenteschi Memoirs de D’Artagnan***, il cuore dovette gli fece un triplo salto carpiato con avvitamento. Caspita, dovette dirsi, qui c’è una miniera! Un moschettiere guascone, un secolo pittoresco, una situazione politica tempestosa… che può chiedere di meglio un romanziere? Non molto, in effetti. E l’irrefrenabile Dumas si gettò a pie’ pari nella creazione di una delle più celebri avventure di tutta la letteratura, prendendosi le libertà che servivano per renderla più pittoresca e fiammeggiante che si potesse.

Per esempio, sapete, tutta la faccenda col Cardinale di Richelieu, la storia che tutti noi adoriamo? Be’…no. No davvero.

In realtà, di Charles de Batz de Castelmore, conte d’Artagnan, non abbiamo una data di nascita precisa. C’è che lo fa nascere fra il 1611 e il portrait%20B&W%20jpeg.jpg1615, chi fra il 1615 e il 1618… in ogni caso, arrivare a Parigi nel 1625 e arruolarsi immediatamente nei moschettieri gli sarebbe stato un nonnulla difficile. In realtà, arrivò in qualche punto tra il 1630 e il 1640, con la seconda data resa più probabile dal fatto che nel corpo dei Moschettieri ci entrò nel 1644, (quando Richelieu era già defunto) con l’appoggio e la protezione del Cardinale Mazarino. Ma come? Mazarino? Quel Mazarino? Quello di Vent’Anni Dopo? Solo un po’ meno malvagio e molto più spregevole di Richelieu? Ebbene sì: tutta la carriera del D’Artagnan storico si svolse all’ombra del Cardinale italiano, che gli procurò incarichi di prestigio e lo aiutò a comprare il grado di Capitano**** in cambio di una fedeltà a tutta prova. Delusi? Se lo siete, siete in buona compagnia: anche a Dumas dovette sembrare che questa clientela si addicesse poco a un eroe guascone, e così aggiustò date e fatti a suo gusto, per la gioia di generazioni di lettori.

Ammettiamolo: D’Artagnan ci piacerebbe un po’ meno se fosse ossequioso con uno o più cardinali. Perché un’altra caratteristica dello Sbregaverze è quella di essere sempre in maggiore o minore urto con l’Autorità. Quand’anche non sia un fuorilegge per qualche motivo, è però sempre molto ansioso di mostrare che lui non piega la schiena davanti a nessuno, lui. E se questo è uno stereotipo romantico, tanto peggio. O tanto meglio, per dire la verità, perché a chi non piace una buona dose di stereotipi romantici, non foss’altro che nelle domeniche piovose? E quindi ecco che D’Artagnan si batte a duello nonostante la legge lo proibisca, e infilza un consistente numero di guardie del Cardinale (a cominciare dal celebre duello interrotto al convento dei Carmelitani), e alla fin fine vanifica i perfidi piani di Richelieu, che sarà anche malvagio, ma è pur sempre l’uomo più potente di Francia!

Siamo in pieno territorio sbregaverzesco: l’importante è difendere l’onore della regina e non macchiare il proprio, non cercare favori… Potete star certi che, se avesse ragionato così, Charles de Batz de Castelmore, conte d’Artagnan, non sarebbe mai diventato Capitano dei Moschettieri, governatore di Lilla, Maresciallo di Francia in pectore… Forse allora non sarebbe morto all’assedio di Maastricht, ma allora nessuno si sarebbe preoccupato di scrivere le sue memorie fittizie, e Dumas non avrebbe avuto la base storica del suo personaggio più amato e più celebre. Che ci sia un paradosso, qui? Un paradossino, almeno? Ma non divaghiamo: il fatto è che D’Artagnan fu celebre ai suoi tempi. Una celebrità minore ed effimera, ma sufficiente a giustificare la scena del Cyrano de Bergerac in cui un ormai maturo D’Artagnan onora il giovane Cyrano apprezzando la sua chiassata a teatro. Però non è casuale che l’episodio abbia senso alla luce della cronologia immaginaria di Dumas, e non di quella effettiva: a Rostand interessa il D’Artagnan da romanzo, lo Sbregaverze. Che se ne farebbe l’altrettanto Sbregaverze Cyrano dei complimenti di un buon cortigiano? Gioco di specchi, legittimazione letteraria a doppio senso di marcia, cammeo delizioso, omaggio a un autore ammirato… vedete un po’ voi. In ogni caso, questa è la materia di cui son fatti i sogni di un romanziere storico.

dartagnanmusketeers.jpgE per finire, vogliamo omettere del tutto i Moschettieri eponimi? Mais non, parbleu! Anche perché sarebbe un peccato, visto che Athos, Porthos e Aramis sono un raro caso di tre sideckicks al prezzo di uno. Athos, l’eroe romantico e tormentato con funzioni di mentore; Porthos, il gigante ottuso e fedele, permaloso e leale, pronto a seguire il suo Sbregaverze nel fuoco; e Aramis, la voce della ragione (politica), ma anche la mente fina quando serve. E sono storici anche loro, sapete? Dal primo all’ultimo, seppure ampiamente ritoccati: Armand de Sillègues d’Athos, Isaac de Portau e Henri d’Aramitz, tutti moschettieri, prima o poi. Caspiterina, meriterebbero quasi un post della Fenomenologia tutto per loro… Staremo a vedere. E non dimentichiamoci il servitore Planchet, il placido, rassegnato Sancio della situazione, ma sveglio quanto basta. Considerando che ogni moschettiere ha il suo servitore accuratamente coordinato alla personalità del padrone, abbiamo una situazione di sideckics multipli alla seconda. ‘Cidenti, signora Durrels!

Dimentico qualcosa? Ah sì: l’amour. Costanza Bonacieux. Siamo franchi: chi se ne stropiccia di Costanza Bonacieux? Chi si dispiace mai davvero quando muore avvelenata? Risposta: nessuno, e Dumas meno di tutti. Scommetto che l’avvelenamento, oltre a costituire l’ennesima riprova della malvagità di Milady (lei sì che è tosta!) e a dare a D’Artagnan motivi di vendetta personale, è stato un gran sollievo, per l’autore. Costanzina è fuori dai piedi una volta per tutte, et voilà: tre piccioni con una fava! Il che ci porta a identificare ancora un altro elemento caratteristico dello Sbregaverze: l’oggetto del suo amore può essere una donna ideale inseguita (invano) per decenni, un irrilevante plot device, o proprio nessuno. In ogni caso, di rado lo Sbregaverze quaglia in modo significativo. Di certo, nessuno penserebbe che Costanza sia l’influenza fondamentale nella vita di D’Artagnan*****: uno per tutti, tutti per uno, giusto?

Chiudiamo con la fine (la Regina di Cuori sarebbe orgogliosa di me!). In questo, Dumas non si è discostato troppo dalla realtà: dopo una vita da soldato, D’Artagnan muore da soldato, ucciso da una cannonata****** all’assedio di Maastricht. Ma se il vero D’Artagnan morì con il rimpianto di non essere stato creato Maresciallo di Francia, Dumas si prende la libertà di concedere al suo eroe il riconoscimento del Re di Francia. D’Artagnan lo riceve, il prezioso bastone, che va in pezzi sotto la stessa palla di cannone che uccide il fresco Maresciallo: il premio è arrivato, ma è arrivato troppo tardi. Non sia mai che uno Sbregaverze muoia lieto ed appagato, godendo il giusto guiderdone dei suoi servigi: proprio non si fa, che diamine!

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* Edizione Oscar Mondadori del 1970; bella traduzione Anni Cinquanta di Antonio Beltramelli.

** Sì, lo Sbregaverze non naviga mai nell’oro. Il D’Artagnan storico, detto per inciso, non se la cavava poi troppo male, ma sono dettagli.

*** Pubblicati nel 1700 a Colonia da Gatien de Courtilz de Sandras. Dumas lo prese in prestito nella biblioteca di Marsiglia e gli piacque tanto che non lo rese più. Ahi, ahi! Alexandre! Non si fa…

**** Niente di strano, niente d’illegale per l’epoca: in molti eserciti, i gradi da ufficiale si compravano e vendevano ancora fino al XIX Secolo. E costavano anche un’ira, se si voleva un reggimento alla moda.

***** Il D’Artagnan storico divorziò nel 1665 dalla moglie che gli aveva dato due figli. Tutt’altro che inaudito, ma nemmeno del tutto comune per l’epoca.

****** Un colpo di moschetto alla gola, alla realtà. Non so se Dumas ignorasse il particolare o se una palla di moschetto gli sembrasse insufficiente per il suo Moschettiere. Inclino per la seconda ipotesi (anche perché bisognava pur distruggere anche il bastone…)

E per finire, il trailer dell’irresistibile versione cinematografica del 1948. Quanto a fedeltà al testo, dubito che sia peggio di tante altre, ma lo spirito è senz’altro quello giusto. Il technicolor, i duelli che sembrano balletti, il Richelieu di Vincent Pryce… Dumas l’avrebbe adorato!