Set 2, 2010 - musica, teatro    8 Comments

I Promessi Sposi – Opera Moderna

promessi_sposi_2010.jpgIeri sera ho visto la registrazione della prima de I Promessi Sposi – Opera Moderna, andata in scena il 18 giugno scorso a San Siro. Ero curiosa e devo dire che non sono rimasta delusa: sembra che finalmente (con appena qualche decennio di ritardo) anche noi arriviamo all’idea che i grandi romanzi possono essere messi in musica – e lo facciamo in uno stile ricco e vivo, un po’ Lloyd Webber e un po’ Commedia dell’Arte.

Lo spettacolo è molto bello a vedersi, con un assaggio iniziale di teatro-nel-teatro, costumi raffinati, luci suggestive, coreografie piene di espressività ed energia e imponenti scene che ruotano per i cambi a vista, funzionali e belle al tempo stesso (chi ha visto Les Miserables riconoscerà qualche somiglianza). Coro e corpo di ballo sono ottimi ed entusiasti, e gl’interpreti variano dal competente al notevole – con qualche punta d’implausibilità: Don Abbondio echeggia un po’ troppo l’interpretazione di Sordi, Don Rodrigo grida più di quanto canti, Agnese ed Egidio appaiono fuori parte, Lucia paga un po’ l’emozione della prima, l’Innominato è il migliore in scena. La regia è serrata e ricca di belle intuizioni che sfruttano al massimo i vasti mezzi a disposizione. Tornerò sull’inizio metateatrale che presenta i personaggi in uno spaccato di prove, e poi citerò in particolare l’incubo di Don Abbondio, Verrà un giorno e la scena che mescola Addio Monti con la sera al villaggio del Capitolo VII. Qualche piccolo eccesso di zelo pedagogico (Lucia in azzurro pallido – quasi un’Alice lombarda – e l’entusiastico uso della macchina del fumo) e gli occasionali scivoloni (i pipistrelli dell’Innominato) si perdonano volentieri di fronte ai bellissimi quadri d’insieme e alla generale ottima qualità della produzione.

La musica di Pippo Flora è mossa, ariosa, accattivante, un po’ ineguale e ricca di spunti. Puccini, Britten, Bernstein, Lloyd-Webber, l’Opera Buffa e il musical italiano aleggiano in un insieme che mescola canti gregoriani e chitarre elettriche, raggiungendo punte entusiasmanti nelle scene corali e rischiando di sfarsi in banalità sentimental-melodiche in qualcuno degli a solo – in particolar modo quando si tratta di Renzo e di Gertrude. Gli echi pucciniani di Lucia diventano quasi un leit motiv, ma d’altra parte tutti i temi ricorrenti sono davvero ricorrenti, in particolare quello della folla, che ricompare spesso e con poche variazioni. E’ senz’altro un elemento di coesione della partitura, ma sfiora da molto vicino il rischio di diventare ripetitivo.small_180promessisposi.jpg

E adesso veniamo al testo di Guardì, sul quale – you guessed it! – si concentrano le mie perplessità. Per prima cosa, riconosco che non era facile condensare i decenni di lavoro di Don Lisander in un ragionevole numero di versi orecchiabili e scorrevoli. Dal punto di vista drammatico non ho nulla da dire: gli episodi sono ben scelti e con qualche soluzione originale (l’incubo di Don Abbondio, per esempio), il ritmo è buono, la logica narrativa ineccepibile. Detto questo, vorrei avere un centesimo per ogni volta in cui qualcuno dice Amore, Potere, Legge, Diritti e Disperato/a/i/e: non dico la cena, ma di sicuro potrei offrirvi l’aperitivo. Per dare a Lucia una voce semplice senza grossolanità, Manzoni aveva ridotto il vocabolario della fanciulla a poche centinaia di parole; Guardì sembra avere applicato il principio a tutto il suo libretto, con particolare enfasi sulla povera gente oppressa e indifesa, la malvagità congenita del potere e tutto il consueto – e non eccessivamente manzoniano -armamentario. Quando il coro di contadine lombarde si è definito “sempre in cerca di una possibile uguaglianza” ho creduto di slogarmi i bulbi oculari… L’inizio soffre alquanto di questa coloritura politica (perfettamente anacronistica per il Seicento dei personaggi e del tutto fuori registro per Manzoni) e non trae gran giovamento dagl’insistiti riferimenti al nonno Beccaria – poi delitti&pene scompaiono, la politica si stempera un po’ e rimaniamo con il lessico striminzito, le rime ripetitive e un paio di caratterizzazioni sommarie: non mi lamenterò dei morosi eponimi (e ammetto che rendere drammaticamente interessante la povera Lucia è a bit of a feat), ma ho da ridire sull’Agnese solo vagamente imparentata con quella del romanzo e la Gertrude ritratta in un tripudio di forzature sentimentali. Infine ci sono alcune cose lievemente buffe, come l’inno a Milano alla fine del primo atto: capisco l’intento di mostrare la meraviglia del giovane provinciale di fronte alla grande città, ma a furia di ecco Milano, dove la vita ti appartiene, dove tutto è bello, mi aspettavo che saltasse fuori Gaber da un momento all’altro…

i_promessi_sposi_opera_moderna.jpgAd ogni modo, non lasciatevi ingannare dalla mia incontentabilità in fatto di testi: lo spettacolo è visivamente e musicalmente bello, a tratti emozionante, magnificamente prodotto, bene interpretato, e sprizza energia, entusiasmo e qualità. Spero che avvii una stagione nuova e non cocciantiana per il musical italiano.

A proposito, l’unica nota che mi ha davvero infastidita è proprio questa insistenza nel voler definire IPS un’opera moderna – concetto ribadito dall’onnipresente Baudo in una fulminea intervista post spettacolo: “questo è un musical, ma non in senso negativo,” ha detto il Pippo nazionale, come se il musical fosse un sottogenere deviato e leggermente disdicevole, non arte vera e propria. Non da oggi penso che il musical sia l’erede naturale dell’opera lirica ottocentesca: c’è davvero bisogno di essere schizzinosi in proposito?

 

I Promessi Sposi – Opera Modernaultima modifica: 2010-09-02T08:32:00+02:00da laclarina
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8 Commenti

  • D’accordo sul giudizio generale (non sulla distanza dai cocciantiani). Ecco la mia critica:
    Renzo è poco goffo, la madre di lucia è poco furba, Don Rodrigo poco sguaiato, la monaca di monza troppo sentimentale, l’innominabile poco nero; e non è (solo) colpa degli attori, è colpa di un generale appiattimento su toni melodrammatici e sentimentali e del taglio selvaggio (quanto immotivato) di tutte le sfumature grottesche, ironiche, comiche (be’, a parte la più scontata: Don Abbondio). Non capisco perché non ci si possa anche divertire: IPS gronda ironia, Romeo e Giulietta è vitale, sboccato: le riduzioni in musicaL sono risultate sempre, immancabilmente appiattite su toni patetici, lirici e drammatici.

    Ah, la musica sfiora la ripetitività? Sei proprio buona 😉 Alla fine io e mia moglie parlavamo al ritmo del ritornello della folla (vada metteril pi gia ma – puzzi fatti anchè la do ccia)

    Vacanze passate ottimamente, grazie. Primo giorno del rientro: dito del piede rotto e contrattura alla schiena.

  • A proposito di Promessi Sposi. Io mi sento davvero controcorrente, perché lo reputo un capolavoro.
    Sono stufo di sentirne parlar male. Un libro così complesso e mirabile non merita gli aspri giudizi di molti. Forse non gli hanno reso un buon servizio, imponendolo a scuola.

  • @ Renzo: temo che qualcosa vada sempre sacrificato, quando si passa in musica – e spesso sono le sfumature. Ma non solo nel musical: hai presente il Marchese di Posa nel Don Carlos di Verdi? E non è nemmeno tutta colpa dei librettisti: persino Verdi ci ha messo del suo. E mi sa che tornare dalle ferie non ti faccia granché bene, a te…

    @ Danilo: concordo. Di sicuro lo apprezzo molto di più adesso di quando ero al Ginnasio. Sono così grata di essere stata cooptata nella lettura integrale dell’UTE!

  • Uh, I promessi sposi. Il mio nick è “Renzo” e non c’è altro da aggiungere, se non: andate a leggere i commenti dei lettori americani su Amazon. Stupefacente. Se siete un po’ perversi, confrontate quei giudizi (il modo in cui sono strutturati e argomentati) con i commenti italiani a IPS su anobii o IBS.

  • E’ lo spettacolo più brutto che abbia mai visto! Testo e regia non sono né fedeli a manzoni (per i numerosi fraintendimenti, ad esempio il don Rodrigo selvaggio e passionale anziché schiavo degli obblighi del suo rango, l’Agnese piagnucolosa e priva di senso pratico, l’insistere continuo sull’amore) né un’originale rielaborazione (per l’appiattimento su luoghi comuni). E Renzo, che è il protagonista, non ha psicologia. Ma su questo pazienza, in un’opera musicale quello che conta è la musica. Solo che la musica è ancora peggio: un unico motivo, non brutto per la verità, che però si ripete in continuazione dall’inizio alla fine, inframezzato da qualche assolo che non chiamerei musica. Tanta mancanza di impegno da parte del compositore mi sembra quasi offensiva verso il pubblico

  • @ Renzo: immaginavo che ti sentissi chiamato in causa personalmente :-). Per quanto riguarda i commenti americani, affascinante esercizio che non avevo mai pensato di fare. Un giorno o l’altro ci posterò su. Grazie per la segnalazione.

    @ Ben: addirittura il più brutto! Avrai visto nel post che sono d’accordo con te su vari aspetti, ma resto dell’idea che la semplificazione sia un articolo inevitabile nella produzione di un musical. Per quanto riguarda la musica, resto convinta che ci sia di peggio – e comunque mi irritano più gli allascamenti melodici che il tema (iper)ricorrente.

  • bah, a me sembra semplicemente stupendo…

  • l’ho visto grazie alla mia scuola, è stato piacevole ma non tanto
    le melodie erano quasi sempre le stesse e la storia era tagliata male