Feb 12, 2011 - Oggi Tecnica    2 Comments

Elevator Pitch

Ricordate The Sentence? Il vostro romanzo in quaranta parole, esercizio di focalizzazione – perché fa sempre comodo avere ben chiaro che genere di storia stiamo raccontando – nonché strumento di promozione, buono per l’editor incontrato al ristorante, per il lettore ancora solo vagamente curioso e per l’intervistatore alla fiera del libro…

In un articolo su The Red Room, Nina Amir propone un’interessante variazione sul tema, incentrata sul concetto di Elevator Pitch. Il termine è mutuato dal marketing, e descrive un’introduzione del proprio prodotto/servizio/ditta/libro tanto breve da poter essere fatta nel corso di uno spostamento in ascensore, e tanto efficace da spingere l’interlocutore a formulare la magica richiesta: “Mi dica di più..”

Il discorso è interessante perché Amir non si limita a prescrivere la preparazione di una Sentence, ma spiega anche come usarla all’atto pratico, supponendo di ritrovarsi in ascensore o al buffet con il responsabile delle acquisizioni della casa editrice dei nostri sogni.

Punto primo: se credevamo che comprimere un romanzo in quaranta parole fosse un’ordalia, adesso la cosa si complica ulteriormente: 25 o 26 parole, dice Amir, e davvero non vogliamo superare il limite. Questo perché nell’ipotetico mezzo minuto non vogliamo parlare  solo noi. L’editor deve avere il tempo di fare qualche domanda, anzi: in un mondo perfetto dovremmo indurlo a fare qualche domanda, con il nostro perfetto, attraentissimo, intrigante pitch di 25 parole. Ecco che allora ogni singola parola, ogni congiunzione e ogni articolo devono essere valutati con cura, ogni aggettivo deve raccogliere più connotazioni possibili, ogni verbo deve essere tanto efficace quanto può esserlo. Diventa necessario scegliere tra nomi, cognomi e attributi, o addirittura tra premesse, tratto singolare e antagonista. Qual è l’aspetto più unico della storia? Che cosa solleticherà di più la curiosità dell’interlocutore?

Una bambina disobbediente gioca una partita d’astuzia con un lupo parlante, e la posta in gioco è la sopravvivenza. (19)

Punto secondo: un tratto fondamentale dell’elevator pitch è quello di mettere in risalto il beneficio per il consumatore. Ora, questo può essere ovvio per la pasta d’acciughe, il sapone liquido e per un libro su come imparare a suonare il violino da soli. Per un romanzo sembra quasi impossibile, vero? Qual è mai il beneficio di leggere un romanzo, a parte il piacere di leggerlo? Amir suggerisce di concentrarsi sul tema di fondo: che cosa impara il protagonista? Verosimilmente è quello che imparerà anche il lettore.

In una letale partita d’astuzia con un lupo parlante, una bambina impara che la mamma ha sempre ragione: mai parlare agli sconosciuti. (22)

Punto terzo: una volta pronto il pitch, bisogna anche impararlo a memoria, esercitarsi a dirlo in modo fluido, sicuro e non meccanico. All’editor  che potrebbe comprare il nostro libro (e, se lo fa, dovrà vendere anche la nostra immagine insieme al parallelepipedo di carta) vogliamo dare l’impressione di sapere quello che diciamo, di essere brillanti, sani di mente e competenti su quello che abbiamo scritto.

Punto quarto: bene, immaginiamo che il pitch abbia funzionato. L’editor annuisce e ci invita a dirgli qualcosa di più… vogliamo farci cogliere impreparati? Giammai, poffarbacco! E’ qui che Amir suggerisce di prepararsi almeno tre punti su cui sviluppare il discorso, tre aspetti rilevanti del libro e/o di noi (se abbiamo ambientato il libro in Cina dopo avere trascorso dieci anni a Pechino, questo è un buon momento per dirlo), tre buoni motivi per cui l’editor dovrebbe sentirsi ancor più interessato al nostro romanzo e a porre altre domande.

La storia esplora vecchi temi legati al folklore centroeuropeo, sezioni della narrazione sono nel punto di vista del lupo/antagonista per mostrare la protagonista attraverso occhi ostili, e ho ambientato il tutto in un Settecento tedesco ricostruito con un misto di rigore storico e concessioni al fiabesco…

A questo punto dovremmo essere avviati felicemente e, se l’editor decide che il libro non fa per lui, almeno sapremo di non avere rovinato tutto con le nostre mani. Possono esserci infiniti motivi per cui la casa editrice dei nostri sogni non vuole pubblicare il nostro romanzo, ma se – quando l’occasione si presenta – riusciamo ad essere efficaci, brillanti e concisi, non saremo noi ad aggiungerne uno in più.

Elevator Pitchultima modifica: 2011-02-12T07:42:00+01:00da laclarina
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2 Commenti

  • Utilissimo, questo post. Mi piacerebbe presentarmi a una casa editrice con 40 parole su un libro che non esiste, ma temo che prima dovrò fare lo sforzo di scriverlo.

  • Sì, forse se lo aspettano… In teoria sarebbe divertente vendere a un editore un libro che non c’è, ma pensa se poi ti dicono “fantastico, ci mandi il manoscritto entro la settimana!”
    Er… A meno che non sia un libro a proposito di uno scrittore che sottopone a un editore un libro inesistente… segue omicidio? Furto con scasso? Ma che cosa sto facendo? Sei tu quello delle trame!! :o)