Josephine Tey Alla Riscossa

josephine tey, mondadori, la figlia del tempo, gialliSono o non sono anni che vi dò il tormento a proposito di Josephine Tey?

Perché quando pensiamo al giallo classico inglese tutti abbiamo in mente Agatha Christie, ma c’è anche altra gente – come Ngaio Marsh, come Dorothy L. Sayers e come Josephine Tey.

Josephine Tey in realtà si chiamava Elizabeth Mackintosh, era un’insegnante scozzese – un’insegnante di ginnastica col dono delle storie. Cominciò con il teatro: sotto lo pseudonimo di Gordon Daviot* scrisse numerosi plays di argomento storico e meno storico, in particolare Richard of Bordeaux, che adesso è piuttosto dimenticato, ma all’epoca fu un enorme successo e fece del giovane (e non ancora Sir) John Gielgud una stella delle scene inglesi. josephine tey, john gielgud, richard of bordeaux

E poi al teatro si aggiunsero, sotto il nome di Josephine Tey, una biografia** e i romanzi. Gialli, per lo più, e in particolare le indagini dell’Ispettore Alan Grant. Grant appartiene al genere dell’ufficiale di polizia di buona famiglia: un gentiluomo educato in una public school, dotato di ottime maniere e interessi letterari, amicizie e utili conoscenze in tutto lo spettro sociale – ma non per questo meno tosto. 

josephine tey, mondadori, mike wigginsE naturalmente indaga in quell’Inghilterra che non c’è più – e chissà se ci sia mai stata fino in fondo, ma mi piace pensare di sì – in cui si prende il tè alle cinque, i landruncoli cockney chiamano tutti guv’nor e le celebri attrici portano guanti al gomito e cappelli a tesa larga, un’Inghilterra fatta di paesini di campagna e strade londinesi, teatri shakespeariani e magioni della buona, vecchia e solida gentry. Un’altra celebre giallista, P.D. James, dice che tutto ciò fa dei gialli teyiani quasi dei romanzi storici, con la loro “rievocazione di un’epoca gentile, pacifica e rispettosa delle gerarchie.***” E P.D. James, dopo tutto, quel mondo lo ha conosciuto… quindi forse, almeno in parte è esistito. josephine tey, mondadori, mike wiggins

Ma non divaghiamo. Se torno a parlare di Josephine Tey è perché Mondadori ripubblica alcuni dei suoi romanzi. Li ripubblica negli Oscar – i buoni vecchi Gialli Mondadori, che gialli non sono più, ma fa lo stesso, perché arrivano con delle belle copertine vecchia maniera di Mike Wiggins, illustratore Penguin. Non so dirvi nulla delle traduzioni – opera di gente diversa. Se qualcuno ha commenti da fare in proposito, però, è il benvenuto.

E i libri sono quattro: ci sono tre avventure di Grant – a partire da È caduta una stella (Shillings for candles****, 1933), passando per La strana scomparsa di Leslie (To love and be wise, 1950), fino a La figlia del tempo (The daughter of time, 1951); e poi c’è Il ritorno dell’erede (Brat Farrar, 1949), giallo atipico con un mistero vecchio di otto anni che torna a galla nella maniera più inaspettata. Li trovate tutti qui.

josephine tey, mondadori, mike wigginsE chissà se il vecchio mistero irrisolto di Brat Farrar sia stato una specie di prova generale in vista de La figlia del tempo… Perché ecco, se volete leggere un solo libro de Tey, badate che sia quello. E in realtà, anche se non volete leggere libri di Tey, anche se non v’interessa un bottone della Vecchia Inghilterra, anche se i cozies non sono la vostra tazza di tè – La figlia del tempo vale davvero la pena. Il fatto che nel 1990 la Crime Writers’ Association lo abbia eletto il miglior giallo di sempre può anche non significare molto, ma parliamo piuttosto del fatto che si tratta di libro estremamente singolare, intelligente e ben scritto. Parliamo di come Tey abbia inaugurato il genere del cosiddetto armchair mystery, confinando il povero Grant in ospedale e facendogli dirigere da lì una sorta d’indagine a distanza di secoli sull’omicidio dei Principi nella Torre, i nipoti di Riccardo III. Parliamo di come ciò renda Tey la zia dei gialli storici e la fata madrina di tutti i Riccardiani del vasto mondo anglosassone. Parliamo dell’aguzza analisi della leggenda nera di Riccardo – e di tante reputazioni storiche costruite alla stessa maniera. E se vi pare che tutto ciò suoni noioso, credetemi: non lo è. Già il fatto di dare ritmo a un giallo in cui l’investigatore è a letto con una vertebra fratturata non è impresa da poco. Qualora non bastasse, il giallo diventa una meravigliosa riflessione sulla storia e sulla verità, ed è anche condito di dialoghi scintillanti. Molto vicino alla mia idea di perfezione, grazie.

Semmai vi fosse venuta voglia di leggere La figlia del tempo (e dovreste, se nutrite anche il più pallido interesse per la storia e il modo in cui si costruisce e racconta), qui trovate qualche link: in Italiano e in Inglese, di carta e Kindle…

     

_____________________________________________________

* Pseudonimo maschile, sì. Si supponeva che il teatro prendesse più sul serio un autore maschio – almeno agli esordi. Singolare come, sotto certi aspetti, gli Anni Trenta fossero ancora Brontë Country, vero?

** Claverhouse, ovvero la vita del pittoresco generale seicentesco John Graham, conosciuto come Bonnie Dundee. Se avete letto Old Mortality di Scott vi sarete imbattuti in lui.

*** Dall’introduzione ai romanzi di Tey pubblicati negli Oscar Mondadori.

**** Nel 1937 uno Hitchcock pre-Hollywood ne trasse (molto liberamente) un film: The girl was young, giunto in Italia come Giovane e innocente.

Josephine Tey Alla Riscossaultima modifica: 2012-05-28T08:10:00+02:00da laclarina
Reposta per primo quest’articolo

16 Commenti

  • “La figlia del tempo” preso sulla fiducia in formato Kindle, sembra proprio un libro interessante.

  • Per me è stata una bella scoperta 🙂 E sì, anche a me piacerebbe avere un commento sulle traduzioni: per sicurezza ho preferito leggere la Tey in originale. Dove mi consigli di andare dopo The Daughter of Time e Brat Farrar?

  • @Pat: spero che ti piaccia. Mi farai sapere?

    @Livia: visto che leggi in originale, direi A Shilling for candles se vuoi continuare con l’Ispettore Grant, e/o The privateer per il coté storico: romanzo basato sulla vita di Henry Morgan. Gradevole lettura di per sé, e interessante perché Tey negli Anni Trenta anticipava il dibattito sul linguaggio nel romanzo storico.

  • Farò sapere volentieri, perlomeno le prime impressioni (sto leggendo contemporaneamente non so quanti libri e prima di affrontare questo della Tey cercherò di terminarne almeno un paio!).

  • Ho una sopportazione limitata per i cozies, ma The Daughter of Time era sulla mia lista dai tempi della proclamazione a miglior giallo dell’universo.
    Chissà che con l’estate…
    Grazie della segnalazione.

  • @Pat: non c’è fretta. Conosco gioie e ansie della lettura multipla… 🙂

  • @laClarina: grazie mille per i suggerimenti, in casi come questi l’indecisione mi distrugge e l’indicazione di un lettore fa la differenza 🙂

  • @Davide: I know, I know… 🙂 Ma, se ti consola, in realtà è un cozy in un senso molto limitato. È metodo storiografico drammatizzato. E, pensandoci bene, quanto mi piacerebbe portarlo a teatro!

    @Livia: lieta di essere d’aiuto. 🙂

  • @Livia: e ovviamente prima intendevo negli Anni Cinquanta, non negli Anni Trenta…

  • Mi hai davvero intrigato e ancora una volta sono davvero costernata con me stessa per la mia irrecuperabile ignoranza.
    Dopo aver letto praticamente tutto della produzione della Cristie mi viene da pensare di aver perso il mio tempo visto che mi era sfuggita questa autrice…
    Rimedierò di certo perchè ci sono tutti gli ingredienti per cui ho grande passione! Grazie della segnalazione!

  • @Cily: ti dirò che il bello – e intendo proprio il bello – della faccenda è che per quanto si legga, c’è sempre qualcosa d’altro da leggere. Per dire, Ngaio Marsh, collega di Tey e Christie, l’ho scoperta da poco, e mi piace da matti. Ne parleremo…

  • Io il poco che ho letto della Marsh l’ho trovato un po’ lento – ma all’epoca stavo leggendo la Sayers, e quindi è stata una questione di partigianeria.

    E poi a me piace molto – che c’entra pochissimo – Craig Rice, che con la Marsh faceva letteralmente a pugni (mi sa che ci faccio un post per mercoledì… la notte è giovane).

  • Davvero interessante, il tuo post mi ha fatto proprio venire la voglia di leggerla! Grazie!

  • @Davide: quel che adoro in assoluto di Marsh è l’ambiente teatrale in cui si svolgono tante delle sue storie. E poi, vogliamo parlare di wishful reading? Death at the Dolphin, con l’autore/regista che si ritrova a dirigere un teatro restaurato – e comincia con un suo lavoro d’argomento shakespeariano…

    @Nora: se lo fai, torni da queste parti a raccontarci com’è andata?

  • Beh, se ben ricordo la sua biografia, la Marsh aveva dei buoni motivi per metterci in mezzo il teatro…

  • “Quite,” she said, doing a Greenslade. 🙂