Il Figlio Del Fattore

Una decina di anni fa, dopo avere letto il primo volume della mia inedita trilogia sulle guerre di Vandea, P. mi fece una lunga e dettagliata disamina del tomo, nel bene e nel male. “Oh,” mi disse a un certo punto, “e non sai quanto mi è dispiaciuto per il figlio del fattore.”

 Se aveva voluto basirmi, c’era riuscita. Il romanzo sfiora le duecentocinquantamila parole e l’elenco dei suoi personaggi somiglia all’anagrafe di un piccolo comune. Francamente, pur avendo finito di scrivere il tutto da pochi mesi, non mi ricordavo nemmeno io chi fosse il figlio del fattore, e che cosa gli succedesse per far dispiacere P. Presumibilmente ci lasciava le penne, dato il tipo di storia e di ambientazione, ma non ne ero per niente sicura, e lo dissi.

 P. scrollò le spalle. Non sapeva che cosa farci se ero un essere senza cuore che creava gente e la mandava al macello senza nemmeno ricordarsene: a lei il figlio del fattore piaceva, e aveva anche versato una lacrimuccia o due sulla sua sorte.

 “Non si può negare che tu l’abbia letto approfonditamente,” dissi, e la cosa finì lì. Tuttavia, ogni tanto ancora mi chiedo che cosa avesse il figlio del fattore per imprimersi così nella mente di P., che ancora si ricorda di lui.

 E d’altra parte, chi ero io per protestare, considerando la collezione di personaggi minori – minorissimi a cui mi capita di affezionarmi al di là delle intenzioni dell’autore? Non posso nemmeno dire che siano casi isolati: lo faccio tutto il tempo, tanto da poter individuare alcune categorie del fenomeno:

 1) Felice Cammeo: ne Il Discepolo del Diavolo, di George Bernard Shaw, il Maggiore Swindon (credo che ne abbiamo parlato di recente) è quel che si dice un bit-parter. Credo che abbia una ventina di battute, nessuna delle quali troppo notevole. Swindon è un magistrato militare coscienzioso e non brillantissimo, che cerca di restare inglesemente inglese mentre le colonie delle Indie Occidentali gli crollano attorno. Non è importante, non è nemmeno molto simpatico, ma è così ben caratterizzato che è difficile non dispiacersi un pochino per lui mentre gli altri personaggi fanno dello spirito ai suoi danni e su tutto quello che per lui è sacrosanto. Pennellata minore e ben riuscita.

 2) Sidekick Sottoutilizzato: ho difficoltà a identificarmi con i protagonisti senza macchia e senza paura, che ci posso fare? Non ricordo chi fosse l’autore delle Avventure di Robin Hood che ho letto da ragazzina, ma l’allegro brigante era così longanime, saggio, pio, nobile e retto che lo Sceriffo di Nottingham non aveva tutti i torti nel volerlo eliminare. In compenso c’era Guglielmo il Rosso, SIC dai tratti promettenti, intelligente ma avventato, leale ma riluttante a morire impiccato. Poteva essere più complesso del suo capo, ma no: l’autore era così intento a cantare le lodi del buon Robin che Guglielmo era relegato a praticamente nulla… Venticinque anni dopo, la faccenda mi rode ancora.

 3) What’s In A Name: questa non mi aspetto che la prendiate come una prova di salute mentale, ma tant’è. Credo di essermi già dilungata sul fascino che i nomi esercitano su di me, e a volte un nome che mi piace è sufficiente a farmi sviluppare una predilezione per un personaggio. È il caso (non ridete!) di Jean de Satigny ne La Casa Degli Spiriti. Ero molto decisa a simpatizzare con lui per l’ottimo e profondo motivo che si chiamava Jean, capite? Va detto che questo è un caso estremo, perché non c’era un’anima che mi piacesse in tutto il libro, e perché la predilezione era singolarmente ingiustificata.

 4) Questione Di Tema: ne La Pazzia di Re Giorgio, di Alan Bennet, il giovane Greville è l’unico tra gli scudieri reali a mostrare compassione per il vecchio re malato e, di conseguenza, è l’unico che viene licenziato a guarigione avvenuta, perché non c’è nulla di grave come avere pietà dei re. LPdRG è una faccenda popolata di personaggi scritti divinamente, ma l’idea che la gratitudine dei re funzioni in modo diverso da quella dei comuni mortali e la lealtà mal ricompensata sono temi che mi affascinano, hence la mia perdurante predilezione per il povero Greville.

 5) Carne Da Cannone: è vero che sono passati più di vent’anni, ma di tutta la multilogia di Shannara mi ricordo vividamente solo un capitano della guardia elfica che cadeva da un ponte (per non ricomparire più) all’inizio di non so più quale volume. Dite che sia molto grave? Forse Brooks lo aveva caratterizzato un pochino troppo, visto che era così spendibile… Ripensandoci, ricordo anche di essermi lamentata in proposito con la compagna di banco che mi aveva prestato il libro, ottenendone in cambio uno scrollar di spalle e un levar di sopracciglia simili ai miei di fronte a P. e al suo figlio del fattore.

6) Carne Da Cannone II (o The Early Victim): la situazione non è sempre infelice come al n° 5. In Se Morisse Mio Marito di Agatha Christie, Donald Ross è un giovane attore scozzese, abbastanza sveglio da notare cose che non dovrebbe notare – mettendo in pericolo l’assassino. Si capisce che non vive abbastanza a lungo per mettere Poirot a parte dei suoi dubbi, ma fa in tempo ad allertarlo sul fatto che qualcosa non va. È solo un bit parter in mezzo a una congerie di ottimi personaggi, ma resta il fatto che, tecnicamente, è lui a capire tutto – la prende nelle costole. È concesso simpatizzare, non credete?

 Esperienze simili, anyone? Altre categorie da suggerire? E, già che ci siamo, P., dimmi la verità: in quale categoria piazzi il figlio del fattore?

Il Figlio Del Fattoreultima modifica: 2012-06-22T08:10:00+02:00da laclarina
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10 Commenti

  • Duecentocinquantamila parole?!
    Mi sento maledettamente inadeguato.

    Sui bit players, mi domando se la narrativa di genere con la quale mi intrattengo prevalentemente non abbia una diversa profondità di campo – che porta maggiormente in risalto i protagonisti appiattendo le comparse fino a renderle volutamente, necessariamente anonime.
    D’altra parte, quando si scrive un romanzo da 50.000 parole ogni due settimane, è necessario compiere dei compromessi e se si dovessero dare un nome, un volto ed un manierismo ad ogni bit player, si finirebbe in bolletta.

    Però, però, però… il ciclo del Nuovo Sole di Gene Wolfe è costellato di personaggi che compaiono per una sola scena, sono caratterizzati benissimo, e poi – alla terza o quarta rilettura – si capisce che non erano affatto personaggi marginali, anzi…
    Il discorso vale per un sacco, ma proprio un sacco di lavori di Wolfe.

    Più maneggevole, ma altrettanto zeppo di personaggi minori molto ben caratterizzati è Dune, di Frank Herbert (l’osservazione “ho solo visto il film” verrà interpretata come offensiva)… Gurney Hallek e Duncan Idaho non si qualificano forse come “minori”, ma sono certamente memorabili.

  • Duecentocinquantamila. Ero molto giovane e piena di sacro fuoco. Ci ho messo due anni.
    Scommetto che a riprenderlo in mano adesso, dopo un serio editing uscirebbe men che dimezzato.

    E no: Dune non l’ho letto – e nemmeno ho visto il film.

  • La cosa che mi impressiona è che sia il primo volume di una trilogia…
    😀

    Dune rimane consigliato, possibilmente in originale – c’è una bella edizione hardback Gollancz a prezzo potabilissimo. Da amante della narrativa storica, gli intrighi rinascimentali del romanzo di Herbert dovrebbero piacerti.
    Ma d’altra parte, il mondo è pieno di libri che sarebbe bello leggere…

  • Ti dirò di più: ne esiste anche un secondo volume di 140000 parole o giù di lì. Il terzo… mah. P., quella del figlio del fattore, mi dà il tormento ogni volta che le annuncio un progetto nuovo: “E finire la Vandea no, eh?”

  • Oddio…così a freddo non mi viene in mente nessun personaggio precisamente ma so che mi capita di appassionarmi a personaggi apparentemente inutili tanto che a volte mi verrebbe voglia di scrivere un racconto per dar loro risalto…
    E comunque mi capita di fare la stessa cosa con i dipinti e le fotografie…
    Non ci posso fare niente, tendo sempre a guardare dietro ai soggetti principali, a volte molto molto più indietro…
    E attraggono la mia attenzione personaggi sullo sfondo a volte appena abbozzati…non so perchè ma mi viene di domandarmi chi erano e perchè passano di lì e dove vanno…
    Immagino che sia parte del vizio della mia mente di vagare perciò non ama essere necessariamente imbrigliata dove la vuoi far stare…
    Alla fin fine è colpa del fatto che non sono solo un lettore ma mi piace anche molto, anzi moltissimo, immaginare e scrivere…

    Una volta un mio amico mi disse:
    “Ma come farai adesso che in Italia non tradurranno il terzo volume di questa trilogia che stai leggendo?”
    “Beh immaginerò la fine…lo so che non è la stessa cosa ma per un po’ so già che dedicherò del tempo ad immaginare cosa potrebbe esserci scritto nel terzo volume e ti dirò alla fine so che mi soddisferà!”

    E’ un po’ come riempire quei buchi che vengono lasciati e secondo me il personaggio secondario che rimane appena appena accennato offre moltissimo spazio di manovra! 🙂

  • @Cily:
    “mi capita di appassionarmi a personaggi apparentemente inutili tanto che a volte mi verrebbe voglia di scrivere un racconto per dar loro risalto…”
    Anch’io! Tutto il tempo – e qualche volta ho anche ceduto all’impulso.

  • “un capitano della guardia elfica che cadeva da un ponte (per non ricomparire più)”

    Un elfo di meno non si ricorda con dispiacere 😀

  • @Alessandro: non dirmi così, che a D&D ho sempre giocato da elfo… 😀

  • Io amo i cattivi.
    Finisco sempre per provare grande simpatia (nel senso etimologico del termine) per loro, mi trovo sempre a domandarmi quali terribili esperienze della vita siano responsabili per simili comportamenti, e alla fine li giustifico e li amo.
    Non sono cattivi, è che li disegnano così. (cit.)

  • @Marta: uh, i cattivi… Questa dei cattivi è tutta un’altra faccenda. Mi sa che ci farò un post. E tra l’altro ho già in programma un post ispirato dalla tua recensione de La Particolare Tristezza Della Torta Al Limone.
    Ma di cattivi parleremo senz’altro.