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Nov 11, 2009 - considerazioni sparse, grillopensante, guardando la storia    Commenti disabilitati su Epifanie

Epifanie

A volte ci vogliono vent’anni, per capire.

Vent’anni e una notte semi-insonne a rileggere vecchi diari, a cercare di ricordarsi come si era da ginnasiali, che cosa si pensava, perché si piangeva come fontane davanti ai servizi da Berlino…

Ebbene, adesso – adesso so perché piangevo. Piangevo perché per la prima volta nella mia vita vedevo la storia fuori dai libri. La vedevo succedere intorno a me, ed era così piena di forza, e viva, e travolgente. Gli imperi crollavano davvero, e la folla cantava davvero nelle piazze, e abbatteva frontiere. Un conto era sapere in teoria che il mondo poteva cambiare in una notte, e tutt’altro era vederlo succedere…

E all’improvviso, tutto quello che avevo imparato, tutte le vicende remote che erano state solo carta e inchiostro prendevano vita, come se vederne accadere una le rendesse tutte più reali, infondesse loro respiro, soffiasse via tutta la polvere che le aveva ricoperte. La notte del 9 novembre 1989, mentre finiva la Guerra Fredda, mentre crollava la Germania Est, per me il mondo assunse un nuovo significato, un nuovo grado di realtà che contemplava cambiamento e movimento – tutto diventava più vivido, più profondo, cangiante, pieno di correnti. Era elettrizzante, era sconvolgente, era meraviglioso.

Doveva esserci un motivo se la caduta del Muro è l’avvenimento non strettamente famigliare che mi ha segnata di più nella mia vita. Adesso so perché.

 

Dove eravate?

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Dov’eravate, vent’anni fa, come stasera?
Io incollata alla televisione, con i miei genitori. “Guarda bene,” disse mio padre, con gli occhi lucidi. “Guarda, perché non te lo dimenticherai più.”

Io avevo quindici anni, e mio padre aveva ragione. A cena i miei genitori mi raccontarono i loro ricordi di quando il muro era stato costruito, e poi brindammo ai Berlinesi, ai Tedeschi, a Gorbaciov, alla fine di un’era, all’inizio di un’altra. Era un mondo nuovo.

E voi?

Ott 29, 2009 - libri, libri e libri    2 Comments

I libri altrui

Una volta, anni fa, ero seduta nella sala d’attesa della stazione ferroviaria di Nantes, aspettando una coincidenza particolarmente scomoda, ed ero immersa nella lettura di una biografia di Henri de La Rochejaquelein. Ero tanto presa, in effetti, da impiegare una vita ad accorgermi di qualcuno accovacciato sul pavimento a poca distanza dalle mie ginocchia, intento a frugare in una borsa sportiva. E frugare. E frugare. E frugare…

Alla fine, getto un’occhiatina surrettizia e vedo un ragazzo occhialuto, su per giù mio coetaneo, che finge di frugare nella sua borsa, ma di fatto cerca disperatamente di vedere che cosa la sottoscritta stia leggendo. Allora, con un gran sorriso, sollevo il libro in modo da mostrargli la copertina… lui, colto sul fatto, sobbalza, arrossisce, afferra la sua borsa aperta e scappa via correndo di traverso. Ma prima di scappare, getta uno sguardo al titolo. Dalla mia fila di sedie e da quella di fronte si leva un coro di risatine, e io torno alla mia lettura.

Fine dell’aneddoto.

Però, sapete? Il ragazzo francese non aveva nessun motivo di sobbalzare e scappare: anch’io non posso fare a meno di cercar di vedere che cosa legge il prossimo in treno, in aereoporto, nella sala d’aspetto del veterinario. E’ più forte di me. Mi giro senza parere, fingo di allacciarmi una scarpa, rischio di slogarmi i bulbi oculari, assumo interessanti sfumature di carminio quando vengo presa in castagna… Ieri, sull’aereo da Berlino, il mio vicino di sinistra leggeva un libro illustrato sulla caduta del Muro. E poi c’era una ragazza che leggeva Checov in Tedesco. Visto? Lo faccio tutto il tempo.

Curiosità? Sì e no. La tentazione di inquadrare una persona sulla base di ciò che legge è forte. E so benissimo che un singolo libro non è significativo, meno ancora in una situazione di passaggio… voglio dire, in viaggio a volte si leggono strane cose: i libri che abbiamo comprato per regalarli a qualcun altro, o l’unica cosa decente che abbiamo trovato al Duty Free, o il libriccino piccolo che stava nel bagaglio a mano, o un prestito di un compagno di viaggio… oppure no. Non è detto. Non è significativo. Eppure lo si fa. E si traggono conclusioni: il mio vicino di sinistra, che aveva l’età per ricordare il 1989, era venuto a Berlino per tutt’altre ragioni ma poi, camminando per la città e vedendo le installazioni in Alexanderplatz e le fotografie nei caffè, i ricordi sono riemersi. Vecchi telegiornali, titoloni concitati a cinque colonne, magari qualche telefonata agli amici tedeschi, Rostropovich che suona davanti al Muro… “Sciocchezze!”, si è detto più di una volta. Ma alla fine non ha resistito, e prima di imbarcarsi ha comprato il libro, e durante il viaggio… E via pindareggiando in questo modo.

Io, per la cronaca, stavo leggendo “A Dagger For Two”, un romanzo storico su Christopher Marlowe scritto negli Anni Sessanta. Libro di seconda mano, edizione tascabile un po’ logora… chissà che cosa ne ha dedotto di me. Perché ha guardato che cos’era, oh se ha guardato! E senza parere, ho voltato la copertina in modo che potesse leggere. Anche lui era della stessa tribù, dopo tutto. Come il ragazzo francese a Nantes, tanti anni fa. Quelli Che Guardano I Libri Altrui.