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Ott 17, 2018 - grillopensante    6 Comments

La Legge della Rosa e del Formaggio

RosecQuesto post è per T., che si scandalizza sempre un po’ quando parliamo di forma e di sostanza.

Allora, per inclinazione personale e per professione, ho la massima fiducia nel potere delle parole, e sono pienamente convinta che la forma sia sostanza. Sono persino pronta a dissentire dal Bardo in proposito: dite quel che volete, ma se la rosa si chiamasse polivinilcloruro? Magari profumerebbe allo stesso modo – ma saremmo così desiderosi di annusarla per accertarcene?

Sabato sono entrata in possesso di questo aneddoto: da bambino, A. non poteva nemmeno contemplare l’idea di avvicinarsi a quello che in casa sua si chiamava formaggio verde. Gli faceva proprio ribrezzo, e niente lo aveva mai indotto ad assaggiarlo. Poi un giorno – a casa d’altri, I assume – lo sentì chiamare gorgonzola. Oh, che bel nome quirky, rotondo e cremoso – un nome che, solo a sentirlo, faceva venire l’acquolina in bocca. Il piccolo A. assaggiò, apprezzò, e fu l’inizio di un amore culinario che dura ancora.

Il che sostiene la mia tesi: il formaggio era esattamente lo stesso – ma, sotto un altro nome, il piccolo A. non lo avrebbe mai assaggiato…

E sì, questa è un’idea che mi piace molto, e l’ho infilata anche in Shakespeare in Words – ma restano da considerare due particolari: da un lato, A. avrebbe potuto benissimo assaggiare il formaggio sulla forza del nome e detestarlo con tutte le sue forze; dall’altra, una volta che ci inducessimo ad annusarla, troveremmo la rosa/polivinilcloruro gradevolmente profumata – né più né meno che sotto l’altro nome. Magari, con un nome del genere, non la citeremmo troppo spesso in poesia – ma all’atto pratico e floricolturale le cose non cambierebbero granché, giusto?

CheeseAnni fa sentii una signora di cui non ricordo il nome propugnare appassionatamente l’idea di rinominare le biblioteche – nome freddo, polveroso e poco significativo – come Piazze del Sapere. A sentirla, sembrava che un cambiamento del genere dovesse contribuire a ripopolare le semideserte biblioteche italiane… Del che dubitavo allora e dubito anche adesso. Anche supponendo che,  per la Legge della Rosa e del Formaggio, qualcuno potesse essere indotto dal nuovo nome a varcare la soglia che prima aveva sempre evitato, poi all’interno avrebbe comunque trovato una biblioteca. Per i frequentatori abituali o per chi avesse sperimentato e mancato di apprezzare la biblioteca in precedenza, il nuovo nome non avrebbe significato granché…

Quindi sì, o T: la forma è sostanza – ma questo non vuol dire che possa prenderne il posto; Romeo con un altro nome avrebbe potuto al massimo fuggire con Giulietta e campare facendo… facendo cosa? Non ne ho idea*; e forse A. sarebbe giunto ugualmente al gorgonzola prima o poi e per altre vie. E tuttavia allo stesso modo, la sostanza non può fare a meno della forma. Diciamo la verità: lo mangeresti volentieri il Formaggio con la Muffa?

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* Non è che Romeo mi ispiri molta fiducia. Che avrebbe mai potuto/saputo fare, dovendo provvedere a una moglie e all’eventuale prole senza poter usare l’influenza della sua famiglia? Oh… è una storia quella che vedo davanti a me?

 

 

 

Forma & Sostanza

Dopo essersi sorbito un certo numero di lai furibondi sulle lacune son et lumière del debutto di Aninha (una volta o l’altra vi racconterò), P. mi scrive così:

Senza troppi preamboli, ti dirò che non capisco il perché delle tue apprensioni per il mancato funzionamento degli effetti speciali. Capisco che, dopo aver lavorato alacremente agli effetti luce, al sonoro, e a tutti i dettagli che di sicuro rendono perfetta la rappresentazione, tu possa contemplare l’omicidio di vari tecnici. Però, gli applausi finali dovrebbero semmai darti ulteriore conferma che le tue opere hanno già molta sostanza, al punto che la forma, pur non inessenziale, può anche passare in secondo piano, purchè non si tratti di far recitare degli energumeni dotati solo dell’uso del dialetto etilico. Se le luci e il sonoro funzionassero alla perfezione, ma i tuoi lavori avessero poco da dire, il pubblico avrebbe probabilmente l’impressione di assistere ai fuochi della sagra, non credi?

Ebbene, sì e no.

Ormai è assodato che mi faccio venire attacchi di convulsioni con relativa e innecessaria facilità – ed è risaputo che della mancanza o imperfezione dei particolari del disegno luci in trentasei pagine il pubblico non si accorgerà mai. Quindi P. è ben lungi dall’avere tutti i torti.

On the other hand, però, non amo molto la teoria secondo cui la sostanza è tutto quel che conta, o almeno quel che conta di più, per la semplice ragione che in fatto di teatro, come di scrittura e di arte in genere, la forma è sostanza. Che cos’è l’arte se non espressione formale della sostanza? Metaesempio: tutti – o quanto meno molti – hanno la vaga impressione che la sostanza (nella vita reale) importi più della forma*. Però c’è voluto Shakespeare per dire che una rosa con un’altro nome profumerebbe allo stesso modo. E nel dirlo si contraddice, perché a rendere pressoché immortale la sua idea di forma/sostanza è proprio la forma. Ma in realtà, al di là degli aerei nonnulla che faceva sussurrare al suo adolescente innamorato, lo zio Will sapeva benissimo che, se si chiamasse acido tetrafenilcloridrico, la rosa conserverebbe forse lo stesso profumo, ma non troverebbe molta gente disposta ad annusarla per accertarsene…

In un romanzo, un racconto, un articolo o una poesia, ciò significa che stile e contenuto devono fondersi per stampare un’unica impronta nella mente del lettore. “Dice belle cose ma è scritto male”, oppure “E’ scritto divinamente ma non è che dica granché” sono due insegne di scrittura parimenti così così.

In teatro, alla buona scrittura devono aggiungersi la buona recitazione, la buona regia, le buone luci, le buone scene, i buoni costumi, le buone musiche e il Something-something creato dal felice combinarsi di tutti questi elementi. Se ne manca anche solo uno, il risultato resterà sempre così così. Non intendo imperfetto – l’imperfezione è un’altro mantello dell’arte – ma proprio leggermente mediocre. Lacking in quality. Dilettantesco. Un tantino naufragato sugli scogli che stanno tra intenzione e realizzazione dell’intenzione stessa.

Come dicevasi più sopra, ciò si applica anche a tutte le forme di scrittura – seppure in modo meno spinoso, perché il romanziere, il poeta e l’articolista hanno molto più controllo sulla loro forma di quanta il playwright possa mai sperare di averne sulla forma del risultato finito, che deve combinare le sue intenzioni e competenze con le intenzioni e competenze di un sacco di altra gente.

Il principio però rimane lo stesso: in qualsiasi disciplina, la più solida e profonda delle sostanze non è una scusante per le lacune della forma. E a dire il vero, cercare questo genere di scusanti cessa di sembrare una buona idea non appena si considera che curare la forma è il modo più efficace per affinare l’espressione della sostanza.

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* Francamente non sono molto d’accordo nemmeno per quanto riguarda la vita reale, ma questo è un altro post.