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Lug 13, 2018 - libri, libri e libri, teatro    Commenti disabilitati su Le Armi E L’Uomo

Le Armi E L’Uomo

armsmanShawBenché G.B. Shaw sia un altro dei miei numi tutelari, e benché nel corso degli anni abbia letto il suo Le Armi e l’Uomo (Arms and the Man) un’infinità di volte, ho impiegato secoli a rendermi conto che la connessione virgiliana andava più a fondo della citazione nel titolo.

Non tantissimo più a fondo, perché l’interesse di Shaw non risiede, come c’era da aspettarsi, nell’obbedienza al volere del fato e nelle magnifiche sorti e progressive di Roma, ma nel demolire l’idea romantica della guerra – non senza lanciare i consueti strali alla società inglese del suo tempo.

Arms_0592_DCcolour-291x300E tuttavia, state a sentire: figlia di maggiorente fidanzata (con più soddisfazione della madre che del padre) a brillante e bell’eroe di guerra; arriva estraneo fuggiasco e tutt’altro che sentimentale, ben accolto dal padre; estraneo mostra interesse alla fanciulla con disapprovazione della madre; brillante fidanzato rivela tratti assai meno ideali del previsto, ma non è disposto a cedere fanciulla; estraneo si rivela erede (e continuatore) di grandi fortune; estraneo e fanciulla convolano.

Poi naturalmente Shaw arms&manè Shaw. Il tutto è ambientato in Balcani da semi-operetta, durante la fulminea guerra Bulgaro-Serba del 1885, e i personaggi sono molto più inglesi che bulgari. Raina è una Lavinia solo per posizione: romantica, viziata, manipolatrice – maturerà prima del sipario, ma intanto non aspetta certo che altri decidano per lei. Sua madre Caterina è un’Amata senza tragedia, ossessionata dal passare per una signora viennese e dal maritare Raina al bellissimo e affascinante Sergius. Il maggiore Petkoff è un Latino da macchietta, il padre benevolo e non troppo intelligente, del tutto manovrato dalle sue donne, rassegnato a Sergius per amor di pace e vecchia consuetudine, ma pronto a simpatizzare con Bluntschli, l’Enea della situazione, un mercenario svizzero pratico, efficiente e disincantato, l’antitesi del fiammeggiante, deleterio e bel Sergius/Turno.

armsandmandNessuno muore, il duello finale tra i due pretendenti finisce col non farsi, Bluntschli eredita un impero alberghiero, Caterina non si suicida nemmeno un po’ e persino Sergius trova rapidamente un’altra fidanzata (l’ambiziosa servetta Luka), perché questa Arms and the Man, per tagliente e caustica che sia, è una commedia.

Eppure il parallelo è lì, anche se la critica tradizionale sembra ignorarlo allegramente, evidente nella trama, nei personaggi e anche a livello tematico. Se Enea è lo strumento del fato imperscrutabile che cambia le sorti dell’Italia (e del mondo), Bluntschli è l’uomo moderno che rovescia il piccolo mondo balcanico e tradizionale dei Petkoff a colpi di volontà individuale e senso pratico.

E non so – ma adesso mi è venuta voglia di mettere in scena Le Armi e l’Uomo…

Nov 22, 2017 - grillopensante, teatro, Vitarelle e Rotelle    Commenti disabilitati su Sorprese

Sorprese

compleat female stage beauty, jeffrey hatcherAvete visto un film chiamato Stage Beauty? Ebbene, in principio c’era il play di Jeffrey Hatcher, che s’intitola Compleat Female Stage Beauty, ed è notevole*.

Siamo, dovete sapere, a Londra nel 1661, e il neo-restaurato Carlo II è andato a teatro per un >Otello messo in scena da una compagnia in voga. A sipario chiuso, per dir così, il capocomico Tom Betterton discute i regali commenti con la sua stella, Ned Kynaston, e un paio di ospiti…

BETTERTON […] E il Re mi dice: “Bravo, Betterton, bello spettacolo, brividi e spaventi, sabato torniamo a vederlo. Però vi chiedo: si può fare un po’ più allegro?” “Allegro?” dico io. “Sì,” mi fa Carletto, “Un filo più gaio.” E io m’inchino e gli faccio, tutto mellifluo: “Forse Vostra Maestà preferirebbe vedere una commedia?” E lui: “Oh no, assolutamente Otello – però fatelo allegro.” E io: “Be’, Vostra Maestà, c’è il fatto che Mr. Shakespeare finisce con Desdemona strangolata, Emilia pugnalata, Iago arrestato e Otello che si sbudella. Ci suggerite di cassare tutto quanto?” E lui dice: “Cielo, no! Fateli fuori tutti – solo, fatelo più allegro.” Che vuol dire una critica così?**

E mentre il diarista Pepys se ne esce con l’idea di non far morire Desdemona del tutto, è il Duca di Buckingham a centrare il punto, sostenendo che in realtà il Re ha espresso una teoria registica più che rilevante:

VILLIARS Vuole sorprese. È stato via, e i teatri sono stati chiusi per diciotto anni. Adesso è tornato, i teatri riaprono e che cosa trova? Tutto come allora. La poesia l’approva, le idee le approva, amore e morte e tragedia e commedia vanno bene  – però sorprendetelo!

E ci vorranno due atti prima che Kynaston, Betterton, il Re, la sua amante Nell Gwynne, le prime attrici donne, il pubblico, il Duca e Pepys giungano ciascuno alla propria conclusione in fatto di “sorprese”.

Ma il sugo della faccenda, per quanto riguarda la particolare questione delle sorprese, è già tutto lì, e non si applica soltanto alla regia: il Re non vuole storie diverse – why, non vuole nemmeno la stessa storia modificata***. Vuole la vecchia storia, raccontata in modo originale.iliade, compleat female stage beauty, strutture narrative, temi, narratologia

Perché in realtà la quantità di storie – di strutture – che si possono raccontare, dice Hatcher, è limitata. E infatti, ventotto o ventinove secoli dopo siamo ancora qui a raccontarci di gente che vendica amici caduti in battaglia, individui specializzati nell’ingannare spettacolarmente il nemico e donne per amor delle quali accadono guai su larga scala. Però abbiamo eliminato gli dei impiccioni, meschini e prepotenti, Elena e Briseide mute&passive e i grossi cavalli di legno imbottiti di soldati.

Non è affatto facile, e non è questione di rivestire le vecchie storie in abiti moderni. C’è una ragione se non tutte le regie d’opera attualizzate**** funzionano, e la si trova nel fatto che non basta eliminare scene dipinte, crinoline e pose da monumento in piazza… Il senso della faccenda risiede tutto nell’esplorarle daccapo, queste vecchie storie, e rigirarle per farne uscire significati nuovi. Significati rilevanti per noi – adesso.

eneide, compleat female beauty, jeffrey hatcherQuando George Bernard Shaw e Ursula K. Le Guin riscrivono l’Eneide, ciascuno dei due riprende la storia che Virgilio aveva a sua volta ripreso dai miti precedenti. Però Virgilio ne aveva fatto la celebrazione del fato di Roma, una grandezza così ineluttabile che nemmeno gli dei potevano opporsi, Shaw sposta tutto nei Balcani ottocenteschi per fare della satira sulla retorica della guerra e sulla “buona società”, e Le Guin esplora il punto di vista di una Lavinia che è molto meno un pegno politico di quanto si possa pensare…
Quando Robert Carsen sposta Die Walküre in un Novecento diviso tra paesaggi devastati dalla guerra e i cupi saloni di un’élite in disfacimento, ne fa una storia di conseguenze sfuggite a ogni controllo.

Quando uno scrittore a scelta conduce il suo protagonista attraverso un viaggio inziatico, non fa altro che riprendere una struttura che, nei suoi tratti essenziali, significa per noi quello che significava per la gente che ascoltò per la prima volta la storia di Ulisse…

Dopodiché, se è bravo, lo scrittore a scelta saprà intrecciare attorno alla struttura vecchia come le colline strati su strati di significato, e idee nuove, e sfumature inattese. Saprà girare il prisma in modo che prenda e rifletta la luce in angolazioni che prima non c’erano e che sono significative per i suoi lettori – adesso. Significative e sorprendenti, perché poi è di quello che si tratta. È quello che vuole il Re d’Inghilterra/lettore/spettatore/melomane: ritrovare la vecchia storia e trovarci dentro qualcosa che non si era aspettato di trovarci.

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* Anche il film è tutt’altro che male, sia chiaro. Peccato che i ragazzi del marketing o abbiano pubblicizzato come “il nuovo Shakespeare in Love“. In realtà è anything but

** Traduzione mia.

*** Del che, tutto sommato, penso che riparleremo…

*** Orrida, orrida, orrida parola…

Sul Crinale Tra Due Lingue

LocVirgdArco12Quando ho letto questo post su Karavansara, mi sono ricordata della prima, infelicissima stesura di Di Uomini E Poeti.

Sapevo che genere di storia stavo scrivendo, sapevo dove volevo andare a parare, e avevo le idee chiare sul tipo di tono che mi serviva. Solo che non funzionava, non funzionava e non funzionava a nessun patto. La storia più o meno c’era, ma i dialoghi… oh, i dialoghi. Gonfi, rigidi, un tantino arcaici- e così maledettamente seri…

Li provavo ad alta voce, e mi veniva da piangere. Li immaginavo con le voci degli attori, ed era una cosa da sbattere la testa contro il muro.

Infelicità completa.

Anche perché non è come se, in teatro, i dialoghi fossero qualcosa su cui si può sorvolare. Eppure, lo ripeto: avevo perfettamente chiaro il tono che ci voleva – a mezza via tra Robert Bolt e George Bernard Shaw, quella specie di naturalezza amarognola, con le voci ben distinte e, qua e là un lampo di ironia…

E dunque immaginate la Clarina che fissa corrucciata lo schermo, si morde il labbro inferiore e comincia a pensare di avere commesso un errore maiuscolo nell’accettare questa commissione – finché…

Folgorazione!

“E se lo scrivessi in Inglese?”

E adesso figuratevi la Clarina che scrive indefessa e sollevata. Nel giro di un giorno e una notte, la prima stesura era finita – e funzionava molto, molto, molto meglio, e i dialoghi scorrevano, e le voci, e il tono, e tutto era come doveva essere.

Peccato che per metà fosse nella lingua sbagliata, e peccato ancor più maiuscolo che a funzionare fosse soltanto la metà scritta nella lingua sbagliata. Cominciava proprio a sembrare che la mia folgorazione non fosse stata poi delle più brillanti… Ma alla fin fine non c’era molto da fare, se non ricominciare daccapo e riscrivere anche la prima parte – in Inglese. Non tradurre, badate, ma riscrivere – col risultato di ritrovarsi con una stesura e mezza, tutta nella lingua sbagliata. E poi la traduzione, perché non incomprensibilmente committente e compagnia si aspettavano un atto unico in Italiano. E poi le stesure successive. E poi le prove, e poi il debutto, e poi la pubblicazione, e poi il resto più o meno lo sapete.

E però…

Nonostante tutto, il finale di questa storia non è, temo, terribilmente incoraggiante. Almeno da un punto di vista linguistico. Perché resta il fatto che la versione inglese continua a piacermi più di quella tradotta, e il tono che andava così bene in originale, nella traduzione ha perso smalto. I dialoghi son tornati a irrigidirsi un po’, l’ironia è evaporata un nonnulla… è come se non riuscissi a scrivere di Virgilio e di Eneide in Italiano senza ritrovarmi addosso una patina di arcaismo e seriosità.

Scrivere il play in Inglese è stato di qualche soddisfazione. Scriverlo in Inglese e poi tradurlo in Italiano è stato un esercizio un nonnulla frustrante e, in definitiva, di incompleta utilità. Certo, le cose sono migliorate attraverso i passaggi – ma non quanto avrei voluto, e comunque ho mandato in scena una traduzione.

Che devo dire? Da un lato, non è da oggi che voglio rimettere mano a Di Uomini E Poeti – e presto o tardi lo farò. Dall’altro, comincio a pensare che abitare writing-wise sul crinale tra due lingue non sia la più confortevole né la meno frustrante delle soluzioni.

 

 

 

 

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