Tagged with " ian mortimer"

Storia e Storie

387px-Rudyard_Kipling

Se la storia s’insegnasse sotto forma di storie, nessuno la dimenticherebbe mai.

Questo lo diceva Kipling, e voi sapete che a Kipling io tendo a dare retta. L’idea mi piace molto, e vorrei che fosse così – in un certo senso lo è. Ma fino a che punto?

Vediamo un po’.

Secoli fa – troppi secoli fa perché vada a disseppellire il numero in questione – sulla Historical Novel Review comparve un articolo in cui Susan Higginsbotham (credo) strologava sulla questione posta da un lettore: com’è, chiedeva costui, che nessun numero di romanzi storici e film storici è sufficiente a farmi entrare in testa i fatti? Prendiamo Eleonora d’Aquitania, proseguiva il lettore, una signora e un periodo per cui non ho speciale interesse, ma con cui ho avuto a che fare in diverse occasioni: ho studiato i miei libri di scuola come chiunque altro, ho letto qualche romanzo, ho visto qualche film… non dovrei avere le idee più chiare sulla sua storia?

La risposta era “Non necessariamente”, e per un buon motivo. Sto citando a memoria, ma l’idea generale era che vedere Eleonora alle prese con il suo pessimo marito in The Lion In Winter e con le frenesie crociate/matrimonial/amorose del suo primogenito in The Lute Player non offre molto aiuto nel memorizzare le date della sua vita. Quello che troviamo nel film e nel romanzo non è la storia di Eleonora, ma l’interpretazione della figura di Eleonora di James Goldman e Nora Lofts. Ed è un’interpretazione colorata dalle intenzioni e necessità narrative degli autori, da treni merci di particolari fittizi (la corte natalizia a Chinon e il dilemma parentale di Enrico, Blondel e Anna Apieta…), dall’esigenza di rendere questa gente del tardo dodicesimo secolo comprensibile per il lettore/spettatore odierno.historical novel review, nora lofts, james goldman, frances h. burnett, ian mortimer, gisbert haefs, romanzi storici

Essendo Goldman e Lofts ottimi scrittori, entrambe le Eleonore* in questione sono balzachianamente verosimili, ma nessuna delle due è vera. E in questo non c’è proprio nulla di bizzarro o scandaloso. In un mondo ideale, il mestiere del romanziere storico sarebbe quello di raccontare ciò che non sappiamo più sulla base ed entro i limiti di quel che sappiamo, però in realtà il confine tra ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo può essere molto labile.

Ci sono scuole di pensiero sul grado di rigore documentario e fedeltà alle fonti cui un romanziere dovrebbe sentirsi vincolato, ma nella maggior parte dei casi non è difficile trovare nel tessuto delle fonti qualche smagliatura grande abbastanza da farci passare una parata di elefanti.

Detto ciò, qual è l’impatto delle parate di elefanti sul lettore medio?

historical novel review, nora lofts, james goldman, frances h. burnett, ian mortimer, gisbert haefs, romanzi storiciAvete letto La Piccola Principessa, di Frances H. Burnett? Forse sì e forse no: ai miei tempi era un altro di quei classici per fanciulli – e uno particolarmente grazioso, a mio avviso. Ad ogni modo, c’è questa scena in cui la giovanissima protagonista Sara racconta la storia della Rivoluzione Francese a una compagna di collegio negata per gli studi, e lo fa con flair narrativo, insistendo sulla figura di Mme de Lamballe, confidente e favorita di Maria Antonietta, linciata in strada per non aver voluto giurare fedeltà alla Repubblica. “E misero la sua testa mozzata su una picca e la folla se la passava di mano in mano…” racconta Sara. “Era giovane e bella, e tutte le volte che penso alla Rivoluzione immagino quella testa dai lunghi capelli biondi che ondeggia sopra la folla inferocita.” E, ci dice la signora Burnett, persino l’ottusa Ermengarde non dimenticherà più Mme de Lamballe.historical novel review, nora lofts, james goldman, frances h. burnett, ian mortimer, gisbert haefs, romanzi storici

E tutto ciò è bello e anche istruttivo, perché se da un lato Sara ha regalato a Ermengarde un’impressione più vivida della storia, dall’altro ha falsificato un pochino i fatti: nel 1792 la princesse de Lamballe aveva quarantatré anni – un’età che non molte bambine di dodici anni considerano giovanile… Resta da domandarsi chi sia stato a ringiovanire la principessa per amor di dramma**: Sara stessa, Ms. Burnett o l’autore del libro che si suppone Sara abbia letto? Ma non è del tutto rilevante, e comunque l’episodio rimane significativo.

historical novel review, nora lofts, james goldman, frances h. burnett, ian mortimer, gisbert haefs, romanzi storiciMi è tornato in mente di recente, quando M. mi ha fatto notare che l’Annibale eponimo di Gisbert Haefs è sempre depresso dopo le battaglie. “Quindi, quando il tuo Annibale dice al Re di Siria di essere stato felice dopo la battaglia di Canne, non era vero…” E per qualche motivo fatico a convincere M. che, per quanto ne sappiamo, la mia interpretazione e quella di Haefs si equivalgono. Non è la prima volta che M. e io abbiamo conversazioni del genere, su qualche chiaroscuro psicologico dell’uno o dell’altro personaggio, sui Romani descritti dal punto di vista cartaginese, sulle figure minori fittizie… e non c’è nulla di strano, perché M., come chiunque non abbia passato anni a leggere le fonti, non ha modo di sapere dove finiscono i fatti provati e dove inizia la danza speculativa del romanziere.***

Per cui è saggio concludere che la Storia non s’impara dai romanzi? Mostly not. Non i fatti. Non le date. Né si vede troppo perché dovrebbe essere altrimenti: se volete studiare la Storia, ci sono vagoni di libri scritti per la bisogna. Libri che non sono romanzi.

E però questo non significa affatto che Kipling abbia torto, sapete? Perché dopo che avete studiato, c’è qualcosa d’altro che potete cercare.

Nel suo The Time Traveller’s Guide to Elizabethan England, Ian Mortimer fa notare che una delle difficoltà principali nell’interpretare la mentalità dei secoli passati è che noi diamo per scontati conclusioni e sviluppi di eventi che, all’epoca, erano ancora in fieri, fluidi, spesso incomprensibili, spesso terrificanti. Quando pensiamo all’Armada di Filippo II ridotta a una collezione di relitti fumanti nella Manica, fatichiamo a immaginare il genuino terrore degl’Inglesi che per mesi avevano temuto l’invasione spagnola, o a capire la paranoia anticattolica, la caccia ai missionari gesuiti, il senso d’isolamento dell’Isoletta governata da un monarca femmina e di (forse) dubbia legittimità… 

Vero, vero, vero. Armada

Ed ecco dove entrano in scena i romanzi. Perché il romanzo, attraverso gli occhi, le paure, le impressioni e le reazioni dei personaggi, è in grado di restituire al lettore il sobbalzo collettivo dell’Inghilterra all’accendersi dei beacons lungo la costa, la furia collettiva dei Francesi che tirano pietre alla principessa di Lamballe, la frustrazione di Eleonora costretta dissimulare il suo acume tanto superiore a quello di tutti gli uomini che la circondano, l’impazienza di Annibale mentre i suoi alleati italici nicchiano…

E con questo non voglio minimamente condonare errori e (dininguardi!) anacronismi, ma sono disposta ad ammettere che, alla fin fine, l’età della principessa di Lamballe può anche essere un particolare secondario, se siamo capaci di mostrare la Storia in movimento, con la sua complessità, la sua imprevedibilità e iridescenza. Se riusciamo a dare, anche solo per qualche pagina, l’impressione di qualcosa che sta succedendo. Se arriviamo a trasmettere un senso di realtà e vividezza da accompagnare alle date e ai fatti. E allora, per un po’, siamo tutti Sara Crewe – e, guarda un po’, dopo tutto Kipling aveva ragione.

__________________________________________________

* E quella di Goldman ha il vantaggio aggiuntivo di essere interpretata da Katherine Hepburn – need I say more?

** E questo mi fa venire in mente l’irresistibile The Talisman Ring, di Georgette Heyer, in cui la giovane émigrée Eustacie passa un sacco di tempo a a romanticizzare il suo scampato pericolo, commuovendosi all’ipotetica immagine di se stessa sulla via della ghigliottina: una giovane fanciulla vestita di bianco, sola nell’orribile carretta… “A parte il fatto che le carrette di solito sono affollate, credo che mi dispiacerebbe altrettanto per qualunque condannato, quali che fossero il suo sesso, la sua età e il colore del suo abbigliamento,” replica il suo unromantic cugino (e riluttante fidanzato) inglese. Mi diverte l’idea che Sara sia della stessa scuola di Eustacie…

*** Yes well, potrei considerare l’ipotesi di offendermi un nonnulla perché M. sembra disposto a dare retta a qualsiasi altro romanziere prima che a me, ma fingiamo di nulla…

 

Spettri, Diavoli E Magie

Vi ricordate di Elizabethan Metaphysicks, il video tratto da Magickal Realism di Alistair Gentry?

Se non ve ne ricordate, dategli un’occhiatina. Sono solo due minuti e tre quarti.

Fatto?

Bene.

Allora magari sotto il post in questione avete letto anche questo commento di S.:

Splendido! All’inizio però c’è un’immagine da un testo di geometria, con tanto di formule. Essendo io un matematico di professione, mi sento inquieto: devo considerarmi affine a spettri, diavoli e magie?

E io ho risposto che era una buona domanda, e che ne avremmo riparlato. E adesso ne riparliamo. E la risposta, o S. è che, se tu fossi stato un matematico alla fine del XVI Secolo, avresti potuto considerare i tuoi studi affini a spettri, diavoli e magie. Quanto meno a magie. E di certo un buon numero dei tuoi contemporanei e varie autorità religiose l’avrebbero pensata così – con possibili conseguenze in vari gradi di pericolosità.

Ma probabilmente lo avresti pensato anche tu.

Mi viene in mente, per prima cosa, Ian Mortimer, che in The Time Traveler’s Guide To Elizabethan England lo spiega molto bene:

Proprio l’idea che tutto sia possibile consente tanta apertura mentale nei confronti della sperimentazione. Si esplorano i fenomeni superstiziosi nella convinzione di investigare il mondo reale. Se non si fa distinzione tra verità scientifica e credenze superstizione, non è irrazionale investigare ogni fenomeno cose se potesse essere scientificamente vero.*

john dee,thomas harriot,christopher marlowe,ian mortimer,alistair gentryQuando il Doctor Faustus di Marlowe entra in scena passando in rassegna le branche della conoscenza alla ricerca di un campo su cui esercitare le sue notevoli qualità, elenca nell’ordine la filosofia, la medicina, il diritto, la teologia – e poi la magia. Vero, la magia non è disciplina universitaria, ed è decisamente più pericolosa delle altre, come non noteranno di fargli notare gli altri eruditi che metterà a parte delle sue intenzioni. Ma questa gente cauta non obbietta alla natura dei nuovi studi del Dottore, bensì alla loro pericolosità. Il problema non è che i contatti con il diavolo siano un’idea ridicola, bensì che siano una faccenda praticabile e pericolosissima. john dee,thomas harriot,christopher marlowe,ian mortimer,alistair gentry

Ma senza bisogno di cercare su un palcoscenico, John Dee è un matematico e astronomo di tutto rispetto, docente di algebra euclidea alla Sorbona a vent’anni, conteso dalle università del Continente – ma ciò non gl’impedisce una carriera parallela di (regio) astrologo e negromante, né decenni di sforzi per comunicare con gli angeli**.

Dopodiché ci sono piccoli problemi di sicurezza personale, come il fatto che fuori d’Inghilterra le pratiche magiche sono materia per l’Inquisizione, e in Inghilterra sono tradimento – ma d’altra parte, per semplificare, diciamo che entrambi i tipi di autorità diffidano abbondantemente di ogni tentativo di indagare oltre la versione della verità stabilita dalle Scritture.

Per dire, Galileo. O la lista di accuse di blasfemia redatta per Marlowe, che comprendeva, senza particolare distinzione di gravità, l’evocazione del diavolo nei boschi in quel di Cambridge e un tentativo di cronologia pre-biblica. E tra parentesi, la cronologia non era farina del sacco di Marlowe, ma del matematico Thomas Harriot.

Per cui, o S., credo che tu possa ritenerti un discendente ideale di questa gente che indagava la realtà cercando di sbirciare oltre le costrizioni religiose – qualche volta a rischio della reputazione e/o del collo. Il fatto che questa indagine talvolta sconfinasse in campi che adesso reputiamo eminentemente non-scientifici è dovuta alla diversa percezione di quel che è vero e possibile. 

Tutto considerato, è molto possibile che adesso non crediamo a spettri, diavoli e magie anche perché i tuoi precursori elisabettiani hanno cominciato a indagare in proposito con mentalità scientifica – mentre si occupavano di Euclide e di leggi della rifrazione.

Per cui direi che non hai ragione di sentirti inquieto.

__________________________________________________

* Pag. 125, traduzione mia.

** Per mezzo di un medium che si rivelerà un grandioso truffatore, ma questo è un altro discorso.