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Mar 9, 2018 - Spigolando nella rete, Storia&storie    Commenti disabilitati su Storidentikit

Storidentikit

AileanBreacStewartVi ricordate di Alan Breck Stewart?

Non è del tutto impossibile, considerando la frequenza con cui vi tormento in proposito, e in realtà ne abbiamo parlato di recente.

Ad ogni modo, questa volta non è del tutto colpa mia: potete biasimare Caroline Wilkinson, dell’Università di Dundee, cui qualche anno fa è parso bello fare una ricostruzione della faccia dell’Alan storico – Ailean Breac (o Breic) Stewart – e il risultato lo vedete qui accanto.

Come è successo? Be’, la professoressa Wilkinson ha trattato Ailean come ogni altro sospetto omicida di cui non si conosca la faccia: ha tracciato un identikit sulla base delle testimonianze.

Perché le testimonianze scritte ci sono – sia legate all’omicidio del detestatissimo agente della Corona Colin Cambell nel 1752, sia unrelated – e parlano di un giovanotto dalla faccia lunga e stretta segnata dal vaiolo, dagli occhi azzurri e infossati, dai capelli ricci e scuri e dal naso lungo…

A dire il vero parlano anche di uno scervellato violento e inaffidabile – ma a dirlo era James Stewart, il padre adottivo che fu impiccato per l’omicidio in questione, di sicuro ingiustamente e forse al posto di Alan, che si era reso uccel di bosco. Una punta di astio e/o di panico da parte del povero James sarebbe più che comprensibile, ma sospetto che il fascino di Alan sia tutta farina del sacco Stevenson, e l’originale fosse ben poco raccomandabile.

E in effetti, qui sopra, l’aria raccomandabilissima non ce l’ha, giusto?AppinMurder

Grazioso e simpatico esercizio – ma con un limite sesquipedale: le testimonianze essendo per l’appunto scritte e vecchie di duecentosessant’anni e passa, non sono verificabili in nessun modo. Non è come se a Dundee potessero convocare James Stewart, o l’avvocato di Colin Campbell presente all’omicidio, o gente dell’entourage di Ailean e chiedere loro se la ricostruzione è somigliante… Sono certa che la professoressa Wilkins abbia considerato altri fattori, come fenotipi e strutture facciali dei discendenti Stewart e dei ritratti d’epoca, ma non posso fare a meno di chiedermi a che punto sia intervenuta l’immaginazione dei ricercatori – magari colorata da Stevenson…

Oh well. Non sarò io a lamentarmi. In fondo non si tratta di risolvere un omicidio – anche se a volte, a sentire due Scozzesi che ne discutono, si sarebbe indotti a credere che l’Appin Murder sia faccenda della settimana scorsa – ma l’idea di applicare questo genere di strumenti per ricostruire facce storiche ha più che un po’ di fascino, e mi piacerebbe molto vederla utilizzata su altra gente. La National Portrait Gallery non ha prezzo. Per tutto il resto…

 

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* Yes, yes, I know: il povero David e tutto quanto. Non cominciamo nemmeno.

Feb 14, 2018 - grilloleggente    Commenti disabilitati su Appesi alla Soglia di una Banca

Appesi alla Soglia di una Banca

KidnSi parla di finali ancora, o Lettori – per cui, se siete di quelli cui non piace parlare di finali non letti, forse questo non è il post per voi. Altrimenti, onwards.

Mi si fa notare che a Kidnapped, il Ragazzo Rapito, manca tutto sommato quell’interessante accessorio – un finale.

E sapete cosa? È piuttosto vero. Sono molto stupita di non esserci mai arrivata da sola, ma è proprio così: all’ombra della fatidica paroletta di quattro (o tre) lettere, David vaga più o meno senza meta per Edimburgo. Ha salutato il fuggitivo Alan che parte per la Francia; ha nebulosamente deciso di fare qualcosa per l’ingiustamente incarcerato James of the Glens, ed è pronto per entrare in possesso della sua eredità…

Tuttavia pensavo sempre ad Alan sul “Riposati e Ringrazia”*; e tutto il tempo […] sentivo come una fredda stretta al cuore, come il rimorso per qualcosa di sbagliato.

La mano della provvidenza mi condusse, in quella marea, proprio alle porte della banca della British Linen Company.**

KidRABTFine. Dopo tutte quelle avventure e peripezie… tutto qui? Non è nemmeno davvero questione di appendere personaggi e lettori a una scogliera: Alan sembra bene organizzato per fuggire in Francia, e per un po’ dovrà abbandonare la rischiosa carriera del corriere giacobita. Vero è che, trattandosi di lui non si può mai dire – ma la cosa peggiore a questo punto è che i due amici non contano davvero di vedersi mai più. Hence il freddo al cuore. E David… si sta imbarcando in un’altra odissea potenzialmente pericolosa, è vero – ma diciamolo: dopo i pericoli, i rapimenti, i naufragi, la violenza e le fughe nella brughiera dell’orfano diseredato, i potenziali guai giudiziari del ricco gentiluomo si promettono un pochino blandi. E comunque, al di là delle nobili intenzioni, nemmeno li vediamo, questi guai, perché tutto finisce… sulla soglia di una banca.

Lo sentite anche voi, il rumor di semolino che si spiaccica sul pavimento?

Ecco. Ed è vero che c’era un seguito a venire, il meno efficace Catriona – quindi forse Stevenson voleva preparare il terreno per quello? Mi domando come reagissero i ragazzini per cui il romanzo era ostensibilmente inteso. Vi ho raccontato una storia eccitante e avventurosa, o fanciulli – e non l’ho finita. Se siete molto bravi, la prossima volta parleremo di tribunali, intrighi politici e corteggiamenti.

Hm. rls

Ho letto da qualche parte (e sarebbe bello ricordarsi dove!) che Stevenson si era un po’ incartato politicamente:  poteva il pio protestante whig David compromettersi più di quanto avesse già fatto per la causa dei ribelli cattolici? Un conto è l’orfano in pericolo, ma il gentiluomo e proprietario terriero? Non so – e lo dico in senso stretto – fino a che punto mi convinca l’argomento: da un lato, il tema centrale di Kidnapped è proprio il modo in cui le avversità spingono David a rivedere i suoi pregiudizi, rendendosi conto che non tutti i ribelli cattolici sono bestiacce malvage e disoneste – e anzi, prima dell’ultima pagina dovrà vita, posizione e patrimonio proprio alla generosità e al coraggio di uno di questi giacobiti; dall’altro, però, non è del tutto azzardato immaginare che Stevenson si sia lasciato trascinare dall’entusiasmo vicino a un crinale che, nella Scozia e Inghilterra di fine Ottocento, era ancora materia di nervosismo…

KidnCatE comunque c’era il seguito all’orizzonte – o almeno l’idea di un seguito. Nella postfazione, Stevenson sostiene di avere ancora molto da dire su questi due improbabili amici – solo che gli editori e il pubblico siano interessati. Se così non fosse, e quasi a titolo di riparazione, si affretta a dichiarare…

… che tutto andò bene per quei due, nel senso umano e ristretto della parola “bene”; che, qualsiasi cosa sia poi loro accaduta, non fu disonorevole; e che, qualsiasi cosa sia loro mancata, essi non mancarono certo a se stessi.

Il che, naturalmente, vuol dire tutto e nulla – e non fa altro che rendere Catriona lettura obbligatoria per chi è rimasto appeso alla soglia della Banca dei Drappieri… Il fatto che poi Catriona non funzioni bene come Kidnapped – almeno non quando Alan è offstage – è un’altra faccenda.

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*È un posto a Edimburgo – o meglio, a Corstorphine, all’epoca – non lontano dal porto. Adesso c’è persino un monumento stevensoniano, con due statue a grandezza naturale di Alan e David.

** Traduzione di Piero Gadda Conti.

E Fa Anche Un Ottimo Caffè

È accaduto che in un blog contiguo si venisse, per una combinazione di serendipità e intento, a parlare di Tarzan. Tarzan, Orzowei, Sheena, Rima, Mowgli, Pocahontas e tutta quella gente che, succintamente abbigliata e supremamente abile, si aggira per jungle, savane e foreste più o meno pluviali, sempre up to every and anything, e fornita di una saggezza che definirei preternaturale – se non fosse che invece la si suppone derivata dal diretto contatto con e profonda conoscenza della Natura. Con la N maiuscola.

Ad essere del tutto sinceri, non è il mio tipo di personaggio prediletto: da un lato, la mia fiducia nell’umana natura essendo quel che si sa, non nutro soverchia simpatia per le teorie del Buon Selvaggio e del Nobile Selvaggio eccetera; dall’altro… voi lo sapevate che Tarzan pilota aerei?

Lo sapreste, mi si dice, solo se aveste letto i (numerosi) romanzi originali di Edgar Rice Burroughs, cosa che io non ho mai fatto a parte le prime venti pagine o giù di lì di Tarzan delle Scimmie. E siccome nell’estate in cui ciò accadde avevo dieci anni, non ero ancora cinica e non avevo ancora avuto modo d’inciampare in Rousseau e Chateaubriand, bisogna dire che fosse qualche altra cosa a farmi piantare il libro a men che mezzo.

Perché, vedete, a dieci anni quel che cominciavo lo finivo. Avevo finito con ogni cura Il Libro della Jungla, benché non mi piacesse, ma Tarzan era davvero troppo per me. E a distanza di tanti anni credo che, a rendermelo più indigesto di altri, fosse la somma delle sue abilità. Coraggiosissimo, e agilissimo e intelligentissimo, e astutissimo, e abilissimo con qualsiasi genere di arma gli capiti di trovarsi in mano, e velocissimo… sì, d’accordo, mi par di ricordare che le scimmie lo trattassero come un’anomalia bianchiccia e glabra, ma persino le scimmie più ostili lo erano perché si sentivano un nonnulla oppresse dalla sua collezione di superlativi.

Ecco, anch’io, lettrice decenne, mi sentivo oppressa dalla collezione di superlativi di Tarzan – e ancora non sapevo che pilotava anche gli aerei. 

Ma l’onnicompetenza, mi si dice, fa parte del pacchetto. L’onnicompetenza è irrinunciabile dotazione dell’eroe avventuroso in un tutta una serie di generi e sottogeneri fin dalla notte dei tempi: come può l’eroe cavarsela in ogni genere di rocambolesche avventure, se non sa fare tutto – dal combattimento a mani nude alla lettura dei geroglifici, passando per la medicina spicciola, la risoluzione di enigmi e la tarte tatin?

E qui potrei chiamare in causa la mia scarsa ed erratica frequentazione di molti generi pulp per spiegare la natura della mia esposizione all’onnicompetenza. Perché ammetto che l’onnicompetenza ha la sua buona dose di senso narrativo, l’onnicompetenza è quasi indispensabile per raccontare un certo tipo di storia. L’onnicompetenza ha il suo perché. Capisco che Indiana Jones, per cercare l’Arca Perduta, sopravvivere al Tempio Maledetto e tornare a casa dall’Ultima Crociata deve possedere un repertorio di conoscenze e competenze buono per una decina di persone.

E tuttavia, passiamo in rassegna un po’ di gente onnicompetente attraverso vari generi.

Ricordo con somma irritazione una lettura d’infanzia intitolata Per l’Onore di Roccabruna, la cui protagonista, la dodicenne e aristocraticissima Maria Rosa, non solo era bellabuonaebrava, ma era più saggia dei suoi anni e più intelligente di tutte le sue sorelle maggiori e cugine, danzava con grazia suprema, suonava il pianoforte e cantava cantava come un angelo, cavalcava con audacia sopraffina, disegnava divinamente, recitava bene, aveva un gusto squisito, un coraggio a tutta prova e lunghi boccoli biondi. Si capisce che la piccola Maria Rosa* salvava il bel cugino, la famiglia intera, la magione avita e la patria in un sol colpo – provando al di là di ogni possibile dubbio che l’onnicompetenza non era appannaggio esclusivo degli eroi pulp maschi.

Esiste, molto evidentemente, anche la fanciullina onnicompetente per i fanciulli – come la Péline di In Famiglia, bilingue, autosufficiente, impavida e capace di costruirsi da sé calzature, posate e piccola mobilia…

Alan Breck Stewart, il protagonista de facto di Kidnapped, va tenuto lontano dalle carte da gioco per il suo bene e quello generale, ma a parte questo…

…era bravissimo in ogni genere di musica, ma specialmente nella cornamusa; era un buon poeta nella sua lingua, aveva letto molti libri in inglese e in francese, era un ottimo tiratore, un buon pescatore con la lenza e un eccellente spadaccino sia con la spada corta che con la sua arma particolare.

L’arma particolare è una specie di sciabola, con cui Alan fa miracoli – e naturalmente è coraggioso, risoluto, intelligente, leale, astuto, pieno di risorse – e se non fosse per lui, lo stolido e benpensante David non arriverebbe ad avere una storia da raccontare.

James Crichton of Cluny, l’Ammirabile Critonio, è onnicompetente in due versioni – anzi in tre, se contiamo la lettera di presentazione al Duca di Mantova scritta da Aldo Manuzio il Giovane per l’originale storico. Ma a parte Manuzio, sia il polemista secentesco Thomas Urquhart che il romanziere vittoriano William Ainsworth ci descrivono un giovanotto senza pari: poliglotta, filosofo, poeta, oratore, musicista, matematico, danzatore, duellatore in ogni forma, fine politico, conversatore inarrivabile, e per di più bellissimo e nobile d’animo.

I protagonisti di Edward Marston – che si tratti dell’attore elisabettiano Nicholas Bracewell, dell’architetto secentesco Christopher Redmayne, del settecentesco capitano Rawson o del vittoriano ispettore Colbeck – sono tutti uguali: supremamente abili nella loro professione, coraggiosi oltre ogni dire, intuitivi e tenaci nell’investigare, attissimi al comando e provvisti delle più svariate e utili capacità pratiche acquisite in circostanze straordinarie.

Anna, la Countess Below Stairs di Eva Ibbotson, danza squisitamente, canta, cavalca, suona il pianoforte e, nel momento della necessità, diventa un’incomparabile cameriera, abilissima e zelante in ogni genere di lavoro domestico.

Ilya Kuryakin, il coprotagonista di The Man from UNCLE**, che era una serie televisiva americana Anni Sessanta, non contento di essere un superaddestratissimo agente segreto, parla un’improbabile quantità di lingue, si è addottorato in fisica a Cambridge, suona almeno tre strumenti, è un esperto di esplosivi, pilota qualsiasi cosa voli e, in generale, sa quasi tutto di quasi tutto.

La Pocahontas disneyana salta, corre, porta la canoa, si tuffa, nuota e s’arrampica meglio di chiunque altro, sa come usare l’acido salicilico, impara l’Inglese in cinque minuti, ha una certa quantità di political savviness e parla con gli spiriti.

E potrei continuare a lungo, ma fermiamoci qui e analizziamo lo schema. Tutta questa gente onnicompentente (o quanto meno ipercompetente) ricade in due categorie: Maria Rosa, l’Ammirabile Critonio, la gente di Marston, Pocahontas e Péline vengono trattati dai rispettivi autori in tutta serietà. Sono offerti alla nostra ammirazione con tutta la loro straordinaria competenza. Invece le molteplici perfezioni di Alan Breck, Anna, Ilya Kuryakin e Indiana Jones ci vengono raccontate tongue-in-cheek, bilanciate da una vasta quantità di difetti e/o accompagnate da una strizzatina d’occhio da parte dell’autore: bada, o Lettore/Spettatore, che questa è una storia – e non prendiamoci troppo sul serio.

Potrei ricordarmi male, ma ho tanto idea che l’onnicompetenza di Tarzan sia played straight. E si vede che, quando avevo dieci anni e una capacità di prospettiva storica del tutto acerba, davanti agli onnicompetenti da prendersi sul serio la mia sospensione dell’incredulità franava a valle molto presto. 

Perché si capisce, occorre tener conto della differenza d’epoca, delle convenzioni di genere, del pubblico per cui ciascuno di questi personaggi è stato scritto. Sir Thomas, nella sua veemenza pro-Scozia e nel XVII Secolo, è del tutto convinto di tracciare un ritratto storicamente accurato del suo eroe. E Marguerite Bourcet, che scrive per le bambine negli Anni Venti, è ansiosa di offrire alle sue piccole lettrici dei modelli di perfezione: la bimba che tutte dovete voler essere.

Dopodiché, la maggior parte degli esempi che coniugano l’onnicompetenza con un sense of humour sono più recenti, e verrebbe da pensare che, come categoria di personaggio, l’onnicompetente tout court debba essere passato di moda. Ma in realtà non ne sono poi così sicura, considerando il notevole successo di un Edward Marston, i cui eroi onnicompetenti (e privi di difetti) si vendono come noccioline.

E pensando poi a un Fratello Cadfael, a un Owen Archer o a una Fidelma, bisogna dedurre che, almeno nel giallo storico, l’onnicompetenza è tutt’altro che tramontata.

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* Non vi viene in mente la sua omonima del vetusto carosello del Lievito Bertolini? “Brava, brava, Maria Rosa, ogni cosa sai far tu! Qui la vita è sempre rosa solo quando ci sei tu!” A meno che non siate troppo giovani per ricordarvene… E, a ben pensarci, questa perfezione delle Marie Rose sembra esere un tema costante, perché c’è un altro carosello che non ho mai visto (per questo sono troppo giovane io), ma mi si dice che vi figurasse una Olivella gelosa di una Maria Rosa che sapeva fare tutto: una massaia onnicompetente.

** Incidentalmente, TMfU ha un episodio che parodizza Tarzan e compagnia, con una ragazza di buona famiglia allevata dalle scimmie, la spedizione di ricerca, gl’indigeni affidabili e gl’indigeni inaffidabili, gli animali selvaggi e tutti i props&trappings del caso.

Apr 11, 2011 - lostintranslation    Commenti disabilitati su La Giusta Parola – ovvero Piccole Gioie Del Traduttore Occasionale

La Giusta Parola – ovvero Piccole Gioie Del Traduttore Occasionale

Alan.jpgVi ricordate di Alan Breck Stewart?

Forse sì, visto che ogni tanto vi infliggo qualche rapsodia in materia. E’ più improbabile che vi ricordiate del mio prurito linguistico a proposito della strepitosa battuta in cui, dopo avere sconfitto da solo una mezza dozzina di avversari, Alan si rivolge al narratore David così:

And tell me: am I no’ a bonny fighter?”

Da traduttrice occasionale, come dice lo header qua sopra, non mi sono mai cimentata davvero con la traduzione letteraria – questa eterna caccia al giusto equilibrio tra coscienza ed efficacia – però ho una passione per le espressioni apparentemente intraducibili a cui strologare una versione convincente. E’ un giochino utile e dilettevole per le lunghe attese, quando si sia dimenticato di portarsi un libro, e può durare anni, perché leggendo altro si trovano sempre altre sfumature, altri contesti, altre connotazioni, altre possibili corrispondenze, altri colori…

Ecco, quel Bonny Fighter è uno dei pezzi della mia collezione, forse il mio preferito fin dal giorno in cui l’ho letto per la prima volta, diciotto o diciannove anni fa, seduta in una sala da tè di Edinburgo, mentre aspettavo che spiovesse almeno un pochino.

Qui trovate le premesse della faccenda in dettaglio – compresa una piccola disquisizione letteraria in proposito – ma il sugo è che l’aggettivo bonny raccoglie una serie di connotazioni di ammirazione quasi affettuosa che “un buon spadaccino”* non rende, e cose semanticamente più affini come “una delizia di spadaccino” fanno suonare più leziose di quanto sia il caso.

Ebbene, rejoice with me. Col tempo e con la paglia, i miei rimuginamenti hanno fatto maturare una nespola di cui non sono insoddisfatta:

“E dimmi: non sono un fior di spadaccino?”

Din, don, dan. Siccome non conosco tutte le traduzioni italiane di Kidnapped, non è impossibile che altri ci siano arrivati – magari decenni prima di me. E se devo dirla tutta, nemmeno spadaccino mi convince fino in fondo: ha la giusta intonazione guasconcella, ma forse non è come Alan definirebbe sé stesso… Magari “un fior di duellatore”?

Ci penserò. In quasi vent’anni ho sistemato a mio piacimento bonny – adesso posso procedere con fighter. Ne riparliamo attorno al 2030. Che posso dire? Ciascuno è malato alla sua maniera.

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* Piero Gadda Conti, traduzione Anni Cinquanta per Rizzoli.