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Giu 20, 2011 - Poesia, Utter Serendipity    Commenti disabilitati su Lucciole, Poeti e Qualche Rana – ovvero Qualcosa Per Il Solstizio

Lucciole, Poeti e Qualche Rana – ovvero Qualcosa Per Il Solstizio

lucciole, eclissi, solstizio d'estate, ippolito nievo, attilio bertolucci, gerolamo fontanella, kobayashi issa, robert frost, corrado govoniQualche sera fa, mentre tornavamo da una riunione del comitato promotore per le manifestazioni del 150° (non avete idea!) con S. ci siamo fermati in aperta campagna per vedere quel che si poteva dell’eclissi. La luna stava ricomparendo – una fetta sempre più larga, in quella maniera che hanno le eclissi – ma temo di non avere badato alle sue mattane quanto avrei dovuto, perché a un certo punto Enter a Firefly. E poi un’altra… lucciole! Erano secoli che non vedevo le lucciole, almeno non più di una per volta, ed erano sempre state lucciole di terra, rese anemiche dalle luci del giardino. Ma lucciole vere che volavano sui campi di notte… ah! E proprio allora, come se la notte avesse avuto la precisa intenzione di farmi felice, nel fosso vicino una rana piuttosto baritonale ha cominciato a gracidare. Anche le rane non si sentono più, non certo in paese, per cui sono andata in estasi quando qualcuno di batracesco ha gracidato un paio di volte e poi si è tuffato. Ho sentito distintamente il “pluf” nell’acqua*. E poi c’erano i grilli, e un enorme pioppo cipressino, e persino quel tanto di brezza che serviva per far stormire le fronde del pioppo senza coprire grilli e rane… Se non fosse stato per le zanzare sarebbe stato assolutamente perfetto, ma anche così era di una perfezione rara – e mi sono ripromessa di postarci su.

Lo faccio oggi, perché la vigilia del solstizio d’estate mi sembra in qualche maniera appropriata a un po’ di sdilinquimento sull’atmosfera delle notti estive. Sdilinquimento in versi.

A partire da Alla Lucciola (con brusco risveglio) del barocco Girolamo Fontanella: lucciole, eclissi, solstizio d'estate, ippolito nievo, attilio bertolucci, gerolamo fontanella, kobayashi issa, robert frost, corrado govoni

Mira incauto fanciul lucciola errante

Di notte balenar tremola e bella,

Che di qua, che di là, lieve e rotante,

Somiglia in mezzo al bosco aurea fiammella.

Va tra le cupe ed intricate piante,

Stende la man pargoletta** e bella,

E credendo involar rubino o stella

Va de la preda sua ricco e festante.

Ma poi che ‘l nostro orror l’alba disgombra,

Quel che pria gli parea gemma fatale,

Di viltà, di stupor gli occhi l’ingombra.

Così bella parea cosa mortale!

Ma vista poi che si dilegua l’ombra,

altro al fine non è ch’un verme frale.

Poi Le Lucciole, di Ippolito Nievo – che riesce sempre a infilarci un che di patriottico:

Lucciolette che ronzate

Pei crepuscoli ideali,

Care stelle forviate

Da vostr’orbite immortali,

Forse ancor del ciel natio

Affaticavi il desio?

Io vi sciolgo l’ali al volo,

Lucciolette cattivelle;

Ite pur lambendo il suolo

Colle timide fiammelle,

Giacché i cieli a voi contese

Legge improvvida e scortese.

Ai romiti casolarilucciole, eclissi, solstizio d'estate, ippolito nievo, attilio bertolucci, gerolamo fontanella, kobayashi issa, robert frost, corrado govoni

Nel silenzio dei villaggi

Pei giardini solitari

Seminate i vostri raggi,

Fra le tenebre dei chiostri

Seminate i raggi vostri.

Pei tumulti delle feste

Melanconiche volate,

Sol palesi all modeste

Ciglia e all’alme addolorate,

Onde vengan esse poi

Meditando dietro a voi.

A chi stanco si risente

Della stolida allegria

Rischiarate santamente

L’annebbiata fantasia,

Perché al cor gli venga e al viso

D’altro oprar più maschio riso.

Lucciolette, anco un momento,

Ed il pugno che vi accoglie

Vi darà libere al vento.

Vinto han già le vostre doglie

Il ritroso animo mio.

Lucciolette addio, addio!…

Poi Il Giardino del futurista Corrado Govoni

Presto tutto il giardino formicolerà di lucciole

piccoli lampi di magnesio per fare la fotografia

ai volti ipnotici e medianici dei fiori.

E’ notte: fa fresco: cadono le prime gocce di stelle:

si rientra.

E Attilio Bertolucci: lucciole, eclissi, solstizio d'estate, ippolito nievo, attilio bertolucci, gerolamo fontanella, kobayashi issa, robert frost, corrado govoni

 

Come lucciola allor ch’estate volge

All’ardor di luglio, stanca posa

Sull’erba che la vide errare quando

Più temperate sere il cielo invia,

Dov’è caduta luce tramortita

E fioca, e così sola nella notte,

Così l’anima giace poi che il curvo

Giro degli anni a suo fine declina.

Una stellata notte allor consoli

Nostra tremante quiete, quale questa

Che s’apre dolce e silente

Su te, lucciola morente.

Dopodiché abbandoniamo l’ordine cronologico e l’Italia, e passiamo all’estero in ordine sparso con un haiku di Kobayashi Issa***:

 

Inciampa

guardando le lucciole:

eccone una!

E finiamo con Fireflies In The Garden, di Robert Frost

Here come real stars to fill the upper skies,
And here on earth come emulating flies,
That though they never equal stars in size,
(And they were never really stars at heart)
Achieve at times a very star-like start.
Only, of course, they can’t sustain the part.

Ecco qui. Complessivamente non è che i poeti associno immagini gioiosissime alle lucciole, vero? C’è quasi sempre qualcosa di smarrito, d’ingannevole e caduco associato a queste fiammelline vaganti e vive… Che posso farci? Per una volta dovrò essere in disaccordo con la maggior parte dei poeti, e quindi credete: è un auspicio felice che faccio nell’augurare a tutti voi e a me stessa un’estate piena di lucciole.

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* E sì: “pluf”. Il tuffo di una piccola rana nell’acqua di un fosso non è assolutamente un “plop”. E’ un “pluf”.

** Sì, visto? Non ho proprio idea…

*** Traduzione di NeveSottile

 

 

Giu 12, 2010 - libri, libri e libri    4 Comments

I Due Conti Pecorai

Ippolito Nievo oggi all’Accademia Virgiliana di Mantova. E qui devo confessare (cospargendomi di cenere il capo) di aver creduto a lungo che Nievo avesse scritto soltanto le Confessioni Di Un Italiano e il Novelliere Campagnuolo… Invece scopro oggi che esiste altro, tra cui Il Conte Pecoraio, romanzo d’ambiente contadino e d’ispirazione parzialmente manzoniana.

Una volta chiarito l’illuminante particolare che il protagonista eponimo e la di lui figliola Maria sono in realtà nobili decaduti da qualche generazione, una volta accennato che la trama è una storiellona d’ingiustizie, innocenza perduta, gente che legge i Promessi Sposi, coincidenze e voti, vengo all’aspetto che mi ha colpita di più nella relazione di Simone Casini, curatore dell’opera omnia. Si dà il caso che, oltre alla versione a stampa pubblicata nel 1857, del CP rimanga una prima stesura manoscritta, redatta a partire dal 1855. Ebbene, pare che la differenza tra le due sia abissale: la trama è modificata, ma la cosa più sorprendente è la metamorfosi del linguaggio.

Nel 1855, in una lettera, Nievo aveva dichiarato l’intenzione di scrivere “un romanzo semplice semplice”, poi evidentemente cambiò idea. Fossero i consigli dei colleghi scrittori (gente come Tenca e Fusinato…) a cui aveva mostrato la prima stesura, fosse qualche insoddisfazione nei confronti di una certa inconsistenza espressiva, fosse un’improvvisa folgorazione stilistica, qualcosa indusse il venticinquenne Ippolito a riprendere in mano il suo romanzo e riscriverlo puntigliosamente, frase per frase, quasi parola per parola, caricando il tutto “in senso aulico ed espressivo”.

Il risultato è stupefacente: un linguaggio dal registro indefinibile, affollato di impossibili toscanismi fianco a fianco con espressioni dialettali, calchi, echi dei Promessi Sposi (ma, badate bene, dell’edizione del 1827, pre-bucato in Arno), scelte lessicali eccentriche, costruzioni convolute e bizzarrie miste assortite – compresi i contadini friulani che parlano un Toscano tanto aulico da sembrare trecentesco… Quali che fossero le perplessità di Nievo sulla sua prima stesura, non si può certo dire che il linguaggio della seconda abbia giovato alla fortuna del Conte Pecoraio, la cui storia editoriale è singolarmente scarna.

Adesso esce, per l’appunto, pubblicato da Marsilio, e non esce una volta sola: tra qualche mese sarà la volta di un nuovo volume, dedicato alla prima stesura, quella manoscritta, quella “semplice semplice”, quella non ancora “rassettata”.

Non sono certissima che leggerei il Conte Pecoraio se ne esistesse soltanto la versione a stampa… forse potrei essere curiosa di dare un’occhiata al romanzo che ha preceduto le Confessioni, forse potrei voler leggere le scene quasi metaletterarie in cui Maria s’ispira o si paragona alla Lucia manzoniana, ma nulla di più. Le due versioni così disparate tra loro, però sono un cavallo di tutt’altro colore: una metamorfosi congelata nella carta anziché nell’ambra, una porta aperta sul modo in cui uno scrittore ripensa il suo libro parola per parola… come resistere all’opportunità di vedere il funzionamento di un meccanismo del genere? Personalmente so già che non resisterò affatto – non proverò nemmeno a resistere, che diamine!

Intanto, per chi si fosse incuriosito, qui c’è, insieme ad alcuni altri titoli, Il Conte Pecoraio (versione a stampa 1857) in PDF.