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Mar 9, 2018 - Spigolando nella rete, Storia&storie    Commenti disabilitati su Storidentikit

Storidentikit

AileanBreacStewartVi ricordate di Alan Breck Stewart?

Non è del tutto impossibile, considerando la frequenza con cui vi tormento in proposito, e in realtà ne abbiamo parlato di recente.

Ad ogni modo, questa volta non è del tutto colpa mia: potete biasimare Caroline Wilkinson, dell’Università di Dundee, cui qualche anno fa è parso bello fare una ricostruzione della faccia dell’Alan storico – Ailean Breac (o Breic) Stewart – e il risultato lo vedete qui accanto.

Come è successo? Be’, la professoressa Wilkinson ha trattato Ailean come ogni altro sospetto omicida di cui non si conosca la faccia: ha tracciato un identikit sulla base delle testimonianze.

Perché le testimonianze scritte ci sono – sia legate all’omicidio del detestatissimo agente della Corona Colin Cambell nel 1752, sia unrelated – e parlano di un giovanotto dalla faccia lunga e stretta segnata dal vaiolo, dagli occhi azzurri e infossati, dai capelli ricci e scuri e dal naso lungo…

A dire il vero parlano anche di uno scervellato violento e inaffidabile – ma a dirlo era James Stewart, il padre adottivo che fu impiccato per l’omicidio in questione, di sicuro ingiustamente e forse al posto di Alan, che si era reso uccel di bosco. Una punta di astio e/o di panico da parte del povero James sarebbe più che comprensibile, ma sospetto che il fascino di Alan sia tutta farina del sacco Stevenson, e l’originale fosse ben poco raccomandabile.

E in effetti, qui sopra, l’aria raccomandabilissima non ce l’ha, giusto?AppinMurder

Grazioso e simpatico esercizio – ma con un limite sesquipedale: le testimonianze essendo per l’appunto scritte e vecchie di duecentosessant’anni e passa, non sono verificabili in nessun modo. Non è come se a Dundee potessero convocare James Stewart, o l’avvocato di Colin Campbell presente all’omicidio, o gente dell’entourage di Ailean e chiedere loro se la ricostruzione è somigliante… Sono certa che la professoressa Wilkins abbia considerato altri fattori, come fenotipi e strutture facciali dei discendenti Stewart e dei ritratti d’epoca, ma non posso fare a meno di chiedermi a che punto sia intervenuta l’immaginazione dei ricercatori – magari colorata da Stevenson…

Oh well. Non sarò io a lamentarmi. In fondo non si tratta di risolvere un omicidio – anche se a volte, a sentire due Scozzesi che ne discutono, si sarebbe indotti a credere che l’Appin Murder sia faccenda della settimana scorsa – ma l’idea di applicare questo genere di strumenti per ricostruire facce storiche ha più che un po’ di fascino, e mi piacerebbe molto vederla utilizzata su altra gente. La National Portrait Gallery non ha prezzo. Per tutto il resto…

 

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* Yes, yes, I know: il povero David e tutto quanto. Non cominciamo nemmeno.

Feb 16, 2018 - grilloleggente    Commenti disabilitati su Duecentosettanta Pagine Più Tardi

Duecentosettanta Pagine Più Tardi

the-end-The-EndRicordate quel che dicevamo qualche giorno fa sul finale di Kidnapped? Ebbene, ne ho avuto questa reazione:

Ma davvero non ti sei mai accorta che mancava il finale? Proprio tu, che ti attacchi alle tende se una storia non ha l’arco aristotelico – o come cavolo si chiama?  Tu, che sei capace di mugugnare su un finale che non ti piace per anni, e hai poca pazienza con le multilogie perché i libri individuali non finiscono? Non offenderti, ma ci credo poco.

E in effetti è tutto vero – ossessioni per la fabula, mugugni, scarsa pazienza e tutto. Well, nego di essermi mai attaccata alle tende, se non in senso metaforico – ma per il resto… E però resta il fatto che, se non mi fosse stato fatto notare, difficilmente mi sarebbe mai saltato in mente di inserire Kidnapped in un eventuale elenco di Libri che Non Finiscono – e ciò benché, come dicevasi, di fatto non finisca.

E allora com’è?

KidnBankLa reazione di cui sopra mi ha fatto venire in mente un vecchio post, in cui mi domandavo che cosa mi rendesse più indulgente nei confronti di certi libri che di altri, e come mai potessi adorare certe storie nonostante la presenza di difetti che bastavano a farmene detestare altre. A parte l’idea che l’età renda soffici, ipotizzavo ragioni di spudorata parzialità per ambientazione e lingua, per poi concludere che in realtà dev’essere una questione di qualità della scrittura: un finale molliccio ma ben scritto non solo è più digeribile di un finale molliccio scritto male, ma si redime da sé anche in termini non comparativi.

E questo probabilmente vale anche per Kidnapped: quando lo lessi per la prima volta avevo vent’anni – età in cui non si è soffici affatto – ed è vero che avevo sviluppato di recente una parzialità per l’Inglese, ma le Sollevazioni Giacobite erano terreno interamente sconosciuto, seppure attraente. Semmai, a catturarmi furono la scrittura e la capacità narrativa di Stevenson e, soprattutto, l’incomparabile Alan Breck…

Quindi si direbbe uno di quei casi in cui, da uno scrittore che sappia davvero quel che fa, sono disposta a tollerare dispetti come un finale molliccio? È del tutto probabile, come dicevo – ma in realtà, a ben pensarci c’è qualcos’altro. C’è il fatto che, quand’ero entusiasticamente a metà lettura, scoprii l’esistenza di un seguito e me lo procurai al volo – cosicché, la sera in cui giunsi sulla soglia della British Linen Company, non feci altro che appoggiare un libro sul comodino, prendere l’altro, e ricominciare a leggere. kidnandCat

E insisto nel dire che Catriona nel suo complesso non è soddisfacente nemmeno la metà di Kidnapped – non foss’altro che per la limitata presenza di Alan – ma ci riprende esattamente sulla stessa soglia dove ci aveva lasciati, ci conduce attorno per qualche centinaio di pagine e, quando finisce, finisce.

E quindi è proprio vero: non mi sono accorta che il finale mancasse, perché ho trattato i due libri come uno solo. Il finale in realtà c’era – bisognava soltanto andarlo a cercare duecentosettanta pagine più tardi.

Feb 14, 2018 - grilloleggente    Commenti disabilitati su Appesi alla Soglia di una Banca

Appesi alla Soglia di una Banca

KidnSi parla di finali ancora, o Lettori – per cui, se siete di quelli cui non piace parlare di finali non letti, forse questo non è il post per voi. Altrimenti, onwards.

Mi si fa notare che a Kidnapped, il Ragazzo Rapito, manca tutto sommato quell’interessante accessorio – un finale.

E sapete cosa? È piuttosto vero. Sono molto stupita di non esserci mai arrivata da sola, ma è proprio così: all’ombra della fatidica paroletta di quattro (o tre) lettere, David vaga più o meno senza meta per Edimburgo. Ha salutato il fuggitivo Alan che parte per la Francia; ha nebulosamente deciso di fare qualcosa per l’ingiustamente incarcerato James of the Glens, ed è pronto per entrare in possesso della sua eredità…

Tuttavia pensavo sempre ad Alan sul “Riposati e Ringrazia”*; e tutto il tempo […] sentivo come una fredda stretta al cuore, come il rimorso per qualcosa di sbagliato.

La mano della provvidenza mi condusse, in quella marea, proprio alle porte della banca della British Linen Company.**

KidRABTFine. Dopo tutte quelle avventure e peripezie… tutto qui? Non è nemmeno davvero questione di appendere personaggi e lettori a una scogliera: Alan sembra bene organizzato per fuggire in Francia, e per un po’ dovrà abbandonare la rischiosa carriera del corriere giacobita. Vero è che, trattandosi di lui non si può mai dire – ma la cosa peggiore a questo punto è che i due amici non contano davvero di vedersi mai più. Hence il freddo al cuore. E David… si sta imbarcando in un’altra odissea potenzialmente pericolosa, è vero – ma diciamolo: dopo i pericoli, i rapimenti, i naufragi, la violenza e le fughe nella brughiera dell’orfano diseredato, i potenziali guai giudiziari del ricco gentiluomo si promettono un pochino blandi. E comunque, al di là delle nobili intenzioni, nemmeno li vediamo, questi guai, perché tutto finisce… sulla soglia di una banca.

Lo sentite anche voi, il rumor di semolino che si spiaccica sul pavimento?

Ecco. Ed è vero che c’era un seguito a venire, il meno efficace Catriona – quindi forse Stevenson voleva preparare il terreno per quello? Mi domando come reagissero i ragazzini per cui il romanzo era ostensibilmente inteso. Vi ho raccontato una storia eccitante e avventurosa, o fanciulli – e non l’ho finita. Se siete molto bravi, la prossima volta parleremo di tribunali, intrighi politici e corteggiamenti.

Hm. rls

Ho letto da qualche parte (e sarebbe bello ricordarsi dove!) che Stevenson si era un po’ incartato politicamente:  poteva il pio protestante whig David compromettersi più di quanto avesse già fatto per la causa dei ribelli cattolici? Un conto è l’orfano in pericolo, ma il gentiluomo e proprietario terriero? Non so – e lo dico in senso stretto – fino a che punto mi convinca l’argomento: da un lato, il tema centrale di Kidnapped è proprio il modo in cui le avversità spingono David a rivedere i suoi pregiudizi, rendendosi conto che non tutti i ribelli cattolici sono bestiacce malvage e disoneste – e anzi, prima dell’ultima pagina dovrà vita, posizione e patrimonio proprio alla generosità e al coraggio di uno di questi giacobiti; dall’altro, però, non è del tutto azzardato immaginare che Stevenson si sia lasciato trascinare dall’entusiasmo vicino a un crinale che, nella Scozia e Inghilterra di fine Ottocento, era ancora materia di nervosismo…

KidnCatE comunque c’era il seguito all’orizzonte – o almeno l’idea di un seguito. Nella postfazione, Stevenson sostiene di avere ancora molto da dire su questi due improbabili amici – solo che gli editori e il pubblico siano interessati. Se così non fosse, e quasi a titolo di riparazione, si affretta a dichiarare…

… che tutto andò bene per quei due, nel senso umano e ristretto della parola “bene”; che, qualsiasi cosa sia poi loro accaduta, non fu disonorevole; e che, qualsiasi cosa sia loro mancata, essi non mancarono certo a se stessi.

Il che, naturalmente, vuol dire tutto e nulla – e non fa altro che rendere Catriona lettura obbligatoria per chi è rimasto appeso alla soglia della Banca dei Drappieri… Il fatto che poi Catriona non funzioni bene come Kidnapped – almeno non quando Alan è offstage – è un’altra faccenda.

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*È un posto a Edimburgo – o meglio, a Corstorphine, all’epoca – non lontano dal porto. Adesso c’è persino un monumento stevensoniano, con due statue a grandezza naturale di Alan e David.

** Traduzione di Piero Gadda Conti.

Lug 3, 2015 - grilloleggente    2 Comments

Baratti

book_swapVi ho mai raccontato di Polly?

Polly e io abbiamo condiviso per quattro anni una stanza di collegio e, pur volendoci un gran bene, per quattro anni ciascuna di noi ha sospirato con tristezza e scetticismo sui gusti letterari dell’altra.

All’epoca, Polly leggeva avidamente Tom Robbins, gli Scandinavi e ogni Sudamericano possibile e immaginabile. Io divoravo Conrad (tutto, tutto, persino i libri brutti), un sacco di saggistica storica e tutti i romanzi navali su cui potevo mettere le mani.

Tuttavia, lo spirito missionario è insito nella natura umana, e a ognuna delle due pareva impossibile non poter inculcare un po’ di buon senso letterario all’altra… Parlavamo molto di libri, ci raccontavamo a vicenda trame e meraviglie di quello che avevamo letto, e avevamo surreali discussioni in cui Polly parlava di Vargas-Llosa e io di Golding: ciascuna andava felicemente per il suo binario, e scambiavamo cenni sporgendoci dal finestrino dei rispettivi treni.

Quello che facevamo ogni tanto, però, erano i baratti: se tu leggi X, allora io leggo Y.bookexchange

Sì, sul serio. Per esempio, ho letto La Casa degli Spiriti di Isabel Allende in cambio di Lord Jim di Conrad. No, nemmeno a me sembra uno scambio equo, ma tant’è: c’era poco che non avrei fatto per la causa di Lord Jim, e la mia diabolica compagna di stanza se n’era accorta…

E ho letto Eva Luna Racconta in cambio di Rapito, e Polly mi rinfaccia ancora adesso l’infinità di pagine che David impiega a rendersi conto che non è poi così naufrago, e che con la bassa marea potrebbe andarci a piedi, sulla terraferma… Naturalmente non ho perso molto tempo, negli ultimi vent’anni, a difendere David, ma, nemmeno Alan ha conquistato Polly. E nemmeno Jim. E d’altra parte nessun abitante della Casa degli Spiriti ha conquistato me. E tuttavia, sono molto grata di quei baratti, tanti anni fa. Se Polly non avesse insistito, non avrei mai sfiorato un libro della Allende con l’orlo della veste per… be’, non c’è altro nome per questo: prevenzione. Adesso ho letto qualcosa di suo, e posso dire con cognizione di causa che non mi piace, e perché non mi piace. Allargare gli orizzonti, and all that jazz. A parte tutto, non si sa mai che cosa si può scoprire.

Tant’è che qualche baratto abbiamo continuato a farlo per anni, anche dopo l’università… Poi, quasi senza nemmeno accorgercene, abbiamo smesso, ma forse è ora di riprendere: è bello avere qualcuno che, ogni tanto, ti spinge al di là delle abitudini/latitudini acquisite.

 

Ott 3, 2012 - libri, libri e libri    4 Comments

Il Narratore Antipatico

Un po’ di tempo fa si parlava di narrazioni in prima persona, ricordate?

Nel post in questione dicevo che…

Mi piace condividere lo sguardo del narratore. Mi piacciono le voci narrative individuali che si creano, con i quirks espressivi, le considerazioni personali, gli errori di valutazione e le menzogne.

Ebbene, proprio in questi giorni, E. mi diceva che proprio tutto ciò tende a respingerla anzichenò. Perché, a parte tutto, una voce narrante antipatica è capace di rovinarle anche un libro che altrimenti potrebbe piacerle… 

E. sostiene che il rischio d’insopportabilità scende a livelli minimi con le voci narranti in III – sul che si può discutere – e che un narratore in I, che gliela conta direttamente e lo fa con tutti i suoi quirks e ammenicoli individuali, ha più possibilità di starle sull’anima…

Suppongo che non abbia tutti i torti, perché la forte caratterizzazione può tagliare da entrambi i lati – e devo ammettere che, pur nella mia risaputa debolezza nei confronti delle storie raccontate in I, ho avuto la mia dose di difficoltà con i singoli narratori. Ne ho avute in diversa forma, a ben pensarci. Vediamo un po’ – una piccola fenomenologia del Narratore Antipatico*. lawrence d'arabia

1) Il Guastafeste. Questo è il caso che cita E.: un libro che di suo mi piacerebbe, ma a pagina 10 ho già una tale voglia di strangolare il narratore che la lettura diventa faticosa. Passo troppo tempo a sospirare un narratore e/o protagonista diverso per apprezzare davvero il libro. A me è capitato con La Rivolta nel Deserto. Voglio dire, un Inglese che raccoglie queste tribù litigiose e inefficaci e le conduce attraverso il deserto, da una follia all’altra fino a Damasco – e intanto perde il senso della realtà… È il mio genere di storia. Peccato per Lawrence. Dimenticatevi il Peter O’Toole ingenuo e viepiù allucinato del film: l’originale è puntiglioso, compiaciuto di sé ed egocentrico oltre ogni dire. “Auda disse, Ali suggerì, e il Principe Feisal riteneva, ma poi si fece come volevo io.” In tutto il libro, nessun altro che abbia mai uno straccio di buona idea… Il libro l’ho letto – e più di una volta** – ma mai con il gusto che avrei potuto trovarci, grazie al buon Lawrence. l'eleganza del riccio, muriel barbery

2) La Pioggia Sul Bagnato. Il libro non mi piace affatto, e il narratore in I è solo uno degli aspetti che mi rendono infelice, acida o idrofoba. Come ne L’Eleganza del Riccio. Non so immaginare una voce narrante capace di farmelo piacere, ma di sicuro né la piccola Paloma, finta bambina supponente e finto-ingenua,  né la portinaia Renée, perla di donna mascherata di finto rude candore, hanno fatto alcunché per ammorbidire la mia avversione. Cribbio, son passati più di due anni e detesto ancora libro e narratrici con un livore che sconsola… david balfour, r.l. stevenson, kidnapped

3) Il Guastafeste Apparente. Il narratore non mi piace, ma non è tanto odioso da eclissare i meriti del libro. Come il povero David, che di Kidnapped sarà anche il protagonista nominale, ma è talmente blando, ottuso e benpensante, da indurre nel lettore un forte desiderio di amministrargli un paio di scrolloni per capitolo. E però fa nulla, perché l’avventura in sé, la sgambata attraverso le Highlands e, soprattutto, l’impagabile Alan compensano tutto quanto. D’altra parte qui stiamo parlando di Stevenson, e possiamo tranquillamente assumere che l’effetto sia voluto. O Fanciulli, guardate David, the nice lad che, ci si dice, tutti dobbiamo aspirare ad essere. E poi guardate l’affascinante, pittoresco, temerario, irragionevole, squadrellato Alan…

Dopodiché è chiaro che nessun personaggio può essere simpatico a tutti, e nessun libro può piacere a tutti i lettori, e avversioni e amicizie di carta sono parte integrante del gusto di leggere.

Però è difficile negare che il narratore in I, metaforicamente seduto di fronte al lettore, sia più esposto al rischio di essere a serious nuisance.

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* Involontariamente Antipatico – quello la cui antipatia non è un device narrativo a sé. Quello è un altro discorso.

** Non per autolesionismo, vorrei precisare. Seminario di filosofia della guerra, tesina sul rapporto tra tattica e strategia nella Rivolta…


 

Apr 11, 2011 - lostintranslation    Commenti disabilitati su La Giusta Parola – ovvero Piccole Gioie Del Traduttore Occasionale

La Giusta Parola – ovvero Piccole Gioie Del Traduttore Occasionale

Alan.jpgVi ricordate di Alan Breck Stewart?

Forse sì, visto che ogni tanto vi infliggo qualche rapsodia in materia. E’ più improbabile che vi ricordiate del mio prurito linguistico a proposito della strepitosa battuta in cui, dopo avere sconfitto da solo una mezza dozzina di avversari, Alan si rivolge al narratore David così:

And tell me: am I no’ a bonny fighter?”

Da traduttrice occasionale, come dice lo header qua sopra, non mi sono mai cimentata davvero con la traduzione letteraria – questa eterna caccia al giusto equilibrio tra coscienza ed efficacia – però ho una passione per le espressioni apparentemente intraducibili a cui strologare una versione convincente. E’ un giochino utile e dilettevole per le lunghe attese, quando si sia dimenticato di portarsi un libro, e può durare anni, perché leggendo altro si trovano sempre altre sfumature, altri contesti, altre connotazioni, altre possibili corrispondenze, altri colori…

Ecco, quel Bonny Fighter è uno dei pezzi della mia collezione, forse il mio preferito fin dal giorno in cui l’ho letto per la prima volta, diciotto o diciannove anni fa, seduta in una sala da tè di Edinburgo, mentre aspettavo che spiovesse almeno un pochino.

Qui trovate le premesse della faccenda in dettaglio – compresa una piccola disquisizione letteraria in proposito – ma il sugo è che l’aggettivo bonny raccoglie una serie di connotazioni di ammirazione quasi affettuosa che “un buon spadaccino”* non rende, e cose semanticamente più affini come “una delizia di spadaccino” fanno suonare più leziose di quanto sia il caso.

Ebbene, rejoice with me. Col tempo e con la paglia, i miei rimuginamenti hanno fatto maturare una nespola di cui non sono insoddisfatta:

“E dimmi: non sono un fior di spadaccino?”

Din, don, dan. Siccome non conosco tutte le traduzioni italiane di Kidnapped, non è impossibile che altri ci siano arrivati – magari decenni prima di me. E se devo dirla tutta, nemmeno spadaccino mi convince fino in fondo: ha la giusta intonazione guasconcella, ma forse non è come Alan definirebbe sé stesso… Magari “un fior di duellatore”?

Ci penserò. In quasi vent’anni ho sistemato a mio piacimento bonny – adesso posso procedere con fighter. Ne riparliamo attorno al 2030. Che posso dire? Ciascuno è malato alla sua maniera.

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* Piero Gadda Conti, traduzione Anni Cinquanta per Rizzoli.

Liberamente Tratto

Così, a quanto pare, Muriel Barbery non è soddisfatta del film che hanno tratto dal suo libro L’Eleganza del Riccio, e tiene a farlo sapere.

Non ho visto il film, e devo confessare di non avere nemmeno letto il libro. E’ raro che mi avventuri a leggere un libro circondato da tanto hype… è più forte di me. Non ho letto nemmeno (tremo nello scriverlo) La solitudine dei numeri primi… 

Ma non divaghiamo. Il punto è che solidarizzo cordialmente con la signora Barbery, da lettrice ancor prima che da scrittrice. Mi piacerebbe dire che non guardo mai i film tratti dai libri che mi sono piaciuti, ma non sono così saggia. Li guardo e spesso rimango delusa. Oppure leggo il libro dopo avere visto il film, e scopro che si tratta di tutt’altro.

Per esempio, sapevate che A Colazione da Tiffany non finisce affatto con il gatto ritrovato e Holly e Paul che si abbracciano sotto la pioggia? Oh, proprio no.

Ma pare che agli sceneggiatori tutto sia concesso… be’, in realtà no: fanno quello che fanno (e talvolta commettono le atrocità che commettono) per aderire agli schemi che sono più promettenti dal punto di vista degli incassi… Però viene da domandarsi che cosa sarà parso a Paolo Maurensig, per citarne uno, delle bizzarre (chiamiamole così) modifiche al suo Canone Inverso. Qualcuno, un giorno, mi spiegherà la necessità narrativa dell’aggiungere una figlia e un lager alla vicenda, e di trasformare i baroni austriaci Blau in ricchi ebrei à la Finzi Contini… Senza contare che il David del film non potrebbe essere più diverso dal Kuno del libro.

Perché è vero che comprimere un romanzo in un’ora e mezza di film può richiedere soluzioni drastiche, eliminazione di episodi o frullato di personaggi secondari, ma lo spirito del libro non conta proprio nulla? Una volta che abbiamo il titolo e il nome del protagonista dobbiamo ritenerci contenti?

Prendete La Lettera Scarlatta di Hawthorne, che è una storia molto cupa di colpa, peccato e tradimento cum ostracismo sociale, sine perdono… E prendete l’adattamento cinematografico del ’95, con Demi Moore. No, voglio dire, Demi Moore come Hester Prynne! Già una scelta simile lascia perplessi, ma aggiungeteci una serie di scene di sesso gratuite, un’abbondanza di rivendicazioni simil-femministe (e ricordo che stiamo parlando di una storia ambientata nel XVII Secolo) e un L-I-E-T-O F-I-N-E, e cosa avrete? Di sicuro, Nathaniel Hawthorne che si rivolta nella tomba, e in più un film mediocre.

A volte la questione è tutta diversa. Il Lord Jim di Richard Brooks, tratto da Conrad, si prende una certa quantità di licenze secondarie rispetto al romanzo, per lo più scorciatoie rispetto a rapporti interpersonali che Conrad crea per sovrapposizioni obiettivamente poco adatte ai ritmi cinematografici. Il problema è quando il film perde per strada lo spirito e il significato del romanzo. Invece di una tragedia dell’incapacità di venire a patti con se stessi e con la realtà, ci si ritrova con un’avventurona colonial-nautica. Una delle particolarità di Lord Jim è che si tratta di una trama melodrammatica narrata in modo superbo attorno a un personaggio caratterizzato nel più sottile, dolente e tragico dei modi. Il film coglie il melodramma e manca di gran lunga tutto il resto. Risultato: Peter O’Toole che si aggira per due ore e mezzo tra tolde di navi e palme, con gli occhioni blu sgranati nel vuoto.

Per restare nell’ambito dei miei grudge personali, c’è una versione Anni Quaranta di Kidnapped in cui David ha una decina d’anni anziché diciotto, ed è provvisto di una sorella maggiore (in gonna di tartan, maniche a sbuffo e scialle) che -indovinate un po’ – finisce con lo sposare Alan! Er… sì.

Quando poi si tratta di adattamenti per bambini, si passa ogni limite. La buona, vecchia Disney si è macchiata di una certa quantità di crimini piuttosto eclatanti, come il lieto fine de Il Gobbo di Notre-Dame, o quello de La Sirenetta, tanto per citarne due. Tanto, né Victor Hugo né Andersen possono più protestare… Alexander Lloyd avrebbe potuto, per la macellazione della sua Saga di Prydain ne Il Calderone Magico, e anzi mi chiedo se non l’abbia fatto.

Tutto sommato, però, la Disney non mostra altro che una tendenza recidiva ad addomesticare finali… per restare nell’ambito dei film d’animazione, che dire dell’inqualificabile Il Castello Errante di Howl di Miyazaki? Oh, è tutto molto grazioso, squisitamente disegnato, poetico, delicato… peccato che del romanzo omonimo da cui è tratto conservi il titolo, un certo numero di protagonisti e qualche vago riferimento alla trama, spostati però su una vicenda antimilitarista completamente estranea. Questo perché a Miyazaki stanno a cuore i temi pacifisti e le macchine volanti… E adesso vi state ponendo anche voi la mia stessa domanda, vero? Perché diavolo doveva prendere il titolo e i protagonisti di qualcun altro per raccontare la storia che stava a cuore a lui?

A suo tempo, intervistata in proposito, Diana Wynne-Jones, l’autrice del romanzo, si affrettò a dire che non aveva avuto nulla a che fare con la realizzazione del film. Insomma, se ne discostò quanto poteva, anche se con un po’ meno veemenza di quella che ha usato Muriel Barbery. Tuttavia, immagino che la reazione sia stata la stessa: “So di avere venduto i diritti, ma perché, perché perché hanno fatto questo al mio libro”?

Si può capire che, in queste circostanze, liberamente tratto diventi davvero l’ultima consolazione, a cui aggrapparsi con le unghie e con i denti. E quindi non so che cosa il regista de Il Riccio abbia tradito, se lo spirito, la trama, l’atmosfera del libro o tutto quanto, ma per quel che vale, M.me Barbery, sono con lei.