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Feb 15, 2017 - Storia&storie, teatro    2 Comments

Matilde di Canossa È Passata di Qui

P4210013.JPGUna certa sera di piena estate di qualche anno fa, con Hic Sunt Histriones, ci trovammo a rappresentare Matilde, Donna e Contessa, di Gabriella Motta, davanti alla magnifica pieve romanica di Pieve di Coriano – fondata proprio da Matilde nell’Undicesimo Secolo.

Era un caso di posto perfetto e, per di più, era una sera perfetta – con tanto vento quanto basta a muovere i (numerosi) mantelli senza interferire con i microfoni – e avevamo un bravissimo tecnico alle luci… Insomma, una di quelle rappresentazioni felici in cui tutto va bene, tutto è bello a vedersi, e gli applausi sono numerosi.

Per cui, a spettacolo finito e pubblico defluito, ce ne stavamo a gramolare ghiaccioli alla menta e guardare la bella facciata romanica mentre i tecnici smontavano le luci – stavamo lì con quel lieve spirito proprietario che viene dall’aver recitato in un posto*.

Dovete sapere che all’epoca HSH se ne andava in giro alternando questa Matilde al mio Somnium Hannibalis, ed è per questo che, a un certo punto, “Guarda,” mi disse G. la Regista, indicando con fare da sibilla. “Il tuo Annibale non si è lasciato dietro nulla del genere.” Han

Il che, come ammisi allora e non ho la minima difficoltà ad ammettere adesso, è del tutto vero. Annibale non si è lasciato dietro nulla di nessun genere, in fatto di mattoni e pietra. That is, con la possibile eccezione della città di Artashat, che forse disegnò per un re d’Armenia – e io spero che la storia sia vera, perché mi piace immaginarmi Annibale che, nel suo esilio, disegna città – ma se anche fosse, ormai dell’antica Artashat resta meno che un cumulo di rovine.

E questo – come allora dissi a G. – teatralmente e narrativamente fa di Annibale il più tragico e il più interessante tra i due.

Voglio dire, a ben pensarci ci sono un sacco di paralleli tra Annibale e Matilde: entrambi nati ai vertici della società, entrambi precocemente eccezionali, entrambi figli di padri notevolissimi persi presto e poi superati in capacità e fama, entrambi perno nello scontro tra due grandi potenze delle rispettive epoche, entrambi morti senza successione….

MatildeSolo che Matilde morì tranquilla, lasciando una ragionevole approssimazione di pace e ogni genere di eredità tangibile, dopo aver regnato per molti anni e compiuto molto di quello che si era prefissa di fare, mentre Annibale morì esule, sconfitto, braccato e tradito, avvelenandosi per non cadere nelle mani di Roma e senza lasciarsi dietro nulla.

Nulla, tranne un nome che persino i suoi acerrimi nemici ammiravano. Nulla, tranne nozioni tattiche che si studiano ancora oggi nelle accademie militari di tutto il mondo. Nulla, tranne – ed ecco un paradosso – la grandezza dei suoi nemici, perché è con la II Guerra Punica, che Roma si laureò grande potenza**.

E  quindi lasciatemi indulgere brevemente al mio personale genere di slancio sentimentale: Matilde era senza dubbio un’ammirevole, energica e capacissima signora, ma il mio cuore e la mia immaginazione restano con l’uomo che, sconfitto e senza monumenti da lasciarsi dietro, è riuscito a scagliare il suo nome attraverso quasi due millenni e mezzo come una scia luminosa, per pura, fiammeggiante, titanica grandezza.

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* E ancor di più dall’averne scritto, ma nel caso specifico questo lato della faccenda non spetta a me.

** E, come dice Polibio, “l’essenza di tutto ciò che di buono o di cattivo accadde tra Romani e Cartaginesi fu un uomo solo, Annibale – tanto grande fu la sua personalità, tanto fervida la sua immaginazione.”

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Ott 2, 2010 - teatro    Commenti disabilitati su Matilde a Carpi

Matilde a Carpi

locandina1%20carpi.jpgStasera Hic Sunt Histriones è a Carpi, per mettere in scena Matilde Donna e Contessa nell’ambito della Festa del Racconto.

Di nuovo (e credo per l’ultima volta) copro Beatrice di Lorena e una Contadina, due piccole parti, tanto diverse fra loro quanto è possibile. Speriamo nel vento – so che fa disperare il fonico per via dei microfoni panoramici, ma gonfia mantelli, sciarpe, veli e maniche con bellissimo effetto. A questo punto potrei impaniarmi in una disquisizione se sia da privilegiare l’aspetto visivo (panneggi mossi, spighe che si agitano e quant’altro di bello e inatteso il vento può creare in una rappresentazione teatrale) o la perfezione audio, senza soffi e schiocchi nei microfoni. Beatrice.jpg

Che cosa è più importante? Vero è che la mancanza di vento non nuoce attivamente allo spettacolo, a differenza dell’audio imperfetto. Lo spettatore non sentirà la mancanza del vento che non c’è, né proverà alcun particolare sollievo per la mancanza di disturbi nei microfoni – dal momento che non ci sono. In caso contrario, invece, forse apprezzerà il senso di movimento creato dal vento ma sarà probabilmente infastidito dalle magagne del sonoro…

A conti fatti, l’elemento incontrollabile fa più danno che beneficio con la sua presenza – senza contare il fatto che, di questa stagione, il vento non è mai caldo, può portare pioggia, le infreddature sono sempre dietro l’angolo e il mio costume da contadina è di tela leggera leggera. Dunque in realtà non speriamo affatto nel vento.

PeasantWoman.jpgPerò, l’Umanità non è ragionevole e nel suo complesso (che stasera rappresento con sufficiente approssimazione, interpretando contemporaneamente una principessa e una contadina) soggiace sempre al fascino dell’imponderabilità e perciò lo dico sottovoce: se ci fosse vento…  

Comincia a diventare chiaro che il teatro non mi fa eccessivamente bene, vero? Wish me luck.

Lug 15, 2010 - teatro    2 Comments

Beatrice di Lorena

locandina1pieve.jpgRicordate Hic Sunt Histriones? Quelli del Somnium Hannibalis, per capirci. Apparentemente non ho ancora finito con loro, oppure loro non hanno ancora finito con me, visto che ieri sera ho ereditato i ruoli di Beatrice di Lorena e di una popolana nello spettacolo Matilde Donna e Contessa, di Gabriella Reggiani, in scena a Pieve di Coriano (MN) il 23 luglio prossimo.

Beatrice era la mamma di Matilde di Canossa, una bellissima principessa tedesca di sangue imperiale e regio, data in sposa dal suo augusto parente, il Sacro Romano Imperatore Enrico III, a Bonifacio di Canossa alla – per l’epoca – abbastanza matura età di vent’anni. A quanto pare il banchetto nuziale durò tre mesi, e segnato da stravaganti eccentricità come cavalli ferrati d’argento, spezie in quantità tale da dover essere macinate nei molini e pozzi di vino, dai quali si attingeva con secchi d’argento. Dopo questo inizio sfarzoso, Beatrice ebbe una vita travagliata, perdendo due mariti e due figli e governando la bassa Lorena in her own right per gli ultimi sette anni della sua vita. A quanto pare era donna dura e determinata – e di sicuro così la ritrae Gabriella Reggiani, in un’intensa  scena di confronto madre-figlia, che finisce col ricomporre (piuttosto burrascosamente) temi di libertà personale, conservazione dinastica e ruolo della donna in una cifra di necessità del potere.

La popolana è invece parte dei cosiddetti “controcanti”, un espediente narrativo non dissimile dal coro Beatrice_of_Bar.gifgreco, che affida il commento delle vicende storiche e il trascorrere del tempo a questi intrecci di voci, ora liriche, ora malevole, ora dolorose.

Che manchino appena otto giorni alla rappresentazione, che debba imparare tutto a memoria prima delle prove di stasera (quando non ci sarà nemmeno la regista), che il mio costume sia stato fatto per una persona più alta di me, che “mia figlia” sia al momento in vacanza in Marocco, sono dettagli – mi si dice – che non mi devono preoccupare minimamente.

Hanno fatto bene a dirmelo, perché se non sapessi che non mi devo preoccupare minimamente, sarei in preda al panico più scomposto.