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Mar 2, 2018 - considerazioni sparse, Ossessioni, Poesia, Spigolando nella rete    Commenti disabilitati su Nevica!

Nevica!

nevicata.jpgE no, in realtà non nevica più – e anzi, sta piovendo – ma ieri… ah, ieri è nevicato per tutto il giorno, ed è stata una di quelle giornate magiche e sospese…

Quindi sì, ho avuto la mia nevicata. La prima vera e propria nevicata da anni a questa parte – e mi ritengo soddisfatta.

Magari lo sarei ancora un nonnulla di più se non ci piovesse subito sopra… ma non cavilliamo, volete? Sono soddisfatta*.

E per dimostrarlo, ecco qui uno scampoletto rilevante di Maxence Fermine:

La neve è una poesia. Una poesia che cade dalle nuvole in fiocchi bianchi e leggeri. Questa poesia arriva dalle labbra del cielo, dalla mano di Dio. Ha un nome. Un nome di un candore smagliante. Neve.

>E, giacché ci siamo, anche una di quelle cose un pochino nonsense che si pescano girando qua e là per la Rete (o SNFSedSquando qualcuno, conoscendo la vostra ossessione per la neve, ve le segnala)…

Qui trovate un generatore di fiocchi di neve personalizzati. Dovete soltanto inserire un nome, una citazione – o, in realtà, qualsiasi cosa che si scriva in lettere, numeri e simboli – e vedrete comporsi il vostro fiocco di neve… Quello qui di fianco, per esempio, dice “Senza Errori di Stumpa”. And yes, I know – ma non vi fate idea di quanto sia grazioso. E addictive…

Ah well, niente. Così.

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* E in realtà c’è qualcosa nell’impermanenza delle nevicate… Prima o poi dovrò scriverci su qualcosa.

Giu 10, 2015 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Di Libri e di Città

Di Libri e di Città

Ieri sera, alla biblioteca Zamboni, Ad Alta Voce ha chiuso i battenti per la stagione.

Oh well, è una chiusura molto relativa, perché non mi stupirei affatto se finissimo con l’avere un incontro speciale tra libri e telescopi… Ma questo per ora è in grembo agli dei – e ieri sera c’è stata l’ultima serata da programma.

L’argomento era abbastanza vacanziero: Books and the City – la città in letteratura. Come c’era da aspettarsi, quel che ne è uscito è stato un viaggio a tutti gli effetti, salvo quelli strettamente pratici.

triesteAbbiamo cominciato con un caffè a Trieste. Lo sapevate che per avere un caffè a Trieste bisogna chiedere “un nero”? Per avere un macchiato bisogna invece chiedere “un cappuccino”, e per avere un cappuccino, apparentemente, bisogna andare in un’altra città. D’altronde Trieste è una città di cultori del caffè e dei caffè – e sotto questo ed altri aspetti il delizioso Trieste Sottosopra di Mauro Covacich sembra un ottima guida.

Dalla città del vento siamo tornati indietro nello spazio e nel tempo – nella  Mantova desolata e paludosa visitata da Dickens nel 1844 sotto la guida di un bizzarro cicerone locale… Ecco, diciamo che al romanziere i giganti di Giulio Romano non fecero la migliore delle impressioni – ma questo non gli impedì di registrare i suoi ricordi in Mantova e il palazzo Te, pubblicato in seguito insieme ad altre Pictures from Italy.MoldovitaConstantinople

In condizioni ancora più tristi era, se vogliamo, la Costantinopoli del quindicesimo secolo. Alla vigilia della sua caduta, la capitale dorata dei Cesari d’Oriente era ridotta a un pugno di rovine invase dalle rose selvatiche e dagli usignoli, come è raccontato da Sir Steven Runciman ne Gli ultimi giorni di Costantinopoli. E questo, a mio timido avviso, rende ancora più struggente la storia dell’ultima disperata difesa contro l’inarrestabile potenza ottomana – a riprova del fatto che una città è molto di più della somma dei suoi edifici.

Come la Parigi sotterranea dei Passages, popolata di botteghe antiquarie e di vecchi caffè – rispecchiata e trasfigurata nella sotto-Parigi favolosa che, ne La Piccola Mercante di Sogni, Maxence Fermine fa luccicare di neve tiepida e popola di querce conversevoli e raffreddate…

O come l’afosa, inquieta, brulicante Città della Notte Spaventosa che Kipling descrive con occhi da insonne, tra musica lontana, dormienti che paiono cadaveri irrequieti e nibbi sornacchianti, sotto la luce di una luna impietosa.*

PragaO, infine, come la Praga notturna, letteraria e tormentata che sembra agitarsi tra i suoi incubi e i suoi fantasmi nel lussureggiante Praga Magica. E a sentire Angelo Maria Ripellino, dalla scrittura opulenta e ipnotica, la Praghesità è qualcosa di ben triste…

E a questo punto, dopo avere girato l’Europa e l’Asia a caccia di quel quid metafisico che fa di un ammasso di case e monumenti una città, pareva bello e giusto concludere con una storia bizzarra di costruttori di città senza nemmeno un mattone. Perché in Pfitz Andrew Crumey racconta una città che non c’è – una città ideale, progettata e popolata per la perfezione, ma capacissima – la natura umana essendo quel che è – di germogliare le sue romanzesche e umanissime imperfezioni, sotto forma di storie. Proprio come una città di pietra e di mattoni, di carne e ossa e secoli, una delle tante che abbiamo esplorato ieri sera, sgranocchiando biscotti attorno a un tavolo di biblioteca.

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* La traduzione che possiedo fa parte di una raccolta chiamata Trentatre Racconti Indiani, che apparentemente non è più in commercio. L’originale potete trovarlo qui.

Gen 16, 2015 - grilloleggente, Lingue    Commenti disabilitati su Considerazione Volante

Considerazione Volante

il-violino-nero_41844Dietro consiglio e prestito di F., complici un paio di incontri di Ad Alta Voce, sto leggendo Il Violino Nero, di Maxence Fermine.

In Italiano.

L’ho finito, e mi è piaciuto, ed è anche una bella traduzione, ed ero un pochino prevenuta contro Fermine e mi sbagliavo – ma non è questo il punto. Il punto è che ieri sera, mentre lo leggevo, avevo l’impressione di qualcosa di leggermente strano… Ho dovuto fermarmi e pensarci un attimo, prima di capire che cosa fosse: il fatto è che erano secoli che non leggevo narrativa che non fosse in Inglese e/o di un autore anglosassone. O quanto meno, erano secoli che non ne leggevo per diporto. Tanti secoli, in fact, che leggere qualcosa di diverso mi fa quell’impressione leggermente strana che dicevo.

Un’impressione tutt’altro che sgradevole, sia chiaro – un po’ come rientrare in una casa da cui si manca da tanto tempo.

Ora, se dicessi che la cosa mi sconcerta, sarebbe un’esagerazione – ma di sicuro c’è di che sollevare un sopracciglio e pensare. È del tutto vero che nei “miei” generi – tanto in fatto di narrativa quanto di saggistica, a dire il vero – la scelta è incomparabilmente più ampia e migliore se si legge in Inglese. Ed è vero che molti dei miei interessi pendono verso il mondo anglosassone.

Per cui tornerò rapidamente al mio beneamato Inglese*, e tuttavia… lo confesso? Ma sì, lo confesso: per una volta, leggere qualcosa che non sia a) in Inglese; b) di argomento inglese; c) di ambientazione elisabettiana si porta dietro un senso di discontinuità, di spostamento… quasi una specie di viaggio. È stato piacevole, oltre ad essere istruttivo e – a suo modo – una sorpresa.

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* Già tornata, a dire la verità: ieri ho ricevuto per posta, inziato e finito il copione di Shakespeare in Love – the Play. In Inglese. Elisabettiano. Sono proprio io, vedete? Non mi hanno rapita e sostituita i folletti.