Tagged with " pinocchio"
Gen 11, 2012 - libri, libri e libri    4 Comments

Gente Di Un Solo Libro

Non c’è unità d’interpretazione su cosa di preciso volesse dire San Tommaso d’Aquino quando affermava di temere l’uomo di un solo libro – personalmente propendo per la lettura secondo cui una varietà di fonti di conoscenza è sempre più sana, ma in realtà non è questo il punto.

Il punto oggi sono gli autori di un solo libro.

O meglio, bisogna precisare, perché la definizione va presa in senso lato e il genere si differenzia in più di una specie.

emily brontëC’è Emily Brontë, per esempio, che di romanzi ne scrisse davvero uno solo, per il drastico e inoppugnabile motivo che poi morì. Wuthering Heights, inizialmente bollato dai critici come il rozzo sforzo di un illetterato giovanotto dello Yorkshire, fu un successo colossale – in parte forse proprio per le corrispondenze tra l’autrice e i suoi personaggi: una giovane donna solitaria e ostinata, con due sole passioni: la desolazione ventosa delle brughiere e le sue storie… A questa immagine di Emily contribuì non poco Charlotte, che descrisse l’adorata e defunta sorella alla sua prima biografa, Mrs. Gaskell in termini alquanto idealizzati. Ed ecco Emily, the wild child of genius and nature, col suo capolavoro perfettamente spontaneo e irripetibile. Tutto molto romantico, ma leggendo lettere e diari ci si fa l’idea di una ragazza un nonnulla bisbetica, chiusa nel suo mondo immaginario oltre ogni ragionevolezza – per non parlare del fatto che WH fu preceduto da una quantità di scritti giovanili e di poesia. Leggenda e Mrs. Gaskell vogliono che Emily stesse lavorando a un secondo romanzo, il cui manoscritto incompiuto bruciò poco prima di morire. Affascinante ipotesi, ma chi può dire? 379px-Spanish-tragedy.gif

Diverso è il caso di Thomas Kyd, di cui può esserci ogni numero di opere, solo che non lo sappiamo. Thomas Kyd, vedete, era un drammaturgo elisabettiano (e sì: sapevate che saremmo arrivati a queste latitudini storiche, presto o tardi). Kyd era un contemporaneo degli University Wits senza essere uno di loro. Figlio di uno scrivano e in tutta probabilità scrivano a sua volta, non andò mai (gasp!) all’Università e, per quanto ne sappiamo, scrisse una sola tragedia – ma non una qualsiasi. Hieronimo, or The Spanish Tragedy, è la madre di tutte le storie di vendetta elisabettian-giacobine, un affare turgido e truculento come pochi, e un campione d’incassi a suo tempo… E poi che accadde? Possibile che l’uomo capace di travolgere le scene londinesi in questa maniera si fermasse lì…? Be’, poi accadde Marlowe, autore migliore e amico pericoloso – visto che le torture subite nel corso dell’inchiesta sul terribile Kit condussero Kyd a una morte prematura nel 1594. E con la morte venne l’oscurità: non ci ricorderemmo nemmeno di lui, se non fosse per le carte del processo Marlowe e se, a fine Settecento, uno studioso inglese non avesse scovato un’unica e postuma attribuzione secentesca della Spanish Tragedy. Ed è più forte di me: non so scrivere del povero Kyd se non in questi toni vagamente funerei. In realtà ci sono tentativi di attribuirgli altre opere, ed è difficile pensare che non abbia mai collaborato con altri o modificato lavori altrui, ma si sa come va con le attribuzioni elisabettiane, vero? Per tutti quelli che si ricordano di lui, Kyd è solamente l’uomo della Spanish Tragedy.

Manzoni.jpgDi Manzoni, per contro, sappiamo tutto, ma siamo sinceri e brutali: chi si floccipende granché della Storia della Colonna Infame, degli Inni Sacri, del Conte di Carmagnola e anche dell’Adelchi? Sì, tutti abbiamo studiato a memoria Il Cinque Maggio e abbiamo “Ei fu…” piantato tra i lobi come un riflesso automatico, ma in realtà Don Lisander è l’uomo dei Promessi Sposi, pilastro della letteratura nazionale dalle molteplici edizioni, grondante acqua dell’Arno, croce e delizia di generazioni di ginnasiali. Oltretutto, è davvero l’unico romanzo del suo autore, per cui la definizione regge più che in altri casi. carlo collodi, pinocchio

Per esempio ben più che per Collodi, che tutti ricordano solo per Pinocchio, ma che in realtà scrisse treni merci di altra roba. Epperò alzi la mano chi ha mai letto titoli come Il Regalo del Capo d’Anno o La Lanterna Magica di Giannettino… Suppongo che sia un po’ come per quegli attori che interpretano un film di enorme successo e poi non riescono più a scrollarsi di dosso quel ruolo, à la Mark Hamill, per dirne uno.

emily brontë. cime tempestose,manzoni,i promessi sposi,thomas kyd,the spanish tragedy,collodi,pinocchio,pat o'sheaE poi può esserci il caso di gente che, nel bel mezzo di una carriera senza lampi, produce una singola gemma. Vi ricordate di Pat O’Shea, l’Irlandese che scrisse La Pietra Del Vecchio Pescatore? Ecco, Pat O’Shea le provò tutte: era una mediocre autrice teatrale, non combinò nulla come autrice televisiva, produsse un certo numero di racconti senza lode e senza infamia e non riuscì mai a pubblicare il suo romanzo a fumetti. Però poi cominciò a lavorare su un romanzo per bambini basato sui miti irlandesi. Non perché volesse pubblicarlo in particolare – a quello credeva di avere rinunciato – ma perché voleva farlo, per se stessa e per i suoi. E ci lavorò per 13 anni, e alla fine il risultato fu il meraviglioso, incantato, poetico The Hounds of the Morrigan, ovvero La Pietra Del Vecchio Pescatore, uno dei più bei romanzi fantasy che abbia mai letto. Nonché un bestseller internazionale, se ve ne ricordate. E poi, in una svolta à la Emily Brontë, anche la povera Pat O’Shea morì mentre scriveva un seguito – però senza bruciarlo.

Insomma, non sarebbe stata un’autrice di un solo libro, se ne avesse avuto il tempo, e non è che non ci avesse mai provato prima. Lo stesso vale per Emily. E il povero Kyd in tutta probabilità non lo era affatto, né lo erano Collodi e Manzoni, o tutti quegli autori che pur conosciamo per un titolo solo, come Lady Caro Lamb per Glenarvon, o Mary Shelley per Frankenstein

Perché il fatto è, io credo, che nessuno si sveglia una mattina, scrive una gemma di libro out of the blue, depone la penna e non ci pensa più per il resto della sua vita. Per scriver gemme bisogna avere prima scritto molto vetro colorato, e dopo aver scritto una gemma, chi non vorrebbe scriverne altre?

Ex nihilo nihil fit, non credete?

Un (e)Romanzo Nella Cappelliera

Avevo detto che ne avremmo riparlato, ed eccoci qui. Torniamo a rimuginare su Librinnovando, o piuttosto sulla sessione “Contenuti & Contenitori: l’evoluzione dell’eBook e nuovi contenuti editoriali”, che si è rivelata singolarmente istruttiva nella sua capacità di sollevare dubbi e domande. E questo, preparatevi, sarà un post pieno di dubbi e di domande.

Il sugo della sessione era, apparentemente, che l’editoria dispone di nuovi e straordinari mezzi e, per sfruttarne appieno le potenzialità, non basta buttare nel calderone digitale il materiale cartaceo esistente così com’è: occorre crearne di nuovo, pensato in funzione delle possibilità dei nuovi mezzi.

So far, so good. Un testo o un’illustrazione nati per la lettura tradizionale sono proprio “solo” questo, e poco importa che li si veda su carta o su uno schermo, ma le nuove tecnologie consentono di guardare in quelli che il fumettista Tito Faraci ha efficacissimamente descritto come “gli spazi bianchi tra le vignette”…

A illustrare il concetto in modo particolarmente vivido ci ha pensato Giorgia Conversi di Elastico App, mostrandoci in video l’anteprima della bellissima app per iPad Pinocchio. Bellissima e stupefacente (date un’occhiata qui per convincervene): il piccolo “lettore” ha la possibilità di esplorare e spostare  tutti gli elementi delle illustrazioni, scoprendo quel che c’è dietro. Attraentissimo, in via di principio: da bambina sognavo di entrare nei libri, esplorarne il mondo e incontrarne i personaggi… devo ammettere che il lavoro di Elastico App ci va abbastanza vicino. L’app dialoga con il “lettore” a più livelli – più o meno latenti, come dimostra la scena celebre in cui pinocchio si brucia i piedi addormentandosi davanti al camino, e la musica, una tenera ninnananna, è pensata nel preciso intendo di rallentare la percezione della drammaticità della scena. Solo in un secondo momento il “lettore” nota il problema di Pinocchio – assistito da un provvidenziale fulmine sullo sfondo. E questa, lasciatemelo dire, è regia a tutti gli effetti. 

Molto bello, ma quali sono gli sviluppi di tutto ciò? In che direzione si sta andando, di preciso?

Intanto si capisce che la letteratura per fanciulli è destinata ad essere un campo privilegiato da questo punto di vista e, dice Marco Dominici, lo stesso vale per la didattica, in un’ottica di abbandono dell’apprendimento lineare. Una didattica flessibile e scomponibile, una didattica personalizzabile all’estremo. E qui devo dire che Dominci è una persona molto in gamba e un ottimo oratore, ma non finisce di convincermi. È possibile che io sia soltanto vecchia, ma quando sento parlare di approfondimenti costituiti da “una serie di piccoli – ma piccoli, eh? – moduli”, solleverei volentieri le antenne, se ne avessi. È davvero possibile approfondire alcunché a colpi di piccoli – ma piccoli – video di due minuti? Non dubito che brevità e impatto visivo favoriscano l’apprendimento, ma tutto ciò mi ricorda un po’ il modo in cui, al Ginnasio, nei momenti di disperazione mettevo in musica elenchi e formule che non riuscivo a memorizzare. A vent’anni di distanza sono in grado di canticchiare che nella Quollà etiope si coltivano dura, mais, cotone e tabacco*, e posso richiamare le proprietà delle particelle grazie a un certo Studio di Chopin… il problema è che non ricordo né cosa fosse la Quollà né a quali particelle appartengano le propietà. Brevità e impatto visivo (o sonoro nel mio caso) hanno funzionato come escamotage d’emergenza, ma non come sistema di apprendimento altro che mnemonico. E poi vogliamo parlare dell’apprendimento incrementale? Forse può non essere del tutto necessario in fatto di lingue (almeno una volta superato un livello base), ma si può davvero studiare la storia in modo non lineare? Come capirò il Medio Evo se non ho studiato l’Impero Romano? E l’Impero senza la Repubblica? Che ne sarà del rapporto di causa ed effetto e della soglia di attenzione quando i discenti avranno a che fare con una vasta scelta di brevi moduli misti assortiti?

E a dire il vero, non posso fare a meno di pormi la stessa domanda a proposito dei lettori. I libri tradizionali continueranno ad esistere, si dice. La lettura pura non scomparirà. Vero – almeno nelle intenzioni, ma quale sarà l’atteggiamento di fronte alla lettura pura dei nativi digitali allevati ad app come quelle realizzate da Jekolab? Silvia Carbotti ci ha presentato alcuni degli adorabili prodotti realizzati dallo studio, come questi Tre Porcellini, destinati a un pubblico prescolare e realizzati in collaborazione con la facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Torino. Anche qui, come in Pinocchio, la parola chiave è interattività: i piccoli “lettori” sono incoraggiati a esplorare il mondo della storia mentre una voce narrante racconta quel che accade. “Volevamo una voce femminile, calda e accogliente, che richiamasse l’idea di una mamma,” ha detto Carbotti. “Volevamo creare un’esperienza di lettura attraente e accattivante.” Già, ma proprio questo è il punto cruciale: si tratta davvero ancora di un’esperienza di lettura? Qual è la differenza tra I Tre Porcellini di Jekolab e una app contenente un gioco? Che cosa ne fa un libro?

Perché è logico immaginare che il bimbo cui sono destinati i Porcellini, quando avrà tra i sei e gli otto anni leggerà il Pinocchio di Elastico – e in proposito Conversi ci ha raccontato una storia molto interessante. Pare che il progetto originario non prevedesse una voce narrante. “Ci aspettavamo che i bambini di quell’età leggessero il testo semplificato accostato alle illustrazioni.” Poi è successo che il blog del progetto, su cui era possibile seguirne e commentarne l’evoluzione, sia stato inondato di richieste di genitori che bramavano una voce narrante – e così Elastico ha aggiunto una narrazione affidata a più attori e provvista di effetti sonori. “E ci siamo accorti che era meglio così, perché il testo, che prima restava in secondo piano rispetto agli enhancements, tornava ad essere rilevante.”

Ecco che ci siamo. O mon présage fatal… Il testo, vedete, non è più in primo piano. Non è più così rilevante, perché è soffocato dagli enhancements e da solo non ce la fa a catturare l’attenzione del piccolo “lettore”.

E quindi, dov’è finita l’esperienza di lettura? A tre anni il lettore in fieri sposta porcellini e lupi in giro per uno schermo, a otto gioca con le meravigliose illustrazioni di Pinocchio e (forse) ascolta la storia letta dalle voci recitanti, e a quindici apprende la storia della letteratura in moduli non lineari corredati da approfondimenti di due minuti. Quando, come, dove, da chi verrà iniziato alle gioie, alle fatiche e all’enorme soddisfazione intellettuale della lettura pura? Al rapporto individuale, imprevedibile e mai esausto tra il lettore e il testo?

Ecco, in tutto questo parlare di interattività mi sembra che ci si lasci sfuggire qualcosa. C’è un’altra collana di app prescolari di Jekolab – deliziosa e inquietante ed estremamente simbolica, I think. Si chiama Ditamatte, ed è una i-versione del buon vecchio libro da colorare. Date un’occhiata al video, e vedrete che il gioco consiste nel toccare la schermata su cui appare un disegno in bianco e nero che si colora al contatto. Immagino che sia divertente, ma se ho capito bene non c’è modo di scegliere i colori e non c’è modo di uscire dai contorni, perché è tutto già predisposto – si tratta solo di toccare la superficie con un sufficiente grado di energia**. Il grado di interattività manuale è elevato – ma dov’è l’interattività intellettuale? Dove sono le scelte, le intenzioni, il gusto, gli errori e la fantasia del bambino? Lo stesso, temo, vale per la lettura: l’idea di futuri lettori troppo occupati a badare a quel che fa il marchingegno per fare qualcosa a loro volta – e magari anche per badare a quel che ha fatto lo scrittore – mi sconcerta. Molto.

Qualche anno fa era uscito un romanzo storico in forma epistolare di cui non ricordo né il titolo, né l’editore né l’autrice (ma brava, Clarina!). Ciò che ricordo è che era uscito in due versioni – quella tradizionale e quella “nella cappelliera”. A un prezzo esorbitante, era possibile avere, anziché un volume a copertina rigida, una cappelliera piena di lettere manoscritte, disegni e fotografie sbiadite – il tutto dall’aria molto autentica. Era molto bello ed era, non c’è altro modo di definirlo, un ur-enhancement. Era anche dissennatamente costoso e rimase un’isolata eccentricità editoriale. Adesso è possibile ricreare un’esperienza del genere in modo virtuale per una frazione del costo, in modo assai più accessibile e comodo.

Ma siamo sicuri di volere libri, didattica, storie per bambini – tutto confezionato in cappelliera, colorato, attraente, accattivante, predigerito e pieno di bells&whistles? Perché non posso fare a meno di chiedermelo: dentro la e-cappelliera manipolabile, manipolatrice e (forse) interattiva, che ne è dell’individualità, dello spirito critico e dell’immaginazione del lettore?

________________________________________

* Sulla melodia di “Maramao Perché Sei Morto”, in case you wonder.

** E devo proprio chiedermelo: quanto è robusto lo schermo di un iPad?