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Gente Nei Guai II – Bilancio

GnGIeri sera ho terminato Gente Nei Guai II, il mio corso avanzato di scrittura narrativa.

Ottima esperienza e ottimo gruppo: una decina di aspiranti scrittrici piene di entusiasmo, sempre pronte a sperimentare, con un’infinita capacità di fare domande stimolanti. Mi mancheranno.

Abbiamo fatto parecchie cose, in queste settimane – alcune piuttosto sofisticate – e abbiamo discusso molto di scrittura, di libri, di narrazione, di tecnica, di bizzarrie… È stato piacevole, molto stimolante e anche istruttivo.

Istruttivo per me, intendo. Be’, anche per loro, mi auguro, ma è stato un passo interessante nella mia esperienza d’insegnamento. Gente Nei Guai, dopo tutto, è un progetto in fieri, che cresce su se stesso. Dapprincipio è stato l’occasione per sistematizzare e organizzare i miei rimuginamenti in fatto di scrittura, poi un po’ per volta ho sviluppato un metodo, scoprendo by trial and error che insegnare scrittura non somiglia granché a dare lezioni private d’Inglese…

No, sul serio.

GnG non è mai stato uguale due volte – un po’ perché è un corso duttile ed esiste in diverse versioni, dalle 6 alle 10 lezioni, un po’ perché molto dipende dal gruppo che ci si trova davanti, un po’ perché ripetere la stessa cosa senza variazioni può essere rassicurante, ma diventa rapidamente piuttosto noioso, e un po’ perché di volta in volta faccio delle scoperte. Scoperte in fatto di metodo, principalmente, e di esercizi che funzionano, e di cose che non sono ovvie o interessanti allo stesso modo per tutti.

Scoperte di questa volta? Vediamo un po’…

1) Questa in realtà non è una scoperta recente, ma mi convinco viepiù della sua importanza: gruppi piccoli, per favore. Otto o dieci persone sono l’ideale, dodici ci stanno ancora, quindici sono troppe, più di quindici assolutamente ingestibili. E sì, a volte arriva la richiesta: uno di più, due di più, per favore, è un peccato mandarli via… E allora si accetta. L’ho fatto una volta e me ne sono pentita amaramente: non si crea l’atmosfera giusta, non si riesce a interagire con i singoli… non va bene.

2) Un workshop mirato durante la prima lezione. Freewriting a tempo, con e senza musica, per esempio. Oppure la costruzione collaborativa di una trama in tre atti. Qualcosa che possano mettere in pratica subito, e discuterne i risultati. Rompe il ghiaccio alla meraviglia, migliora l’atmosfera generale, supera in un balzo unico la fase guardinga e spiana la strada per futuri workshop, senza che nessuno si vergogni a leggere ad alta voce ciò che ha scritto.

3) Spazio per la discussione. Non sto parlando di incoraggiare le domande – ça va sans dire: le domande sono il sugo di questo genere di corso. Poi ci sono gruppi che ne hanno di più e gruppi che ne hanno di meno, ma questo è fisiologico. Quello che intendo è la discussione di aspetti meno pratici del processo di scrittura. Perché si scrive quel che si scrive? Perché si preferisce il lieto fine oppure no? Che genere di storie si vogliono raccontare? Che cosa si cerca nelle storie? Qualche genere di consapevolezza nello scrivere non è una brutta cosa – e l’argomento forse è più adatto a un corso avanzato, ma ho costatato che incontra interesse.

4) Attorno a un tavolo, grazie. La scoperta dell’acqua calda? Maybe, ma negli anni mi è capitato un po’ di tutto: dal ferro di cavallo al tavolone quadrato, alle sedie in cerchio fino alla platea… E invece, l’ideale sembra essere un tavolo non troppo grande quanto basta perché tutti possano sedersi e appoggiarsi comodamente per scrivere, e guardarsi in faccia e parlare senza dover strillare. Motivo di più per mantenere il gruppo entro dimensioni limitate.

5) “Ma è difficile!” Me lo sono sentito ripetere diverse volte. Ebbene sì, è vero: è difficile e nessuno dice il contrario. Richiede pazienza, lavoro, discplina, rigore, infiniti tentativi ed esperimenti, e la consapevolezza che non si finisce mai d’imparare. Ma se non fosse così, ne varrebbe davvero la pena? Come dice McNair Wilson, Certo che è difficile – deve essere difficile! È arte.

Ecco. Per ora basta. Gente nei Guai torna in autunno, a Porto Mantovano, probabilmente sia nella versione base che in quella avanzata.

Gruppi nuovi, gruppi che ritornano. Sarà interessante. Non vedo l’ora.

 

Cinque Pensieri Di Fine Corso

ja09_books_creative_writingIeri sera ho terminato una versione in sei lezioni di Gente Nei Guai a Porto Mantovano.

Mi è spiaciuto congedarmi dai miei quattordici studenti – un gruppo vivace, simpatico e motivato – ma c’è di buono che probabilmente proseguiremo a primavera con un corso avanzato. E sarà interessante, perché – ripeto –  si tratta di un ottimo gruppo.

Dopodiché, ogni corso è, per forza di cose, una faccenda a sé – ma  ho costatato una volta di più alcune costanti, di cui vi metto a parte.

I. Fino a quindici partecipanti va tutto bene. Di più e, anziché un gruppo, vi ritrovate una classe – il che può andare ragionevolmente bene finché parlate voi, ma non funziona granché per la discussione e  gli esercizi pratici. Può essere un problema, perché a volte gli organizzatori hanno tante richieste, e supplicano di accettarne ancora uno, e ancora uno, e per favore un altro… Ma vale la pena di esercitare fermezza: il corso ne guadagnerà.

II. Non c’è nulla da fare: l’impatto con la tecnica sconcerta sempre, almeno un pochino. C’è chi è curioso, c’è chi si sorprende nello scoprire l’esistenza di tecnica&teoria in un campo in cui non se li aspettava, c’è lo scettico blu, certo (in gradi variabili) che la Scrittura, in quanto Arte e Ispirazione, non possa sottostare a regole… Ad ogni modo, l’impatto è quasi sempre quello del millepiedi di Kipling. Questa volta, l’ho detto, avevo un ottimo gruppo di gente che partiva già bene e gente che ha fatto progressi drastici nel corso delle sei settimane, ma è sempre di soddisfazione veder sperimentare le tecniche, di settimana in settimana, e raccogliere un certo numero di “Ehi, funziona!”

III. La mortalità è inevitabile. A parte i malanni di stagione e gli imprevisti, qualcuno si perde sempre per strada – e su un gruppo limitato le sedie vuote si vedono molto. Le prime volte andavo in crisi – col tempo ho imparato che non è possibile accontentare tutti. Ci sarà sempre qualcuno che dopo tutto si annoia, o che decide che la tecnica non è la sua tazza di tè, o che non apprezza le vostre teorie… Di nuovo, questo gruppo sembrava intenzionato a farmi felice, e la scarsissima mortalità (al netto dell’influenza e degl’impegni di lavoro) si è manifestata solo all’ultima lezione. Però capita – e bisogna tenerne conto. Una cosa che si può fare è interrogare i superstiti attorno a metà corso – sentire impressioni, mugugni e desiderata. Non per questo si cambia la natura del corso, ma è sempre possibile correggere il tiro.

IV. I compiti a casa sono di quelle cose. Prima di tutto, evviva la posta elettronica, che semplifica indicibilmente la vita. In genere se ne preoccupa un numero limitato di partecipanti. Il resto si divide tra quelli che fanno gli esercizi ma non ve li mandano per un motivo o per l’altro, e quelli che proprio non ci provano nemmeno. Tra i diligenti, poi, ci sono inevitabilmente quelli che fraintendono l’esercizio. Per quanto crediate di esservi espressi chiaramente, rassegnatevi: succederà. Un po’ – specialmente all’inizio – perché non sono abituati a pensare alla scrittura nei termini tecnici che voi intendete. Un po’ perché qualcuno è talmente ansioso di impressionarvi con il racconto/romanzo/poema in pentametri trocaici che ha nel cassetto, che ve ne contrabbanderà  una fetta – qualche volta tout court, qualche volta fingendo che sia l’esercizio. Aggiungere “Non Speditemi Cose Che Avete Già Scritto – Svolgete L’Esercizio” può funzionare oppure no. Così come porre dei limiti, come un massimo di parole per esercizio, o un giorno entro cui spedirvi i lavori… Potete provarci – ma spesso vi ritroverete più che altro una fenomenologia dell’interpretazione elastica…

V. Alla fin fine, un sacco di buone domande, settimana dopo settimana, è quello che rende davvero felici. Non volete davvero una platea zitta e prigioniera – non siete a teatro. Quando cominciano a volerne sapere di più, a cercare approfondimenti, a chiedere titoli, a discutere sul serio, a trarre conclusioni (che non sono necessariamente le vostre), allora significa che il corso sta funzionando.

E lo ripeto un’ultima volta e poi chiudo: o Portesi, mi avete resa davvero felice sotto tutti gli aspetti – e con un’abbondanza di domande. Se tutto va bene, ci vediamo a primavera.