Tagged with " robert greene"
Apr 18, 2018 - elizabethana, Storia&storie, teatro    Commenti disabilitati su Se Avete Amato Tamerlano…

Se Avete Amato Tamerlano…

Avete mai badato al meccanismo per cui ogni successo si porta dietro un subisso di imitazioni scritte con la penna intinta nell’ansia di salire sul carro del vincitore editoriale?

O cinematografico, in realtà – ma in narrativa è reso particolarmente spudorato da, you know, le sciagurate fascette: Il Nuovo Xxx, L’Erede di Yyy, Se Avete Amato Zzz…

Ma in realtà il meccanismo è più vecchio delle fascette, più vecchio delle colline. Why, Omero aveva i suoi imitatori. A dire il vero, non è nemmeno detto che “Omero” non stia per “un capofila fortunato e un certo numero di gente che seguiva i suoi passi”…

Ma non occorre che torniamo così indietro – almeno non oggi. Oggi parliamo di Robert Greene.

Ora, Robert Greene era uno di quegli robert greene, christopher marlowe, tamerlano, alfonso re d'aragonaautori usciti dall’Università che abbondavano nella Londra elisabettiana. Master of Art a Cambridge, figlio forse di un locandiere e forse di un artigiano insolvente, Robin era arrivato a Londra dopo avere abbandonato una moglie ricca – o così racconta lui, ma non è chiaro se ci sia da fidarsi.

E una volta a Londra, frequentò con gusto i bassifondi, si prese per amante la non troppo rispettabile sorella di un brigante di strada e, in generale, si rese tanto cospicuo quanto poteva. Tra teatri, bordelli e arene per gli orsi era universalmente conosciuto per i suoi abiti color cacca-d’oca, per la barba rossa tagliata a punta e per uno spirito alquanto abrasivo. La sua intenzione era la stessa di tanti altri squattrinati gentiluomini lavati nel Cam: guadagnarsi da vivere scrivendo. Il teatro sembrava la via più facile e più redditizia, ma non è che Greene ci sapesse molto fare. A quanto pare, solo una delle sue commedie incontrò qualche favore – e le sue tragedie erano considerate repertorio da provincia. Del che Greene incolpava non se stesso, ma i tempi, la crassa stupidità del pubblico e degli impresari, la malvagità e avidità congenite degli attori e, soprattutto, la concorrenza. La concorrenza non laureata, in particolare, gli dava il mal di stomaco…

Per sua fortuna, Greene aveva, se non altro, un dono per la prosa. Da un lato i romances, storiellone melodrammatiche piene di colpi di scena narrati in uno stile che oggi definiremmo purpureo. E dall’altro i libelli. I suoi saggi sulla vita dei bassifondi, sui trucchi dei truffatori e sulle disgrazie degl’ingenui laureati nella città malvagia ebbero un colossale successo. Un successo che sarebbe bastato a mantenere un uomo di moderato buon senso… ma Greene, tra vino, gioco e donne, era sregolato persino per i laschi standard elisabettiani.

E poi a un certo punto si convertì. Per iscritto. Un Pizzico di Buon Senso Acquistato a Prezzo di un Milione di Pentimento è l’ultimo libello che, secondo tradizione, il buon uomo avrebbe scritto sul letto di morte. La diatriba è livorosissima e ce n’è per tutti, compresi gli attori e gli altri scrittori, primi tra tutti l’ateo Kit Marlowe (chiaramente avviato all’inferno…) e un misterioso Corvo Arrampicatore che si fa bello con le piume altrui – e che in tutta probabilità è Shakespeare*, quell’accidenti di campagnolo senza laurea.

Quando il Pizzico fu pubblicato, Robin Greene era già morto per indigestione (o, di nuovo, così vuole tradizione) di aringhe in salamoia e vino del Reno.

E che c’entra tutto ciò con gli imitatori?

C’entra perché abbiamo detto che Greene non aveva un gran talento per il teatro, ma non per questo non ci provava. robert greene, christopher marlowe, tamerlano, alfonso re d'aragona

Nel 1588, quando le due parti del Tamerlano di Marlowe travolsero Londra, Greene dovette masticare parecchia bile. Immaginate: al Rose si replicava all’infinito, i bambini nelle strade giocavano a Sciti e Persiani, la gente citava a gran voce Holla, ye pampered jades of Asia!, e nelle taverne i bevitori brindavano alla salute di Alleyn & Marlowe – un vilissimo attore e un ragazzino appena uscito da Cambridge…

Be’, ma perché non posso farlo anch’io? dovette dirsi Greene. Così prese il Tamerlano, lo spostò in Spagna**, cambiò i nomi dei personaggi, riscrisse – ma non troppo, mantenendo la trama pressoché identica… et voilà! Alphonsus, King of Aragon era pronto per le scene.

Pare di vederle, le altre compagnie, quelle che non potevano avere Marlowe e il Tamerlano. Venghino, siore e siori, venghino ad ammirare le terribili vicende di Alphonsus, il Tamerlano di Spagna…

E per un po’ funzionò – ma non per molto. La gente, dopo avere visto e rivisto Tamerlano, se ne andava in cerca di altre emozioni consimili, ma poi… be’, Alphonsus non era Tamerlano. E non era questione della scopiazzatura della trama – pratica pressoché quotidiana in un mondo senza diritti d’autore. Il pubblico elisabettiano non aveva particolari obiezioni alla stessa storia in altra salsa, ma era smaliziato: andava una volta e poi, constatando che i versi erano brutti, i dialoghi legnosi e i personaggi mollicci nella loro altisonanza, non tornava più.

robert greene, christopher marlowe, tamerlano, alfonso re d'aragonaLe compagnie provarono a portarsi l’Alphonsus in provincia, dove si supponeva che i campagnoli fossero di bocca buona, ma niente da fare. I cortili di locanda, le sale delle corporazioni e i prati delle fiere si riempivano di gente che, accorsa per vedere il nuovo Tamerlano, non si faceva scrupolo d’interrompere la rappresentazione ululando “dateci Tamerlano!”

Ma, a parte i rovelli (immaginari, lo ammetto) di Greene, avrebbe potutto funzionare. Anzi, funzionava tutto il tempo, e aveva funzionato prima, e ha funzionato dopo e, ho tanto idea, funzionerà sempre. Perché in fondo, come nascono e si ramificano i sottogeneri, se non perché, come Oliver Twist, dopo avere assaggiato qualcosa, il pubblico ne vuole ancora?

La speranza è sempre che il pubblico sappia distinguere. In mancanza di quello, si può sempre confidare che, prima o poi, il passare del tempo faccia da setaccio tra gli Alfonsi e i Tamerlani.

 

___________________________________________

* Una teoria alternativa è che si tratti in realtà di Ned Alleyn. Considerando il livore che Greene nutriva nei confronti degli attori, non è del tutto implausibile – ma resta da provare che Alleyn abbia davvero mai scritto alcunché.

** Ambientazione esotica, col brivido aggiuntivo del cattolicesimo e dell’inquisizione…

Mag 11, 2016 - Shakespeare Year, Storia&storie, teatro    Commenti disabilitati su La Dura Vita del Teatrante Elisabettiano

La Dura Vita del Teatrante Elisabettiano

fortune.jpgOra, se c’è una forma artistica per cui l’Inghilterra elisabettiana è più nota di altre, è senz’altro il teatro, il che è quasi paradossale quando si considera la posizione di teatro e teatranti nella società dell’epoca.

Da un lato vigeva un ostracismo sociale alquanto rigido: il teatro era considerato immorale, e teoricamente confinato al di fuori dagli spazi cittadini. La maggior parte degli attori e autori abitava fuori dalle mura di Londra propriamente detta e, se le locande e i palazzi che ospitavano le rappresentazioni si trovavano spesso dentro la città, i primi teatri costruiti appositamente per l’uso delle compagnie (come il Theatre, il Curtain e il Rose) sorsero a Norton Folgate o a Southwark, dove erano facilmente raggiungibili e, al tempo stesso, fuori dalla giurisdizione delle autorità cittadine londinesi. Non aiutava particolarmente che il teatro fosse spesso connesso ad altre attività ritenute fonte di corruzione: Philip Henslowe, uno dei più celebri impresari del tempo, si occupava abbondantemente di combattimenti di orsi e galli, e possedeva diversi bordelli. Tra le varie carriere connesse con il teatro, quella di attore seguiva le regole dell’apprendistato, pur senza averne la struttura formale: i ragazzi cominciavano giovanissimi, nelle compagnie di bambini, oppure sotto la guida di un attore adulto, svolgendo mansioni di servi di scena e interpretando comparse e ruoli femminili. L’idea che un bambini e adolescenti apparissero in scena in abiti da donna era considerata malsana e, tanto per cambiare, immorale.

Si tende a credere che attori e scrittori fossero gente violenta e sregolata, ma almeno questo è un globe.jpgpregiudizio che può essere ridimensionato. È vero che Ben Jonson e Thomas Watson uccisero un uomo ciascuno, che Marlowe morì accoltellato in circostanze dubbie, che Greene fu più volte arrestato per rissa, ma stiamo parlando di un’epoca violenta e con un tasso di criminalità stratosferico: francamente non credo che i playwrights fossero molto più sregolati di molti loro contemporanei – di certo erano personaggi pubblici, e mai in una luce favorevole.

Tutto considerato, non fa meraviglia che scrivere per il teatro fosse considerata una degradazione per un uomo di lettere – ciò che non impedì a tutta una generazione di poeti usciti da Oxford e Cambridge di darsi alla drammaturgia con straordinario successo. Era una carriera malcerta nella migliore delle ipotesi, tuttavia: i diritti d’autore non esistevano, e lo scrittore perdeva qualsiasi controllo sulla sua opera nel momento in cui la vendeva a una compagnia – di solito per cifre non astronomiche. Per il Tamerlano, Marlowe ricevette quattro sterline e mezzo all’acquisto, e poi i proventi della seconda giornata (poco meno di quattro sterline). Era una volta e mezzo l’appannaggio annuo di un parroco di campagna, ma la scala di valutazione cambia quando si considera che la Compagnia dell’Ammiraglio, che comprò il Tamerlano, poteva spendere quattro o cinque sterline per un singolo costume femminile. Inoltre i guadagni restavano sempre aleatori, perché il gusto della folla era mutevole, e il Master of Revels, il funzionario regio preposto alla supervisione degl’intrattenimenti, il Lord Mayor e il Privy Council potevano chiudere i teatri in ogni momento per qualsiasi motivo di ordine pubblico. Durante queste sospensioni, che potevano durare mesi, le compagnie, pur relativamente tutelate dal fatto di “appartenere” al loro mecenate (di cui gli attori ufficialmente portavano la livrea), non avevano altra scelta che andarsene a recitare nelle provincie. Quel che è certo è che in questi periodi non compravano testi nuovi, e gli autori erano lasciati ad arrangiarsi come meglio potevano.

inn-yard.jpgSi può dire che nessun playwright dell’epoca vivesse di solo teatro. Tutti scrivevano poesie, saggi, libelli e qualsiasi cosa potessero vendere o dedicare a qualche danaroso mecenate, e molti avevano una seconda carriera: Shakespeare e Ben Jonson recitavano nelle rispettive compagnie, Thomas Kyd faceva lo scrivano, Robert Greene era un libellista particolarmente velenoso (e comunque morì in miseria), Beaumont era avvocato (oltre che ricco di famiglia e poi sposato a una donna ricca), Marlowe, Watson, Nashe e altri lavoravano più o meno saltuariamente per il servizio segreto di Sir Francis Walsingham. Nel complesso, arricchirsi era più facile per un attore che per un autore: Edward Alleyn, stella delle scene londinesi per decenni, morì ricchissimo dopo avere fondato persino un collegio. Shakespeare si arricchì perché era azionista della sua compagnia – e perché aveva un solido senso degli affari.

Dall’altra parte c’era però la frenetica passione che tutta Londra dedicava al teatro, a partire dalla Regina fino ai popolani che pagavano un penny per assistere in piedi, mangiando salsicce e ululando il swan.jpgloro favore o sfavore. Era di moda tra i grandi cortigiani finanziare una compagnia che portava il loro nome (The Admiral’s Men, The Chamberlain’s Men…), ed Elisabetta stessa portò l’uso nella famiglia reale (The Queen’s Men). Va detto che l’augusta protezione non si estendeva praticamente mai all’autore, cui in compenso non era difficile crearsi nemici potenti scrivendo le cose sbagliate. La Grande Bess condivideva il gusto non eccessivamente raffinato dei suoi sudditi: a teatro le piaceva ridere, e Tarlton, il buffone della sua compagnia personale, era celebre per la quantità di scurrili licenze che poteva prendersi davanti alla sua sovrana. Le cosiddette burle (improvvisazioni in prosa, generalmente trivialucce anzichenò) erano moneta corrente persino nelle tragedie più truci o e nei drammi più lacrimevoli. Quando volle che il suo Tamerlano fosse rappresentato senza burle, Marlowe creò sensazione; il fatto che Ned Alleyn, il giovane ma già celebre primattore dell’Ammiraglio, fosse disposto a rinunciare a un elemento di sicura presa sul pubblico la dice lunga sull’impatto del genio di Marlowe e sull’acume di Alleyn.

Resta il fatto che, se avesse voluto, Ned Alleyn avrebbe potuto ignorare del tutto le intenzioni di Marlowe: aveva comprato la tragedia e poteva farne quello che voleva; per di più, i teatri pullulavano sempre di copisti che cercavano di trascrivere quello che potevano del testo, che veniva poi stampato in versioni fantasiose, e venduto senza che l’autore potesse metterci becco o riceverne un singolo penny.

Insomma, considerando l’ostracismo sociale, i guadagni moderati e non troppo sicuri, lo scarso riconoscimento e le molte difficoltà, viene da chiedersi che cosa motivasse le schiere di autori teatrali tra il tardo Cinquecento e il primo Seicento. Se dovessi fare un’ipotesi direi sete di gloria – per effimera che fosse – e l’eccitazione della vita teatrale, e un buon livello di pragmatismo… Ma di certo doveva esserci anche una sincera passione per la loro arte e per l’incandescenza artistica e umana di un teatro in fieri.

Set 22, 2010 - bizzarrie letterarie    Commenti disabilitati su Dipende

Dipende

Rgreene.jpgStoria, sacre scritture, agiografie e letteratura sono piene di gente che vive male e poi si pente in punto di morte, con smisurato tripudio in cielo e generale edificazione in terra. Centesime pecore e tutto il resto – fin qui nulla di particolarmente originale.

Robert Greene era una centesima pecora alquanto eccentrica. Dopo avere condotto una vita tale da apparire sregolata persino per gli standard piuttosto laschi della Londra elisabettiana, si pentì in punto di morte e, prima di lasciare le penne in un’indigestione di aringhe sott’aceto e vino del Reno, forse scrisse un libello chiamato Greene’s Groatsworth of Wit Bought With a Million of Repentance.

Un libello singolarmente velenoso, per essere l’ultimo belato di una Centesima Pecora, e francamente non saprei dire quanto si sia gioito in Paradiso: Greene, se davvero ha scritto il Groatsworth, avrebbe usato il suo ultimo inchiostro per esporre e censurare (sotto forma d’invito al pentimento) vizi e difetti di molti suoi contemporanei. Uno degli oggetti del livoroso zelo di Greene era Kit Marlowe, descritto come un ateo, un bestemmiatore e un corruttore di menti, più bisognoso di contrizione e perdono di chiunque altro. Meno pio e più bilioso era un attacco a un arrampicatore presuntuoso, un corvo in piume di pavone, i.e. un attore (gentaglia!) che osava scimmiottare l’arte poetica senza nemmeno possedere una L-A-U-R-E-A!!* Qualora i particolari non fossero stati sufficienti, pensò bene di rendere tutto più esplicito affermando che il Corvo si considerava il solo squassatore delle scene inglesi. Shake-scene, got it?

Non del tutto incomprensibilmente, quando Greene morì e lo stampatore Henry Chettle pubblicò il Groatsworth come opera postuma, Shakespeare non la prese bene. E neppure Marlowe, del resto – o forse no, e qui la cosa si fa interessante.

Pochi mesi dopo l’uscita del libello, Chettle, che era a sua volta un autore e un personaggio equivoco**, nonché fortemente sospettato di essere il vero autore del Groatsworth, si affrettò a spiegare, in una lamentosa e ruffianissima prefazione al suo Kind Heart’s Dream, che uno o due degli autori attaccati dal defunto Greene se l’erano presa con lui – ciò che non gli pareva del tutto giusto, ed era prontissimo a scusarsi con uno dei due, che nel frattempo aveva incontrato e imparato a stimare. L’altro non lo conosceva, né ci teneva a farlo. Sottintendendosi che questo secondo personaggio, se si riteneva offeso, poteva attaccarsi al traghetto sul Tamigi e fischiare in curva.

E qui cominciano i dubbi. Di sicuro a nessuno era piaciuto troppo farsi diffamare dal libellista misterioso, ma chi erano i due che avevano protestato abbastanza rumorosamente da spingere Chettle alle scuse pubbliche?

Marlowe è una risposta plausibile, perché era stato attaccato su un argomento che, se maneggiato con insufficiente cautela, all’epoca poteva condurre alla forca. Inoltre, Kit non era noto per la sua mitezza di carattere e proclività al perdono, e disponeva anche di qualche amico influenti. Shakespeare è meno ovvio. Che il corvo arrampicatore fosse lui è probabile, anche se all’epoca non era ancora un autore particolarmente celebre – certo era molto meno celebre di Marlowe, ma proprio per questo gli si adatta la taccia di parvenu della scena letteraria londinese. Quella di lupo in vesti d’attore (nell’originale Tyger in Player’s Hyde) sembra meno calzante, ma d’altra parte è una citazione dall’Enrico VI, e dobbiamo presumere che sia dov’è per ulteriore identificazione del bersaglio, o per qualche altra ragione più criptica che aveva senso per i lettori dell’epoca.***

Questo non significa necessariamente che sia stato lui a protestare: niente di quello che sappiamo di Shakespeare ci fa pensare che fosse un personaggio litigioso, probabilmente nel ’92 non disponeva ancora di connessioni personali con gente abbastanza influente da fare paura a Chettle, e comunque gli strali di Greene avevano colpito vari altri autori e poeti, in particolare l’irascibile Thomas Nashe e l’appena meno fiammeggiante George Peele. Tuttavia, supponiamo pure – come generalmente si fa – che i due protestatori fossero davvero Marlowe e Shakespeare: chi tra i due era meritevole di scuse, e chi il soggetto che Chettle non voleva nemmeno conoscere?

La risposta più diffusa è quella ovvia. Da un lato era prudente da parte di Chettle dissociarsi per quanto possibile da un bestemmiatore ateo; dall’altro, è difficile pensare che qualcuno potesse descrivere Kit come “tanto civile nei modi quanto eccellente nella sua professione”, o che “diverse persone pie” avessero “testimoniato la sua rettitudine”.

Però di recente ho letto una biografia di Marlowe che dava tutta un’altra lettura della spudorata captatio benevolentiae di Chettle: secondo M.J. Trow, quello la cui opinione non contava un bottone era il provinciale illetterato, il nuovo arrivato di nessun conto, l’attore**** che osava aspirare all’empireo dei poeti. Ma come si applica a Marlowe l’altra metà del disclaimer? Secondo Trow, con un misto di pura e semplice verità (l’eccellenza artistica) e abietta capitolazione di fronte alle giuste pressioni: non dimentichiamoci che stiamo parlando del giovanotto per cui, pochi anni prima, il Consiglio Privato della Regina aveva costretto un intero senato accademico a fare un passo indietro. Figurarsi un Chettle! Se traduciamo divers (persons) of worship come “persone degne di reverenza” invece che “persone pie” (e l’Inglese del tempo lo consente), l’interpretazione calza.

Secondo me ci sta bene anche l’ipotesi di un’ombra di sarcasmo: mi è facile immaginare Chettle che, verdino in viso, lacerato tra paura, umiliazione e furia, cerca il giusto tono per le sue scuse e le sue lodi. Meglio non gettarsi da sé dalla padella nella brace, ma l’adulazione insincera può diventare una satira molto sottile, di un genere a cui è difficile replicare senza rendersi lievemente ridicoli…

A parte le mie speculazioni, resta il fatto che l’argomentazione di Trow, per quanto eterodossa, sta in piedi abbastanza bene. La morale è la solita: non c’è (quasi) nulla che, una volta fatto ruotare, inclinato a 45 gradi e tinto di violetto, non possa essere visto in un altro modo. Oh, e magari procurarsi un biografo con una buona vena logica è un solido investimento per il futuro.

____________________________________________________________________________

* Greene, manco a dirlo, era laureatissimo. M.A. al St.John College di Cambridge.

** Equivoco è una coperta molto larga all’epoca. Qui nel senso di debitore insolvente e recidivo, inquilino a Marshalsea più di una volta, implicato in una faccenda di libelli politico-religiosi, probabilmente colpevole del Bad Quarto di Romeo e Giulietta… più la faccenda di Greene. Non proprio una cara persona.

*** C’è una teoria, neanche troppo campata in aria, secondo cui il Corvo sarebbe in realtà Ned Alleyn, all’epoca il grand’uomo dei teatri londinesi. Ecco, Ned Alleyn non sarebbe stato tipo da starsene zitto e quieto, ma difficilmente Chettle l’avrebbe degnato di una risposta, meno ancora di pubbliche scuse.

**** Quasi sinonimo di scarafaggio, nel contesto. D’altra parte, Greene era convinto che gli attori in generale (e Alleyn in particolare) lo avessero rovinato prendendosi il frutto dei suoi sforzi.