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Giu 15, 2014 - bizzarrie letterarie    4 Comments

Il Prigioniero Di Zenda

Per chi, come M., non ha mai visto/letto IPdZ…

Versione muta 1922 (solo in fotografia, sorry):

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Versione 1937 (la mia preferita):

Versione 1952 (“Il film che sfida ogni paragone”…):

E versione televisiva della BBC, 1984 (di nuovo solo in foto):

1984-RupertvsRassendyll

E il link al libro presso il Project Gutenberg.

E. già che ci siamo, una mappa della Ruritania:

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E buona domenica!

L’Uomo Di Zenda

anthony hope, il prigioniero di zenda, ruritania, ruritanian romanceDomani, Mesdames et Messieurs, sarebbe il centocinquantesimo compleanno di Anthony Hope.

Centocinquantesimo, sì. Avete letto bene – ma non allarmatevi. E non allarmatevi nemmeno nello scoprire che a luglio cadrà l’ottantesimo anniversario della morte di Hope… Questo è in effetti un anno hopiano quanto è possibile esserlo, ma davvero, non è necessario che vi allarmiate: un pochino di Hope forse ve lo infliggerò, qua e là, ma nulla di paragonabile alle dosi di Dickens che vi siete sorbiti l’anno passato…

Anche perché, a parte tutto il resto, Hope non è Dickens.

Non perché non ci abbia provato, sia chiaro: gentiluomo di famiglia ecclesiastico-accademico-intellettuale, educato a Oxford e avvocato, Hope in vita sua scrisse… boh, una trentina di romanzi, un buon numero di racconti e, da solo o in compagnia, un diluvio di drammi – qualcuno originale, qualcuno adattato dai suoi lavori. E fu anche estremamente celebre su entrambi i lati della Tinozza, ai suoi tempi, e baronetto, e presidente della Society of Authors

E adesso noi lo ricordiamo soltanto per due titoli – anzi no, mi correggo: per un titolo. E mi correggo ancora: ad ovest della Manica la faccenda è diversa, ma qui lo ricordiamo (quando lo ricordiamo affatto) per il film tratto da uno dei suoi libri: Il Prigioniero di Zenda.anthony hope, il prigioniero di zenda, ruritania, ruritanian romance

Per alzata di mano: chi ha visto IPdZ, versione 1952, con Stewart Granger, Deborah Kerr e (sigh) James Mason? Andiamo: technicolor abbacinante, uniformi piene di alamari, incoronazioni, duelli, intrighi, salvataggi dell’undicesima ora, algide principesse dai capelli rossi e avventuriere brune… Non è la versione cinematografica migliore, ma di sicuro è la più celebre… davvero non l’avete visto? No? Oh.

Be’, se l’aveste visto, avreste potuto divertirvi alla pittoresca improbabilità e a una certa tendenza a masticare lo scenario e poi, anni più tardi, in una libreria londinese, avreste potuto scoprire con qualche sorpresa che il film è tratto da un libro. Un libro molto divertente, pieno di scambi d’identità e intrighi di corte in un immaginario staterello mitteleuropeo… E dopo averlo letto, avreste scoperto l’esistenza di un seguito dedicato all’affascinante vilain Rupert von Hentzau – e avreste potuto leggere anche quello, sempre in una piccola edizione Penguin, dotata di abbastanza introduzione da scoprire che Sir Anthony Hope, anthony hope, il prigioniero di zenda, ruritania, ruritanian romanceoltre a scrivere eccellenti piccole avventure, aveva creato un genere. Perché c’è un nome per tutto quel che si ambienta in uno staterello immaginario in età contemporanea (ma non solo, o almeno non troppo rigorosamente) – e questo nome è, Mesdames et Messieurs, Ruritanian Romance*.

Per cui, ecco dove risiede l’immortalità di Hope – be’, quella fettina d’immortalità che gli spetta: nella geografia immaginaria che attraversa la narrativa di genere, e di cui Zenda è la capitale, dal (pre-Zenda) Grunewald di Stevenson alla Laurania di Churchill**, dalla Zembla di Nabokov al Graustark di McCutcheon, fino alla Syldavia di Tin Tin e alla Latveria dei Fumetti Marvel, passando per un diluvio di imitazioni, parodie, deviazioni digressioni cinematografiche. Avete presente, che so, Il Ruggito del Topo, in cui la squattrinata Granduchessa Gloriana, interpretata da Peter Sellers, decide di dichiarare guerra agli Stati Uniti, tanto per fare un po’ di cassa? Il Ruritarian Express fa un sacco di fermate – e qualcuna in regioni improbabili.anthony hope, il prigioniero di zenda, ruritania, ruritanian romance

Ed essendo praticamente cresciuta in Ruritania senza saperlo***, sento un debito di gratitudine nei confronti di di Sir Anthony, cui dobbiamo il più pittoresco e bel nome che categoria narrativa abbia mai avuto****. È vero, tutto l’armamentario potrebbe anche chiamarsi political fantasy, ma volete mettere?

A questo punto, semmai voleste leggere qualcosa, fate una capatina alla relativa pagina del Project Gutenberg, e ci troverete parecchio – incluso, naturalmente The Prisoner of Zenda. In Inglese, si capisce, ma che volete farci?

E poi vi segnalo questo bizzarro sito chiamato The Ruritanian Resistance, dove si trova un po’ di tutto, comprese vecchie foto di scena, illustrazioni riprodotte e informazioni su qualcuno dei numerosi adattamenti cinematografici.

anthony hope, il prigioniero di zenda, ruritania, ruritanian romanceRoger Lancelyn Green ha scritto – un nonnulla acidamente – che Hope era un dilettante di prima classe, ma un mediocre autore di professione. Mah… sarà – e tuttavia il giudizio mi sa tanto di genre-snobbishness: dubito molto che Hope abbia mai preteso di essere un Sacerdote delle Arti, ma è riuscito a vivere agiatamente della sua scrittura, ha scritto, pubblicato e messo in scena parecchio e con successo, si è lasciato dietro almeno un titolo amatissimo, lettissimo, tradottissimo, imitatissimo, parodiatissimo, sceneggiatissimo e rappresentatissimo, e ha, se non proprio creato, dato forma a un genere. Non so immaginale molte carriere più professionali di così.

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* E adesso, per favore, non levate il sopracciglio: ne abbiamo già parlato, ma “romance” non è sinonimo di “romanzo rosa”. È una questione di pittoresco romanticizzato, non di fiori d’arancio all’ultima pagina.

** Sì, Winston Churchill. No, really.

*** M., magari non te ne ricordi, ma io sì: mi ricordo del pomeriggio di trent’anni fa in cui hai cercato di ribellarti mentre giocavamo con le bambole e io dirottavo l’ennesima trama in una direzione che non sapevo essere quella della Ruritania… Tu hai tentato di ribellarti, ma io avevo un anno di più ed ero prepotente… “Se non vuoi, non occorre che i tuoi personaggi partecipino al colpo di stato,” ho concesso – e siamo andate avanti per la mia strada. A trent’anni di distanza, M., puoi perdonarmi?

**** Be’, poi naturalmente gli dobbiamo Rupert von Hentzau. Che posso dire? Non sono necessariamente vulnerabile al fascino del Cattivo Ragazzo, ma Rupert è un’altra cosa. Rupert è persino entrato a pieno titolo nel Rimembranzese – che è la lingua ufficiale di casa mia: quando qualcuno fa del suo deliberato meglio per essere indisponente, si dice che sta facendo Rupert. “Stop playing Rupert, will you?” E col tempo si è evoluto anche in un verbo: “Piantala di rupertare/rupertarmi”, o… “Stop ruperting (me)!”

Stati Di Scarsa Realtà

Plan.jpgQuesta cosa mi torna in mente dopo aver sentito gente che cercava disperatamente di piazzare la Ruritania nella geografia pre-bellica… Purtroppo non ho sentito la fine della discussione, ma non può essere andata molto bene, perché in realtà la Ruritania non esiste.

È uno staterello immaginario, di cui non si capisce mai se sia piccolo o grande, i cui abitanti e luoghi hanno nomi tra il tedesco e l’operettistico. Non dev’essere lontano dalla Germania, perché c’è un treno che, diretto a Dresda (partendo da non si sa bene dove), ferma a Zenda. O forse a Strelsau. O in entrambi i posti, a dire il vero. Comunque, uno stato mitteleuropeo con due sole città importanti non può essere enorme.

Sono certa che Anthony Hope si è divertito un mondo a creare la Ruritania, e con lui tutti i suoi imitatori ed epigoni. E predecessori, se vogliamo, perché quello di creare stati immaginari è uno sport vecchiotto. Vogliamo citare Utopia di More, che prima di significare quello che intendiamo adesso era un posto immaginario? Vogliamo citare Lilliput, Brobdingnag, Laputa* e Houyhnhnms? Ah sì, e c’è anche Lindalino. Swift faceva della satira, e More… dite quello che volete, io sulla santità, e le intenzioni, e la santità delle intenzioni di Thomas More non finirò mai di avere dei dubbi. Comunque anche lui si era inventato il suo stato immaginario.

Altro caso famoso: Charlotte, Emily, Branwell e Anne Bronte, da piccoli si erano inventati due stati, Angria e Gondal – più o meno colonie inglesi angria.jpgin un’Africa immaginaria, in cui ambientavano ogni genere di avventure. Ciascuno aveva i suoi personaggi, e c’erano guerre, esplorazioni, colpi di stato, matrimoni dinastici, elezioni, missioni diplomatiche… La cosa curiosa (e poco risaputa) è che tutta la poesia di Emily, e molti personaggi della produzione adulta di tutte le sorelle, originano da questi giochi. Ancora più bizzarro e incantevole è l’episodio di un viaggio in treno a York, nel corso del quale una Emily ventisettenne e una Anne venticinquenne giocano ad essere due principesse di Gondal in fuga da una rivoluzione… 

Poi mi viene in mente un giallo di Mary Roberts Rinehart (l’Agatha Christie americana, secondo alcuni…), chiamato Lunga vita al Re!, con tanto di punto esclamativo: stato simil-tedesco con elementi slavi, erede al trono di otto anni, congiure, matrimoni dinastici e tutto, ma proprio tutto, il repertorio. 

Ancora: non ricordo più chi fosse, purtroppo, ma ricordo di avere letto nelle memorie di uno scrittore (direi un Francese, ma non posso giurare…) che da piccolo disegnava francobolli di stati immaginari. Ne aveva un’intera collezione, album su album. E siccome i francobolli commemoravano eventi storici, annessioni, incoronazioni, guerre, vittorie, trattati di pace, nascite e morti di personaggi illustri, scoperte scientifiche e via dicendo, in definitiva che cosa aveva creato questo ragazzino (e futuro scrittore), se non una serie di stati immaginari?

aigle.jpgL’Aquila a Due Teste, di Jean Cocteau, si svolge in una pseudo-Austria immaginaria e piccina, dove una Regina (à la Sissi), vedovata per mano degli anarchici, s’innamora di un giovane rivoluzionario che poi l’accoltella e si accoltella… Personalmente ho sempre trovato Jean Marais in calzoncini di camoscio lievemente ridicolo, ma non è questo il punto. Il punto è che Jean Cocteau non era al di sopra di un po’ di Ruritania glorificata in salsa tragica.

E se è per questo, nemmeno Nabokov lo era del tutto: il suo non notissimo Pale Fire ha un protagonista che si crede (?) il re in esilio di un regno lontano, là su nel nord, detronizzato da una rivoluzione sovieticheggiante…

E se volessimo continuare, potremmo citare parecchi autori dallo specializzato (come G. B. McCutcheon) all’improbabile (Andre Norton), passando per Frances H. Burnett. E potremmo citare anche parodie come Le Armi E L’Uomo di Shaw**, Topolino Sosia di Re Sorcio o vari film di Peter Sellers, primo tra tutti Il Ruggito Del Topo.

La scoperta recente, invece, è che il genere è tutt’altro che defunto. È appena uscito in Australia un romanzo per ragazzi intitolato A brief history of Montmaray, in cui Montmaray è un minuscolo regno immaginario, su un’isola posizionata in modo tale da poter risentire degli effetti delle due guerre mondiali. Non ne so molto di più, se non che i protagonisti sono principi e principesse della casa regnante, e quindi siamo in pieno ruritarian romance.

Senz’ombra di dubbio, l’ambientazione immaginaria permette una maggiore libertà sotto molti punti di vista. The sainted More (come lo chiama con un filo di sarcasmo Josephine Tey, nel suo bellissimo Figlia del Tempo), faceva di Utopia una critica molto amara dello stato delle cose al suo tempo; Swift, si è già detto, faceva della satira; i piccoli Bronte potevano far vivere ai loro eroi ogni genere di avventura negli spazi sconfinati di Angria e Gondal; Nabokov esplorava il labile confine tra capacità d’ingannarsi e incapacità di distinguere realtà e immaginazione. Hope, Stevenson, Mary Rinehart, e tutti i Ruritaniani di ogni epoca potevano ambientare in questi staterelli vicende pittoresche e romantiche e allegramente anacronistiche. Ma non credo che sia tutto qui.

817220.jpg J.R.R. Tolkien, che di stati immaginari sapeva qualcosa (della sua Terra di Mezzo aveva calcolato persino le fasi lunari…) definiva questa tendenza di tanti scrittori come “complesso della subcreazione”. Lo scrittore, in definitiva, è un creatore di mondi in seconda. Non è proprio come Dio, all’interno delle sue creazioni, perché lo scrittore è limitato dalle leggi interne di coerenza narrativa del mondo che ha creato, ma ci va vicino. E più la creazione è dettagliata e precisa, maggiore è la soddisfazione del creatore. Maggiore è il suo senso di onnipotenza, immagino. E questo mi porta a citare un caso cinematografico tratto da una storia vera: la Borovnia dell’inquietante Creature del Cielo, di Peter Jackson, che parrebbe mostrare come immaginare staterelli non sia sempre il più sano dei passatempi.

Ciò detto (e forse non sarebbe il paragrafo migliore per ammetterlo), confession time: ce l’ho anch’io, il mio stato immaginario. Oh, va bene, ne ho più d’uno, tutti con i loro guai, ma il mio prediletto, quello che per parte della sua storia è stato anche in Europa ed è dunque più ruritaniano di altri, è il Bishopstein. “Per parte della sua storia”, e non parte della sua Storia, perché tecnicamente ci sono due Bishopstein, quello che sta da un’altra parte, e quello mitteleuropeo, evolutosi dai territori di un Principe Vescovo (ma va’?), ingranditosi e rimpicciolitosi, passato da marca a signoria, a granducato, a repubblica, a regno, a repubblica ancora e poi sparito con la I Guerra Mondiale… Giusto perché si sappia quanto sono malata, dirò anche che il Bishopstein ha avuto sovrani di ben tre dinastie diverse, ha un secolare conflitto interno tra elemento tedesco ed elemento slavo, e persino un inno nazionale, composto nel 1848***.

E perché ho creato il Bishopstein? Perché potevo ambientarci qualsiasi cosa mi passasse per la testa, perché potevo manipolare la storia e servirmene a fini narrativi, perché potevo avere colpi di stato e rivoluzioni to my heart’s content, perché potevo passare pomeriggi interi a redigere cronologie di sovrani, pessimi versi per l’inno, rapporti diplomatici di ambasciatori di varia provenienza… potevo fare tutto questo invece di studiare Diritto Pubblico Comparato, ed era glorioso!

 E quindi posso dirlo con cognizione di causa: la Ruritanite è una malattia certificabile, cronica e invalidante.

Chiudo con un link del tutto dissennato. Non avevo idea che ci fosse gente che passa il suo tempo a censire stati immaginari in letteratura, e a ordinarli alfabeticamente, ma ho come l’impressione che non dovrei stupirmene troppissimo…

E voi? Suvvia, non siate timidi: sono certa che qualcuno, prima o poi, ha scritto, disegnato o altrimenti messo insieme qualche stato immaginario. And, failing that, quali sono i vostri stati immaginari prediletti in letteratura?

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* Er… sì. E no, non lo so.

** Arms And The Man, in realtà, è ambientato in Bulgaria – e quindi tecnicamente non sarebbe ruritania – ma anche la lettura più distratta basta a notare che si tratta di una Bulgaria largamente immaginaria. Aggiungete poi l’irriverente rilettura dell’Eneide che fa da ossatura al tutto, e saremo tutti d’accordo che non occorre prendere l’ambientazione troppo sul serio.

*** Per essere del tutto sinceri, la musica è una lieve variazione di un tema preso da “La Peregrina”, il ballettone Grand-Opéra del Don Carlos di Verdi, ma tanto fa lo stesso, perché nessuno esegue mai La Peregrina…