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Don’t Show & Tell

Su Show, Don’t Tell si può discutere. Come tutte le prescrizioni andrebbe presa con la debita quantità di sale, e tutti siamo d’accordo sul fatto che mostrare al momento sbagliato può essere tanto disastroso quanto dire inopportunamente. Sulle proporzioni ci sono scuole di pensiero, e non intendo addentrarmi adesso nelle intricacies della faccenda.

Ma c’è qualcosa che, a mio timido avviso, sarebbe sano evitare come la forma più virulenta di peste nera – ed è mostrare & dire.

I’ll show, con un piccolo esempio tratto (e tradotto) da una mia recente e poco felice lettura.

“Posso fidarmi di te, Kit?” domandò Tom, incerto della lealtà del suo volubile amico.

Toi. Non vi viene mal di denti al solo leggerlo? Abbiamo visto che Tom non si fida granché di Kit nel momento in cui gli ha chiesto se può fidarsi di lui… perché diamine disturbarsi a dirlo? Abbiamo capito, grazie.

“Posso fidarmi di te, Kit?” domandò Tom.

Questo sarebbe servito perfettamente allo scopo, senza dare al lettore la sgradevole sensazione di essere considerato denso. Volendo, si sarebbe potuto aggiungere un gesto per sottolineare l’incertezza di Tom, o aggiungere quel tanto di subtesto – che non fa mai male.

“Posso fidarmi di te, Kit?” domandò Tom, incurvando appena le spalle e distogliendo lo sguardo.

Questo m’indurrebbe a pensare che Tom tema molto di non potersi fidare, quale che sia la risposta.

“Posso fidarmi di te, Kit?” domandò Tom, fissando dritto negli occhi il suo volubile amico.

Questo è un cavallo di un altro colore: avanti, dimmi che posso fidarmi, e ti crederò – oppure prova a dirmi che posso fidarmi, se ne hai il coraggio, a seconda del contesto.

D’altro canto, non ci sarebbe stato nulla di orribilmente criminale nel limitarsi a riferire i pensieri di Tom (il cui punto di vista coincide con quello della narrazione – la maggior parte del tempo). 

Tom era incerto della lealtà del suo volubile amico.

Non è ideale – e non funzionerebbe granché nel contesto in cui si trova nella pagina da cui ho pescato l’esempio – ma in un paragrafo di transizione o come aside che qualificasse in via marginale considerazioni diverse, potrebbe anche andare.

Sempre meglio – treni merci meglio – che mostrare & dire, perché, come dicevasi qualche paragrafo fa, il lettore tende a capire da sé le implicazioni di una domanda come “posso fidarmi di te?” La traduzione nella stessa riga è bruttina, ingombrante e una fonte d’irritazione.

Tutte cose che non fanno bene alla scorrevolezza della lettura, alla sospensione dell’incredulità e (cosa che posso garantire per diretta e frustrante esperienza) alla gioia generale del lettore.

Feb 22, 2011 - scrittura    Commenti disabilitati su “Show, Don’t Tell” Ai Tempi Dei Ciliegi

“Show, Don’t Tell” Ai Tempi Dei Ciliegi

Non dirmi che la luna splende; mostrami la luce che brilla sulle schegge di vetro.”

E questo, contrariamente alle apparenze, non era qualche guru americano del Creative Writing, ma (rullo di tamburi)… Anton Checov. Quel Checov: Giardino dei Ciliegi, Zio Vanja e tutto quanto.

Checov scriveva drammi, e quindi sapeva benissimo che a teatro lo spettatore non ha altro accesso ai personaggi se non le battute e i gesti degli attori: solo quello che si vede, solo quello che è mostrato. La sua intuizione è che questo si applichi anche alla scrittura non teatrale, che là dove “la luna splende” è blandamente generico, le schegge di vetro che brillano nella luce siano un’immagine vivida, che il lettore non dimenticherà. O che “Piotr Ilic era furibondo” sia molto meno efficace di “Piotr Ilic afferrò il fascio di spartiti e lo sbatté sul pianoforte chiuso.”

Dal che si evincono già due principi:

a) Specifico è meglio;

b) E’ inutile dilungarsi in lunghi passaggi descrittivi quando si può ottenere un effetto migliore con pochi dettagli ben scelti.

C’è chi sostiene che la voce narrante più efficace sia la Terza Persona Oggettiva che, come una telecamera, non sa che cosa passa per la testa dei personaggi e può solo mostrare le loro reazioni (verbali e non verbali) a dati stimoli.

Se la TPO sia davvero la forma di narrazione più efficace è materia di dibattito, ma di sicuro ha due pregi.

In primo luogo, è realistica. La signora seduta di fronte a noi sul tram, con gli occhi lucidi e il fazzoletto in mano, potrebbe essere triste, arrabbiata oppure allergica ai pollini: non lo sapremo fino a che non ce lo dirà oppure fino a quando non farà qualcosa, come starnutire, oppure dare un sospirone tremulo, oppure strappare il bottone della borsa mentre tenta di chiuderla. Diciamocelo: congetture a parte, la nostra percezione del prossimo è in Terza Persona Oggettiva.

In secondo luogo, benché sia alla lunga piuttosto noiosa da scrivere, è un ottimo strumento quando si vuole essere certi di mostrare e non dire. Se togliessi pensieri, monologo interiore e interventi del narratore in genere, si capirebbe ancora che Piotr Ilic è furibondo, senza bisogno di dirlo in as many words? Se la risposta è no, allora sarà il caso di sbattere qualche altro spartito e, magari, fracassare un calamaio.

Così poi ho anche le schegge di vetro, metti mai che sorga la luna…