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Lug 25, 2016 - Shakespeare Year, teatro    Commenti disabilitati su Iago l’Opaco?

Iago l’Opaco?

Stephen Jay GreenblattA me Stephen Greenblatt piace proprio tanto.

Il suo Neostoricismo, la teoria secondo cui ogni opera d’arte – letteratura, teatro, musica, pittura, scultura… – va letta e compresa all’interno del suo contesto storico, è uno degli articoli del mio credo.  Why, in realtà ero una neostoricista anche prima di saperlo – ma libri come Will in the World (Come Shakespeare Diventò Shakespeare) e The Swerve (La Svolta) sono stati fondamentali per dare corpo e sistematicità a certe idee che avevo allo stato gassoso.

Quindi, sì: Stephen Greenblatt è una divinità del mio pantheon personale. Nondimeno, ho un peeve.

A un certo punto di Will in the World, Greenblatt introduce il concetto dell’Opacità Shakespeariana. Secondo lui, l’idea centrale della costruzione tragica di Shakespeare, dall’Amleto in poi, è l’opacità delle motivazioni dei personaggi – sopprattutto, ma non solo, dei malvagi. Costoro agiscono per motivi imperscrutabili – e di conseguenza la loro malvagità (o in alcuni casi della loro rovina) è tanto più terrificante e inquietante.Iago

E fin qui tutto bene – ma poi, come poster-boy del fenomeno, Greenblatt presenta Iago: l’alfiere veneziano che, senza un motivo chiaro e apparente, decide fin dalla prima scena di rovinare il suo generale moro. E Otello, che è un soldato di prim’ordine ma non vincerà mai il nobel per la fisica, è una preda facile, tanto più che impiega cinque atti a farsi albeggiare in mente l’idea che l’Onesto Iago non sia poi quel caro ragazzo affidabile che sembra…

Solo che, se posso timidamente dissentire, a me le motivazioni di Iago non sembrano opache affatto. Insomma, Iago lo dice fin dal principio: lui è un buon soldato, abile ed esperto nonostante la giovane età*, il fidatissimo braccio destro di Otello – e quando è il momento di nominare il suo nuovo luogotenente… Otello sceglie un altro?! E sceglie un moscardino pieno di teorie, con tanta esperienza militare sul campo quanta se ne può mettere in un cucchiaino?

Eccola lì, la motivazione: Iago si è visto strappare, senza motivo apparente, quello che gli sembrava il giusto coronamento del suo efficace e leale servizio… Oddìo, se la lealtà di Iago fosse più sincera prima di quello che lui vede come un nigerrimo tradimento, non è dato saperlo, e non è come se la I scena del primo atto ci inducesse a fidarci terribilmente di lui – ma di sicuro Otello non ha mai l’aria di dubitarne, così come non mette discute mai le competenze militari del suo alfiere…

iago21E dunque che cosa c’è di così opaco e misterioso e incomprensibile nella gelosia distruttiva di un uomo che, dopo ogni assicurazione del contrario, si vede preferire qualcun altro per motivi incomprensibili?

E in effetti, se proprio vogliamo parlare di opacità, la motivazione incomprensibile è quella di Otello: perché non promuove Iago? Perché Cassio – che, francamente, non ci dà mai l’impressione di essere granché sveglio? Perché non offre nessuna ragione vera e propria, nemmeno quando un paio di senatori vanno a perorare con lui la causa di Iago?

Così come, se vogliamo parlare di gelosia, siamo proprio sicuri che si tratti soltanto di quella di Otello? La gelosia di Otello è lo strumento che Iago usa per la sua vendetta, ma a mettere in moto tutto a me pare che sia la sua gelosia. La gelosia di Iago – e non, come pure si dice, per via di Emilia. Quando Iago dubita che il Moro si sia infilato nel suo letto, suona proprio tanto come qualcuno che si cerchi delle giustificazioni. La supposta infedeltà di Emilia è del tutto teorica** – ma il tradimento di Otello è tutt’altra faccenda. Iago è geloso – professionalmente e personalmente – perché Otello gli ha preferito Cassio. IagoWhatYouKNow

Dopodiché è difficile negare che la faccenda gli sfugga un nonnulla di mano, e che gli esiti siano del tutto sproporzionati alle cause iniziali, ma non stiamo dicendo che Iago sia una brava persona o che abbia ragione. Diciamo che le motivazioni di Iago sono chiare come il giorno, e che quando, alla fine del Quint’atto, si rifiuta di spiegarsi, “What you know, you know” non significa affatto “Da me non lo saprete mai,” bensì “Come potete chiedermelo – voi lo sapete meglio di chiunque altro!”

Quindi sì, l’opacità c’è – così come la gelosia – ma forse nessuna delle due è proprio (soltanto) dove ce l’aspettiamo…

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* Sì, perché tendiamo a dimenticarcene, ma Iago è giovane: ventotto anni, lo dice lui stesso a Roderigo. Non precisamente un ragazzino, da un punto di vista elisabettiano – ma decisamente giovane.

** Anche se ho in mente almeno una produzione americana (Shakespeare Theatre Company? Mah…) in cui si suggerisce in modo piuttosto inequivocabile che nel letto di Emilia Otello ci sia passato davvero…

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Giu 9, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: The English Channel

Shakeloviana: The English Channel

brusteinThe English Channel è un play di Robert Brustein – e no, non parla della Manica.

Con una manciatina di gente in scena, parla di Shakespeare, e di Marlowe, e di arte, e di teatro, e del significato e valore dell’originalità, e del rapporto tra un autore e il suo materiale, e di grandezza, e di debiti, e di un sacco di cose.

E poi, giustificando il titolo, parla di cose che vogliono essere scritte – e di quell’impressione che a volte si ha, di essere… visitati.

“Vengono quando dormo, dice il Will di Brustein, E qualche volta quando non riesco a dormire, e pretendono che li faccia entrare, e gridano con quelle voci fameliche. Chiedono che dia loro vita. E quando ho dato loro vita, ne chiedono di più.”

E questo Will è perfetto per questo – per essere The Channel – perché non ha una personalità terribilmente definita. È una sorta di spugna che assorbe (e annota) tutto quello che sente. È una manciata di cera morbida, pronta a modellarsi su qualsiasi forma  lo colpisca. È un ladro, dice Kit Marlowe. Un ladro di parole, di espressioni, di sentimenti – e occasionalmente di versi. E lo dice con qualche acidità – ma d’altra parte questo Kit non potrebbe mai essere così neutro e flessibile: un radicale fiammeggiante, è sempre lui a parlare in tutti i suoi personaggi. Marlowe foggia l’umanità a sua immagine e somiglianza, mentre Shakespeare foggia sé stesso in forma di varia e molteplice umanità.

Poi però Marlowe muore – e il suo fantasma inappagato offre a Will di essere la sua voce, il canale attraverso cui prendono vita le idee che la pugnalata fatale a Deptford ha, so to say, soffocato in culla.

Uno Shakespeare che scrive sotto preternaturale dettatura? È questa l’impressione che si potrebbe ricavare, dopo avere visto i due poeti alle prese con Emilia Lanier e il giovane Henry Wriothesley per cinque atti. E se ci si fermasse lì, potrebbe quasi essere deludente… Channel190

Ma.

In realtà i cinque atti cambiano d’aspetto quando li si legge incorniciati tra due testi. Prima c’è un’introduzione che spiega come la teoria dello Shakespeare-di-cera sia nata da un insieme di suggestioni* raccolte a teatro, nei libri di Stephen Greenblatt – cui il play è dedicato – e nell’esperienza personale dell’autore. Quell’impressione di essere visitati, ricordate? E poi c’è qualcosa di bizzarro, intitolato “Recensione di un Fantasma”, in cui Richard Burbage, probabilmente il primo Romeo, ironizza  in maniera smaliziata e semi-elisabettianasul play, e sulla mitologia bardolatrica e, già che c’è, sull’antistratfordianesimo:

“Com’è che voi moderni vi sentite obbligati a credere che chiunque possa avere scritto le opere di Shakespeare – tranne Shakespeare?”

E se lo chiedete a me, non ha tutti i torti – ma non è questo il punto. Il punto è che, preso da solo,  The English Channel è un play ragionevolmente brillante, che riprende un’immagine non del tutto nuova di Shakespeare, e strologa sul suo rapporto con la sua ispirazione e la sua opera. A rendere tutto ciò davvero significativo, tuttavia, a gettare luci di taglio sul gioco metateatrale e metaletterario, a radicarlo in una prospettiva a cannocchiale di punti di vista interpretativi, sono quei due arnesi che lo incorniciano come due fermalibri – uno prima e uno dopo.

Mi domando se in scena, privato di questa cornice fondamentale, il play non soffra un po’ e non non rischi di diventare un grazioso giochino metaletterario.

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* Ho sempre trovato curioso che nel numero non ci sia Shaw, il cui Will, in The Dark Lady of the Sonnets, sembra un po’ un progenitore di quello di Brustein…

 

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Set 7, 2012 - Festivaletteratura, grillopensante, guardando la storia    Commenti disabilitati su Festivaletteratura 2 – Stephen Greenblatt E Barbarina

Festivaletteratura 2 – Stephen Greenblatt E Barbarina

festivaletteratura, stephen greenblatt, palazzo ducale, barbara gonzaga wurttembergE ieri, per cominciare, Stephen Greenblatt nel cortile dell’Archivio di Stato*. Greenblatt è il babbo del cosiddetto Nuovo Storicismo, non tanto una teoria quanto una serie di pratiche critiche intese a inserire la letteratura nel suo contesto storico concreto – che plasma e da cui è plasmata al tempo stesso. Se ne può discutere, e se ne discute non poco, ma anche solo a livello intuitivo dire, come fa Greenblatt, che “campo storico e campo letterario sono reciprocamente permeabili,” ha un sacco di senso.

Ad ogni modo non lo ha detto ieri. Ieri ha raccontato la romanzesca storia del ritrovamento di un manoscritto: una copia del IX Secolo del De Rerum Natura di Lucrezio, scovato da Poggio Bracciolini in un monastero tedesco nel 1417 – dopo una decina di secoli d’oblio.

Poggio, umanista e arrampicatore, segretario apostolico in disgrazia con l’ossessione per i libri antichi, è un singolare personaggio cinico e inaffondabile cui, oltre a Lucrezio, dobbiamo una notevole collezione di ritrovamenti, da Cicerone a Vitruvio, passando per i Punica di Silio Italico. Forse, con la sua carriera  variegata e le sue spregiudicate ricerche nelle abbazie tedesche, meriterebbe un romanzo. Nel frattempo, Greenblatt racconta di lui con vivacità e abbondanza di particolari, ma non è Poggio il protagonista di questa storia.

Al centro di The Swerve, How the World Became Modern, c’è Lucrezio, con il suo universo fatto di vuoto e di atomi, concetto enormemente esplosivo nel primo Quattrocento. E c’è il modo in cui questo mondo impregnato di tradizione cattolica era maturo per conservare, ruminare e trasmettere anche le idee pericolose. E c’è il fatto che Poggio il Cercatore era figlio del suo tempo quando ritrovava i testi perduti destinati a cambiare la mentalità della sua epoca.

Fascinating stuff, raccontata con brio** e condita di stimoli e domande sulla storia, la letteratura, le idee, la loro forma letteraria, la loro diffusione e il loro permanere nei secoli.

E un quesito finale: La scarsa accessibilità ha rischiato d’inghiottire il De Rerum Natura, ma poi l’estrema durevolezza del suo supporto l’ha restituito all’umana rimuginazione. E nella nostra epoca di estrema accessibilità e pari transitorietà, quali sono le possibilità per un libro di attraversare i millenni?

Ecco, se dovessi azzardare una risposta alla domanda lasciata da Greenblatt, direi questo: per il volo millenario del De Rerum Natura, alla pratica d’uso di supporti durevoli si sono dovute combinare la diligenza di un amanuense e l’ostinazione di un umanista. E quindi forse servono ancora le stesse cose: diligenza e ostinazione – combinate adesso con la vasta accessibilità? 

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E poi c’è stafestivaletteratura, stephen greenblatt, palazzo ducale, barbara gonzaga wurttembergta l’inaugurazione della mostra su Barbarina Gonzaga maritata Württemberg, a Palazzo Ducale. Che emozione far parte del primo gruppo di visitatori ammesso nelle sale del Palazzo dopo il terremoto. Qua e là si trovano ancora i ponteggi, e il percorso attraversa zone nuove – dalla Sala dello Specchio, dove si tenne la prima rappresentazione dell’Orfeo monteverdiano*** agli appartamenti dell’Imperatrice, all’appartamento vedovile di Santa Croce dove, tra l’altro, è allestita la mostra proveniente da Stoccarda.

Povera Barbarina Gonzaga, andata sposa in Germania e malata di nostalgia di casa, che trascorse tutta la sua vedovanza a chiedere di far ritorno a Mantova e non poté mai. E adesso, lo si è ripetuto spesso oggi pomeriggio, la si è riportata in spirito, dopo un’attesa di cinquecento anni, nel palazzo della sua infanzia – un po’ ammaccato ma saldo al suo posto. Anche questo è un ritorno, una persistenza, un ritrovamento.

Si direbbe che non siano soltanto i libri a ritornare.

 

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* Cui, sappiatelo per futuri eventi – specialmente nel caso in cui indossiate tacchi alti e sottili e, di conseguenza, non desideriate fare passi non necessari – non si accede dall’ingresso dell’Archivio, ma da Via Dottrina Cristiana.

** E di nuovo, nota di merito alla bravissima e simpatica interprete.

*** Avevo citato la sala, insieme all Corridore della Pergola, ne Lo Specchio Convesso, ma senza averli mai visti altro che in disegno nelle piante del palazzo.