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Giu 1, 2018 - teatro    Commenti disabilitati su Io Non Capisco la Gente… al D’Arco

Io Non Capisco la Gente… al D’Arco

Ed ecco, chiude la stagion de’ saggi – con gli allievi del Primo Anno impegnati in…

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Partiamo dal titolo “io non capisco la gente…” che ci introduce al teatro dell’assurdo, arricchito da alcune poesie futuriste. Il tema dell’incomunicabilità, dell’equivoco, del fraintendimento, dell’uso folle del linguaggio e delle parole sono i contenuti dei testi messi in scena dai giovani attori della scuola di teatro.

Lo spettacolo rappresenta uno studio sulla comicità, che ha molteplici aspetti, ma qui diventa l’espressione del teatro definito dell’Assurdo.

“Il teatro dell’Assurdo è una specie di mondo rovesciato. Tutto quel che ci entra dentro, si capovolge, come il salto di un pagliaccio. Dato che l’Assurdo è il tema filosofico di tutte le pièce, anche la filosofia si trasforma in materia per buffoni. Sono giullari questi autori, che prendono in giro il Re. Il Re, è il teatro. La definizione Teatro dell’Assurdo è stata inventata per attenuare ipocritamente il peso dell’assurdità di vivere, etichettandola come fosse uno stile¦ Perché è un peso ben difficile da portare, se lo si prende sul serio. Qualcuno (credo fosse Camus) ha detto: l’assurdo ha senso solo se gli si nega consenso.
Ed ecco che questi giovani attori prendono sul serio questo tipo di teatro ma sorridono sotto i baffi e vogliono che il pubblico lo faccia con loro.”

Gli interpreti sono Eleonora Bertola, Marco Federici, Nadia Golinelli, Giampiero Marra, Daniela Modena, Penelope Molinari, Chiara Monaco, Sofia Pasotto, Debora Pedrazzini, Diva Paola Polidori, Stefania Roversi, Vanna Zumella, Pierdomenico Turi, Gian Marco Macina e Vittoria Di Gennaro.

Vi aspettiamo sabato 2 alle ore 21 e domenica 3 alle ore 17.

Informazioni e prenotazioni, come di consueto, al numero 0376 325363 (via telefono o fax) oppure via mail all’indirizzo biglietteria@teatro-campogallian.it. La biglietteria è aperta dal mercoledì al sabato, tra le 17 e le 18.30.

L’Escargot Sans Peur

[Tutto questo è, a suo modo, vero. O forse no – fate un po’ voi. Ed è per F. & L. Ed è anche per Gabri-La-Regista*, con cui non si arriverà mai ad essere d’accordo in fatto di teatro dell’assurdo… ]

III Campanello. Buio in sala.

SIPARIO.

Sono i frenetici minuti che preludono a una serata di prove. Prove d’insieme. Prove in cui cast&crew riuniti si misurano nell’ordine della cinquantina. Il luogo è saturo di gente che parla a voce troppo alta, di costumisti disperati, di bambini che corrono (oh, perché, perché, PERCHÈ abbiamo voluto bambini in scena?)… E la regista com’è suo solito è arrivata in ritardo, e l’aiuto-regista è affannata…

F. “Hai ricevuto la mia mail?”

C. “No… il mio account fa i capricci, in questi giorni. Ricevo un messaggio su dieci.”

F. “Fantastico. Be’, c’era scritto che siamo incasinati con la scena della battaglia navale, ma adesso lo vedi da sola. A volte non so come diamine ti vengano in mente certe cose…”

C. “Si chiama ispirazione. Considerala un complicato, quasi preternaturale processo alchemico. Facciamo un ululato congiunto, vuoi? Qui c’è urgente bisogno di disciplina.”

F. “Però senti, mi ha chiamata G.”

C. “Ossignor.”

F. “Non ti fai un’idea. Un’ora di telefono. E vuole che ti dica tutto tutto tutto.”

C. “Oh. Magari un altro momento, vuoi?”

F. “Ti telefono domani mattina?”

C. “Ssssì… No: mandami una mail.”

F. “Una… Ma se hai detto che non le ricevi!”

C. “Appunto.”

F. “Anch’io ti voglio bene.”

C. “Magnifico. Ululato al mio tre. Uno… due…”

Buio – quanto basta per un fulmineo cambio di scena.

Una enorme cucina lustra, tutta acciaio e piastrelle, dove una decina di persone si occupa di cucinare una cena vegana-macrobiotica. Lo spettacolo è andato bene, e la scena della battaglia è andata bene, e le notizie di G. sono passate sotto l’uscio, I believe, ma in realtà sono trascorsi alcuni anni, e nessuno se ne ricorda granché. F. è intenta a cucinare polpette di miglio con gli altri. C. non si azzarda a metter dito e conversa con L.

C. “Ma secondo te, le lumache hanno fegato?”

L. “In che senso?”

VOCE IN QUINTA “Questo non è il mio coperchio!”

C. “In uno di due possibili sensi. O magari anche entrambi. Imprimis: le lumache hanno coraggio?”

L. “Sì. Le lumache sono intrepide. Anzi, sono impavide.”

VIQ “Non sa di niente! Aggiungici della curcuma. Tanta curcuma.”

C. “Impavide, sì. E in secondo luogo: le impavide lumache hanno un organo che faccia le funzioni di quel che chiamiamo fegato?”

L. “Non lo so, ma in fondo la domanda è un’altra: Che Cosa Se Ne Fanno Le Lumache Di Un Fegato?”

C. “Oh, cosa mi fai ricordare…”

Flashback: in un angolo della scena un occhio di bue s’accende illuminando la cattedra di un’aula di liceo, vent’anni prima. Il Prof. interroga. E. è interrogata.

Prof. “Ma forse è il caso di chiarire una cosa: le lumache ci vedono?”

E. (dopo un istante di riflessione) “No, però sanno dove vanno.”

L’occhio di bue si spegne. Flashforward alla cucina macrobiotica.

VIQ “Lo zucchero raffinato è il Male Assoluto…”

C. “Comincio a pensare che le lumache abbiano ben poche necessità…”

F. (balza fuori da dietro una quinta d’acciaio e piastrelle e punta un indice accusatore) Ha! Ho sentito tutto!** E adesso tu questa cosa la scrivi, vero?”

C. (cerca di apparire contrita) “Peut-être.”

VIQ “Non hanno un’aria molto fritta. Hanno un’aria sciolta…”

F. “E fra una decina d’anni io mi ritrovo a due sere da una prima, a disperarmi con cinquanta persone, l’Uomo delle Luci, pittura color acciaio e costumi da lumaca?”

C. “Non mi era nemmeno passato per la mente, ma adesso che lo dici…” (spicca il balzo ed esce a destra)

F. “Bugiarda! Scrittori, vil razza… Ehi! Stai lontana da quel taccuino…!” (balza all’inseguimento ed esce a destra).

L. (a nessuno in particolare) “Io faccio la parte della lumaca. La lumaca impavida.”

VIQ “L’ho già detto che questo non è il mio coperchio -erchio -erchio -erchio…?”

Nuvole di vapore.

Buio.

La VIQ si spegne lentamente. -erchio -erchio -erchio…

SIPARIO

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ADDENDUM METATEATRALE:

R. (legge L’Escargot Sans Peur e cachinna) “A volte, Clarina, non so come ti vengano in mente queste cose…”

Clarina “Well, se dovessi davvero spiegarlo…”

R. “Si chiama ispirazione? Devo considerarla un complicato, quasi preternaturale processo alchemico?”

Clarina “O forse no. Fa’ un po’ tu…”

SIPARIO PER DAVVERO

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* Nulla a che vedere con il G. nominato più sotto. Stessa iniziale – tutt’altra persona.

** Si capisce che nella realtà dei fatti F. non ha ascoltato affatto – men che meno celata – ed è stato necessario ripeterle la conversazione per filo e per segno, ma converrete che tale ripetizione non funzionerebbe mai, da un punto di vista teatrale. Nemmeno in una pétite pièce absurdiste come questa. Anche se forse, ripensandoci... È una seconda stesura che vedo davanti a me?