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Giu 11, 2018 - teatro, teorie    Commenti disabilitati su Vivremo Insiem, Morremo Insiem…

Vivremo Insiem, Morremo Insiem…

Francesco da Melzo e RaffaelloÈ un fatto universalmente riconosciuto che, all’opera, l’amore tende a finir male – ma diciamo la verità: non è che l’amicizia se la cavi molto meglio.

E sto parlando di amicizia maschile, per lo più, perché per quanto mi sforzi, di amicizie femminili all’opera non me ne vengono in mente molte. Well, yes – i soprani tendono ad avere delle confidenti con cui, per l’appunto, si confidano: di solito cameriere, donzelle, dame di compagnia e mezzosoprani misti assortiti, senz’altro gran uso che quello di ricevere confidenze a beneficio del pubblico. Non è del tutto impossibile che Mimi e Musetta diventino amiche prima dell’ultimo atto – ma non è che se ne veda granché; e nel Don Carlos c’è la (muta) Contessa d’Aremberg, bandita ingiustamente da corte – il che scatena una bella aria della Regina… Ma si tratta di gente e di vicende tutt’altro che centrali all’interno delle rispettive trame.

L’amicizia maschile è tutt’altra faccenda: ci sono un tenore e un baritono che si giurano amicizia e fratellanza fino alla morte – e, come dicevamo, non va mai a finir bene.

In Verdi questo genere di storia ricorre spesso.

CatturaGuardiamo per esempio La Forza del Destino, in cui Don Alvaro (tenore), nel fuggire con la morosa marchesina (soprano) uccide involontariamente il babbo di lei (basso) e poi si perde per strada la povera fanciulla – che lui crede morta, ma in realtà resta a vagare per la Spagna, abbandonata e non terribilmente stabile. Possiamo biasimare del tutto il fratello baritono, che va a caccia dell’assassino/seduttore  nell’intento di fargliela pagare? Sennonché, per farlo, si arruola sotto falso nome – e quando incontra il tenore, che non ha mai visto e che a sua volta si è arruolato sotto falso nome nello stesso reggimento, i due si piacciono subito e, prima che si possa dire “nemico giurato”, si sono già promessi eterna amicizia. Ebbene sì: da sconosciuti a fratelli d’elezione in cinque minuti – salvo poi, nel giro di un altro paio di scene, scoprire le rispettive identità e ritrovarsi nemici mortali. Duellano una volta, duellano due, e alla fine il baritono ci rimette le penne.

Potremmo obiettare che in questo caso l’eterna amicizia era stata fulmineamente* giurata sulla base di false premesse e informazioni insufficienti – ma non è come se una conoscenza più approfondita garantisse un esito migliore… 838689

Il Ballo in Maschera, anyone? Il tenore Riccardo è il governatore del Massachussets** , apprezzatissimo dai governati – ma, di fatto, talmente svagato e irresponsabile, che siamo costretti a chiederci quanta della sua popolarità si deva agli sforzi del suo assennato e vagamente ansioso braccio destro – il baritono Renato. Qui di giuramenti espliciti non ce ne sono, ma l’adorante e protettiva devozione di Renato è lampante, la maniera di consuetudine tra i due inequivocabile, e tutti sanno che Renato ha ripetutamente “versato il suo sangue” per Riccardo. Per cui, non so a voi – ma a me pare davvero brutto che Riccardo lo ricambi flirtando con la sua bella moglie… Ora, se l’adulterio vero e proprio si consumi è diventata negli ultimi anni una questione di regia – ma, anche quando il fattaccio non succede, è più per le reticenze del soprano e il tempismo dei cospiratori che per la decenza interiore del tenore… Hence, quando Renato scopre di essere stato tradito dalle due persone che ama di più al mondo, il passo da amico devoto a vendicatore furibondo è operisticamente breve. Per una volta è il tenore a soccombere alla rottura – ma è chiaro che il futuro del baritono non si prospetta per nulla lieto.

a1738f40a5e05bc25cee6d4fec0f68eeE non va molto meglio nemmeno agli amici d’infanzia – nemmeno quando non ci sono donne di mezzo. Il fatto che tra l’eponimo tenore Don Carlos e il baritono Rodrigo di Posa non ci siano padri assassinati, sorelle sedotte o mogli contese sembra promettere abbastanza bene. I due sono amici dalla più tenera età, e quando si giurano eterna amicizia nel secondo*** atto tutto ci fa pensare che non sia la prima volta. Il guaio è che Rodrigo s’illude di fare dell’instabile e molliccio Carlos un grande sovrano, ed è disposto a mentire e uccidere per questo – nonché a sacrificarsi drasticamente. Peccato che, quando Rodrigo resta fatalmente impigliato nelle sue stesse trame, a Carlo sembri bello gettar via qualunque vantaggio il suo amico gli abbia procurato facendosi uccidere – per nient’altro che il gusto di far sentire in colpa suo padre…

E non so, è probabile che, se davvero credeva che Carletto potesse regnare con magnanima efficacia, Rodrigo si sia meritato tutto quel che poteva capitargli – ma c’è motivo di pensare che nemmeno un certo grado di consapevolezza sia di grande aiuto in queste situazioni. Gunn Burden

Passiamo a Bizet e ai Pescatori di Perle: il tenore Nadir si ricongiunge al suo fraterno amico, il baritono (e capovillaggio) Zurga, proprio mentre arriva la semisacerdotessa Leila, deputata a pregare per la buona e sicura riuscita della pesca delle perle. E naturalmente entrambi i giovanotti sono attratti da lei – ma, nel rendersene conto, si giurano reciprocamente che mai, mai, mai permetteranno a una donna di separarli… E come no? Prima di subito, Nadir si precipita da Leila – la cui castità, badate bene, è essenziale al rito. Non del tutto incomprensibilmente, Zurga si sente doppiamente tradito, perché lui era davvero pronto a rinunciare a Leila per amicizia e per la sua responsabilità nei confronti dei pescatori. E nondimeno, dopo un po’ di baritonale furia, è disposto a sacrificare il villaggio e se stesso per salvare l’amico infedele e la men che irreprensibile Leila. Ora, il finale è stato rimaneggiato all’infinito – ma nessuno dubita che, accoltellato subito o condannato a morte poi, Zurga faccia una pessima fine mentre tenore&soprano se ne vanno verso il tramonto…

Impareranno mai i baritoni a non far troppo conto sui tenori? Di sicuro, noi pubblico abbiamo imparato che, quando all’opera due uomini si giurano amicizia fraterna e imperitura, la faccenda è destinata a finire nel sangue – di solito quello del baritono.

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* Nulla di più fulmineo, d’altra parte, dell’innamoramento di Calaf – che, più o meno due minuti dopo avere visto Turandot da lontano, decide che ha sofferto troppo per amore, e si lancia in una quest suicida per ottenere la mano della pericolosissima principessa… Se non altro, Don Alvaro ha salvato Don Carlo dalle conseguenze della sua imprudenza.

** And I have to wonder: non si poteva scegliere uno stato americano con un nome meno ostico (e potenzialmente meno buffo) per il melomane medio? Non mi risulta che la scelta abbia la minima ragione di plausibilità storica – e ammetto che Boston suona bene, ma… Massachussets! Salute!

*** O primo. Dipende. Lunga storia.

 

Gen 23, 2012 - grillopensante, musica    5 Comments

Tenori? No, Grazie

Prima una segnalazione di servizio: leggete il post odierno di Davide Mana sul blog strategie evolutive*. A dire il vero, fareste bene a leggerli spesso, i post di Davide, ma oggi si parlerà di fenomeni sociali e fenomeni culturali – indulgendo a un prurito scatenato da questo post. Credo che Davide tenda a postare nel corso del pomeriggio, per cui recatevici verso sera, magari. Ne riparleremo anche qui.


Detto questo, se non vi dispiace, oggi parliamo di tenori.


“Che cos’hanno i tenori, in fondo, a parte gli acuti?” chiede il booklet di questo disco, No Tenors Allowed, e procede a dimostrare che bassi e baritoni sono tutta un’altra musica.

 

Il disco è una gioia da ascoltare, con Thomas Hampson e Samuel Ramey in gran spolvero e una scelta di duetti quasi completamente felice (personalmente avrei potuto fare a meno di Un Giorno di Regno), e anche il booklet comporta una certa quantità di soddisfazione se si è di quelli che non riescono a simpatizzare con il Tenore, a nessun patto.

 

Voglio dire, so che la solidità narrativa del libretto non è precisamente una priorità, ma prendiamo il Tenore ottocentesco medio: nella maggioranza dei casi, l’infermità mentale resta l’ipotesi più benevola. Ovviamente non parlo dei cantanti, ma dei personaggi, che per psicologia, motivazioni, complessità e sfumature riescono quasi sempre ad essere il buco drammaturgico del libretto, e che tendono a suggellare il proprio destino con atti di una stupidità epica.

 

C’è il Trovatore, bandito, fuorilegge, ladro di fidanzate altrui, che invece di far liberare la mamma zingara dalla masnada che comanda, va a cacciarsi di persona nell’ovvia trappola, cantando “Di quella pira”; c’è Foresto, capace solo e soltanto di mugugnare perché Odabella, catturata da Attila, se ne resta prigioniera, salvo respingerla con sdegno ogni volta che lei trova il modo d’incontrarlo; c’è il Principe Calaf, che due minuti scarsi dopo avere visto Turandot da lontano, decide che ha sofferto troppo per amore, e quindi si getta nell’impresa suicida, abbandonando il vecchio babbo cieco e bisognoso, appena ritrovato in mezzo alla folla (per non parlare della fulminea prontezza con cui perdona alla principessa l’assassinio preterintenzionale di Liu). E che dire di Don Carlo, così ansioso d’informare il Re suo padre che il defunto Marchese di Posa  si era accollato colpe non sue solo per salvare lui, Carlo? Peccato che, una volta svelato l’arcano, Carletto torni ad essere (comprensibilmente, se lo chiedete a me) sulla lista nera del Re, col risultato che il Marchese ha preso una fatale archibugiata nelle costole per nulla.

 

E in tutto questo, che fanno bassi e baritoni? Dipende: il Conte di Luna (Baritono) si barcamena tra instabilità politica, amore non corrisposto e vendette personali, finendo coll’uccidere involontariamente il fratello perduto che aveva cercato per tutta la vita; Attila (Basso) comanda un’orda, distrugge Aquileia, respinge con sdegno un’alleanza disonorevole, ed è così carismatico che nessuna donna che non fosse costretta dal libretto lo scarterebbe a beneficio di Foresto; Re Timur (Basso) sopporta con dignità i colpi della sorte e si affanna per le intemperanze del figlio dissennato; il Marchese di Posa (Baritono) esita tra i doveri dell’amicizia, il destino dell’umanità, e un vecchio re pronto a fidarsi di lui, riuscendo solo a produrre conseguenze tragiche per tutti; e Re Filippo, ah, Re Filippo deve vedersela con le Fiandre protestanti, una moglie (forse) infedele, l’Inquisizione feroce, i cortigiani sicofanti, un figlio mentecatto, la solitudine della corona, il tradimento di un giovane amico, e il fantasma di suo padre, e scusate se è poco.

 

Insomma, il Tenore sarà anche l’eroe eponimo, ma spesso è una figura bidimensionale che fa cose mortalmente stupide. Da un punto di vista narrativo, molti Tenori sembrano avere una funzione sola: innescare situazioni della trama in cui si esplicano i ben più complessi e convincenti conflitti che tormentano Bassi&Baritoni… E siccome si parla di librettisti diversi e fonti letterarie di provenienza diversa, temo di doverne concludere che il ruolo di “primo amoroso” sia stato lungamente abbandonato a una caratterizzazione sommaria.

 

Tenore: tizio provvisto di acuti, di un cervello sommariamente equipaggiato e di (almeno) un soprano determinato a sposarlo, per motivi non sempre comprensibili.

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* Sic, sic, sicchissimo. Dietro specifica richiesta dell’autore. Sono stata amichevolmente redarguita una volta per avere usato le maiuscole e non lo faccio più…